di Paolo Perlasca
Giovedì 28 novembre alla nuova libreria COOP in Piazza Ferretto a Mestre-Venezia Gomercindo Rodrigues, amico nonché uno dei più fidati collaboratori di Chico Mendes ha presentato il suo libro Camminando nella Foresta pubblicato per l’Italia da COOP Alleanza 3.0, LegaCoop Estense e con il supporto di Fondazione Finanza ETICA, FAIRTRADE Italia e Cooperativa Chico Mendes di Modena e altri. Un libro che racconta la vita di quel pezzo di terra remota che risponde al nome di Amazzonia - che appare così distante dall’Europa ma in realtà è più vicina di quanto sembri - ma soprattutto del suo più illustre cittadino, che fece conoscere la grande foresta tropicale al mondo con tutti i suoi sogni e problemi, che si trascinano ancora, purtroppo, fino ai giorni nostri.
Chico Mendes, seringueiro (raccoglitore di gomma), ma soprattutto sindacalista e uomo politico, nel senso più alto del termine, a partire dalle prime lotte contro la deforestazione nella regione dell'Acre nell'Amazzonia brasiliana, al confine con il Perù, arrivò a unire le varie genti che abitavano la grande foresta tropicale, dai raccoglitori di gomma e di altri prodotti della foresta, agli abitanti rivieraschi dei molti fiumi che solcano questo immenso polmone verde, fino ai popoli nativi appartenenti a molte tribù, per fare fronte comune contro allevatori e grandi latifondisti allo scopo di fermare la distruzione di intere zone di foresta, dove molte persone vivevano e ricavavano le risorse per il proprio sostentamento in maniera assolutamente sostenibile, senza cancellare il grande patrimonio verde.
Fu un vero pioniere dell’ecologismo in una realtà da “far-west” quale era l'Amazzonia più profonda degli anni ‘70/80, periodo buio della dittatura militare in Brasile, dove ogni voce contro e che si opponeva a uno sfruttamento indiscriminato di alberi e terre coperte da vegetazione naturale veniva sistematicamente eliminato con le armi da bande di sicari senza scrupoli, per far spazio ad allevatori di bestiame, commercianti di legname, piantatori di soia, garimpeiros (minatori illegali) spesso con la complicità delle istituzioni, dei militari e della polizia.
Proprio per questa sua capacità di incidere in modo pacifico e antiviolento, ma molto efficace collegando le varie realtà sociali e i popoli che vivevano nella e per la foresta, Chico Mendes venne assassinato il 22 dicembre del 1988 nel momento in cui divenne conosciuto al mondo e lui fece conoscere al mondo la situazione drammatica della grande foresta tropicale, che ogni giorno veniva bruciata, tagliata, saccheggiata, lasciando solo un deserto senza alberi e animali con una scia continua di sangue.
Aveva intuito poi che la sua non era la semplice battaglia di un seringueiro per proteggere gli alberi della gomma e quelle aree di foresta vergine che li contenevano, ma qualcosa di più grande, una battaglia per l’umanità e per il destino delle generazioni future.
Una battaglia civile per salvare l'integrità e la biodiversità della grande foresta pluviale da un'economia predatoria, solo estrattiva e assolutamente non conservativa né sostenibile da punto di vista ecologico, al servizio di multinazionali e paesi più ricchi, che stava distruggendo il patrimonio immenso di biodiversità di questa immensa foresta, la cui influenza ecologica si estende sugli equilibri climatici di tutto il Sudamerica e, come si vede da studi scientifici recenti, sullo stato dell’intero Pianeta.
Infatti, come si è dimostrato, l'Amazzonia è un “motore climatico” e rappresenta uno dei tipping points, (punti di svolta)1 che condizionano su scala globale il clima terrestre assieme all’Antartide, al polo Nord, agli oceani, alle foreste boreali. Per uno studio dell'Università di Princeton del 2020 basato su modelli accurati, se non ci fosse l'Amazzonia la temperatura media del Pianeta salirebbe automaticamente, secondo stime cautelative, di 0,25/0,5°C (un’enormità)2, ma tutto il Sudamerica subirebbe drastici cambiamenti di tipo climatico, sociale e produttivo con effetti biofisici che si propagherebbero all'America del nord e a tutto il Pianeta.
Se sparisse l’Amazzonia si avrebbe una drammatica riduzione delle precipitazioni in un area vastissima del Sudamerica con gravi fenomeni di aridità: alla stessa latitudine del triangolo tra Cuiabà (Mato Grosso-BR), Buenos Aires e S. Paulo, zone oggi verdi e coltivate, da cui dipende il 60/70% del PIL dell’America del Sud, abbiamo il deserto del Kalahari in Africa, il deserto centro occidentale australiano e quello di Atacama in Cile.
Gli scienziati confermano che i Rios voadores, fiumi volanti3, che provengono dall’evapotraspirazione di questa immensa massa vegetale condizionano il regime delle piogge di gran parte della zona centro meridionale del Brasile, dove si fa agricoltura, ci sono centrali idroelettriche, industrie, con grandissime città come S. Paulo e l’Amazzonia è quindi un fenomenale irrigatore di zone che sarebbero estremamente aride. Ma tutto il Pianeta ne risentirebbe.
A partire dalla testimonianza toccante di Gomercindo Rodrigues che ha raccontato la realtà di quegli anni, la sua profonda amicizia con Chico Mendes e gli ultimi suoi giorni in quell’anno, il 1988, in cui la sua attività politica aveva raggiunto l’ONU e l'opinione pubblica mondiale e purtroppo culminati con il suo assassinio, si è cercato quindi di approfondire durante l’incontro pubblico con l'aiuto di Paolo Pastore di Fairtrade, con Piero Bergonzini traduttore del libro e con il sottoscritto le ragioni del perché ancora oggi l'Amazzonia è urgente e necessaria per tutti noi.
La battaglia di Chico Mendes voleva far emergere un nuovo modello di economia: un paradigma di come le attività agricole e produttive in un contesto simile dovrebbero rispettare l’ambiente naturale. In questo senso il commercio equo e solidale di produzioni locali e sostenibili è una via importante da lui tracciata già 40 anni fa e da percorrere sempre più se vogliamo mantenere un Pianeta sano e resiliente ai cambiamenti climatici.
Chico Mendes era fautore soprattutto di un'azione politica incisiva e illuminata necessaria - e sempre più urgente ai tempi nostri - per sviluppare buone pratiche a livello globale nel commercio internazionale e nella gestione di questa immensa area naturale.
Ricordiamoci che la bresaola che mangiamo, il parmigiano reggiano e i prosciutti che finiscono sulle nostre tavole, le pelli che vengono usate per fabbricare le scarpe e le nostre borse, la soia per alimentare maiali e bovini, l’olio di palma usato in centinaia di prodotti alimentari confezionati, l'oro e altri minerali preziosi di cui magari sono fatti certi gioielli, sono prodotti/estratti distruggendo anche questo immenso patrimonio verde, come ben evidenziato nel rapporto “Deforestation made in Italy. Le responsabilità delle imprese e dei consumatori italiani nella deforestazione dei paesi tropicali” redatto da ETIFOR, spin-off dell’Università di Padova.
Quando queste foreste come l’Amazzonia vengono distrutte per fare spazio ad allevamenti di bovini o piantagioni industriali di soia non si cancellano solo forme di vita uniche - nel caso dell’Amazzonia spesso specie di flora e fauna che neanche si conoscono - ma si liberano immense quantità di CO2 nell’atmosfera con la certezza di incrementare l’effetto serra e il riscaldamento di proporzioni drammatiche a livello globale, con tutte le conseguenze di siccità, tempeste, piogge torrenziali, ondate di calore anche in Italia.
Durante l'incontro è stato ricordato l'impegno di Papa Francesco e della Chiesa cattolica, già a partire dall’enciclica Laudato Si', con l'esortazione Querida Amazônia e con il Sinodo sull’Amazzonia, volto a recuperare lo spirito di base che era emerso durante la teologia della liberazione negli anni ‘70/80, che aveva aiutato i sindacalisti, i poveri lavoratori, le tribù native nell'Amazzonia Brasiliana a uscire dall'anonimato e rivendicare i propri diritti e quelli della grande foresta, a favore di tutti noi.
Una cosa su cui Gomercindo ha liberato il suo spirito critico, soprattutto ricordando il papato di Giovanni Paolo II che fece piazza pulita di molti ecclesiastici vicini alla teologia della liberazione, favorendo addirittura chi era vicino ai grandi fazendeiros o a quei politici corrotti che erano i principali responsabili di quel clima di terrore e distruzione in Amazzonia, brodo di cultura per gli stessi assassini di Chico Mendes.
Per fortuna le cose stanno un po’ cambiando, nonostante quattro anni terribili del governo Bolsonaro in cui molti traguardi positivi per la conservazione dell’Amazzonia - raggiunti grazie alla fondamentale spinta del Presidente Lula da Silva nei primi suoi due mandati 2003/2010 - furono azzerati e addirittura si tornò al clima che si respirava durante la dittatura militare, con l’indebolimento degli organi di controllo sulla deforestazione illegale e l’incremento di pratiche violente di distruzione e accaparramento di terre, anche nelle zone indigene rivendicate dai popoli indigeni nativi.
L’importante è quindi proseguire nelle idee e nelle azioni che Chico Mendes perseguì durante la sua vita per garantire un'Amazzonia viva e con le foreste in piedi, per il benessere degli abitanti locali e di tutti noi.
E come dice Gomercindo Rodrigues se stiamo ancora qui dopo 36 anni a parlare di Chico Mendes significa che lui non è stato ucciso ma vive ancora nelle parole e nelle azioni di quelli che lottano ancora per l’Amazzonia.
Note
1) Timothy M. Lenton, Johan Rockström et alii (2020) - Climate tipping points: too risky to bet again (https://www.nature.com/articles/d41586-019-03595-0).
2) cfr. https://www.princeton.edu/news/2019/10/23/world-without-amazon-safeguarding-earths-largest-rainforest-focus-princeton
3) link al video su youtube https://www.youtube.com/watch?v=JDdvd-XC_sI&t=3s
La foto di copertina Menina do rio Negro e sua preguiça de estimação. Amazonas è del fotografo brasiliano Araquem Alcantara che ringraziamo per averne consentito la pubblicazione.