di Carlo Bolpin
Concordo con quanto scrive Paola Cavallari sullo “stupro bellico” (Lo stupro bellico: "quintessenziale" della virilità). Penso che occorra alzare la voce sulle tematiche che lei affronta, troppo poco considerate. Non si ripete mai abbastanza il concetto di fondo: “quella dell’uomo sulla donna è la forma di violenza primigenia, […] che funge da modello e precede – se non storicamente certo su un piano simbolico – ogni altra forma di conflitto, sia etnico, religioso, tribale, di classe, di partito o di nazione; in altre parole, il modello della sopraffazione pura, prima dell’oppressione dell’uomo sull’uomo, quella della oppressione dell’uomo sulla donna”. Non se ne traggono le conseguenze sul piano culturale e dell’azione pratica nei diversi settori pubblici e interpersonali.
di Sergio Paronetto, pubblicato in Viandanti il 23 maggio 2024
Una giornata di grazia, una piccola ONU dei popoli. All’Arena “giustizia e pace si baceranno” (Sal 85) del 18 maggio 2024 era presente una folla multicolore di 12.000 persone, espressione di centinaia di associazioni, gruppi e movimenti. Quello di Verona è diventato, nei fatti, il primo incontro italiano dei movimenti popolari (definiti dal papa “poeti sociali”), o, per meglio dire, l’incontro dei movimenti popolari mondiali con associazioni e movimenti italiani.
Tanta gente proveniente da tutta Italia (da Bolzano a Trapani) e da tutto il mondo: il brasiliano J. Pedro Stedile dei Sem terra, l’ugandese Vanessa Nakate del Friday for future, l’afghana Mahbouba Seraj, candidata al Nobel, il palestinese Aziz Sarah con l’israeliano Maoz Inon, la bielorussa Olga Karak; tante donne, collegate in video, dei movimenti femminili Women Wage Peace, Women of the Sun e dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente, il filosofo Edgar Morin.
di Laura Munaro
“We refuse to be enemy” (ci rifiutiamo di essere nemici). Così cita la scritta all’ingresso della fattoria denominata Tent of Nations a sud di Betlemme, gestita dalla famiglia Nassar, arabo cristiana, da generazioni. La scritta rappresenta la scelta di vita di Daoud Nassar, il proprietario dell’azienda agricola di famiglia.
Situata su una collina in West Bank - Area C dei territori occupati, la fattoria si estende su 42 ettari. È circondata da cinque insediamenti illegali di Gush Etzion, secondo quanto stabilito dagli accordi di Oslo del 1993 e dalla quarta convenzione di Ginevra. La famiglia Nassar vive vicino al Muro di separazione che divide tutta la Palestina da Israele.
di Maurizio Ambrosini, in Avvenire del 20 giugno 2024
A volte le coincidenze sono illuminanti. È appena finito il G7, che nel suo comunicato finale menziona le migrazioni, ma adottando quell’approccio che ormai è diventato abituale nel discorso istituzionale dei paesi avanzati. I grandi del mondo hanno lanciato “la Coalizione del G7 per prevenire e contrastare il traffico di migranti”, affermando: «ci concentreremo sulle cause profonde della migrazione irregolare, sugli sforzi per migliorare la gestione delle frontiere e frenare la criminalità organizzata transnazionale e sui percorsi sicuri e regolari per la migrazione». L’ultimo aspetto, il più importante, viene solo dopo la sorveglianza dei confini e la lotta contro gli arrivi non autorizzati.
di Luca Casarini, da l'Unità, 19 giugno 2024
"Sono rimasti tutti a bocca aperta"
Il G7 dunque, si è concluso con due naufragi, dove sono morte più di cento innocenti, tanti bambini. Nessuno lo dirà, il copione del vertice prevedeva i saluti finali e la foto opportunity dei “grandi”, a bordo piscina del resort di plastica a cinque stelle dove si è celebrato l’evento. Come ha avuto modo di dichiarare la presidente del consiglio, reginetta della festa, “le signore facevano lo shopping, e davanti alle orecchiette preparate dai nostri chef, sono rimasti tutti a bocca aperta…”. Anche i cento inghiottiti ancora una volta dalle acque della nostra fossa comune per migranti, il mare, avevano la bocca aperta. Cercavano aria per poter respirare, intrappolati nella stiva di una barca di otto metri dove erano stipati uno sull’altro, finche una barca a vela di soccorso, Nadir della flotta civile, non li ha raggiunti, a sud di Lampedusa, sfondando con le asce il legno di quella che era diventata una cassa da morto galleggiante.
Pubblichiamo la dichiarazione del 23 maggio 2024 Per la cooperazione ebraico-islamica in Europa: Dichiarazione di Sarajevo del Muslim Jewish Leadership Council, in Inchiesta online.
Negli ultimi quattro giorni a Sarajevo il MJLC (Muslim Jewish Leadership Council) ha riunito giovani leader ebrei e musulmani provenienti da tutta Europa per avviare percorso condiviso di un anno nell’ambito dell’Ambassador Programme del MJLC. L’incontro di Sarajevo ha incluso due giorni di formazione, visite a siti religiosi, un viaggio di commemorazione a Srebrenica per onorare le 8.372 vittime del Genocidio e un evento inaugurale di sostegno per i nostri nuovi giovani Ambassadors. Nello spirito del dialogo e sulla base delle lezioni apprese a Sarajevo sulla lunga storia delle religioni, del conflitto e della coesistenza in Bosnia, sentiamo il bisogno di dare voce a questa esperienza.
di Maurizio Ambrosini, in “Avvenire” del 17 maggio 2024
Sono 15 i Paesi Ue - tra cui l'Italia - che vanno all'assalto della Commissione Europea chiedendo «nuove misure» per arginare gli arrivi, anche con soluzioni «fuori dagli schemi». Nella lettera, inviata ieri a Bruxelles, si indicano espressamente le intese con la Turchia, la Tunisia e l'accordo Italia-Albania come casi virtuosi e si arriva ad evocare una sorta di modello Ruanda per i rimpatri. L'esecutivo Ue ha confermato di aver ricevuto il documento ma ha precisato che avrà «bisogno di tempo» per studiare il testo, che è «complesso» e ricco di spunti.
Pubblichiamo l'appello della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace e delCentro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova
“Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale” (Papa Francesco, Fratelli tutti)
“Bruciati vivi”. Negli ultimi giorni, decine di bambini e donne palestinesi sono stati uccisi così, dal fuoco delle tende in cui si erano rifugiati nel disperato tentativo di sfuggire ai bombardamenti più indiscriminati della storia. Mentre le immagini dell’orrore scorrono e si incollano in tempo reale negli occhi del mondo, oggi tre paesi europei, Spagna, Irlanda e Norvegia, riconoscono formalmente lo Stato di Palestina. Perché lo fanno? Perché non lo fa anche l’Italia?
di Silvia Rizzo, insegnante, impegnata in progetti di accoglienza di immigrati
Quando la filosofia non è pura metafisica o mera dissertazione logico-razionale anche una parola si può trasformare in una nuova lente con cui osservare e analizzare il mondo. L’ethos del riconoscimento di Lucio Cortella, indagine sul concetto di riconoscimento partendo da Hegel e attorno a Hegel, mi ha dato spunti per riflessioni pragmatiche. Il termine riconoscimento ha acquistato valore di strumento di comprensione e di analisi delle dinamiche dell’uomo sia a livello esistenziale che politico, di comprensione del reale, in quanto riguarda non solo la sfera delle relazioni sentimentali, familiari e amicali ma anche sociale, giuridica e politica.
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