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a cura di Carlo Beraldo, Vittorio Borraccetti, Carlo Rubini
1. Questo numero di Esodo, dedicato al rapporto religione-politica, nasce dall’indignazione provata da molti per l’uso della fede cristiana, dei suoi simboli, dello stesso nome di Dio, da parte di alcuni partiti nelle competizioni elettorali, e non solo, a sostegno di un proprio progetto politico, i cui contenuti sembrano contrastare con i valori fondanti del messaggio cristiano per sua natura universalistico. Questa strumentalizzazione viene compiuta da una molteplicità di soggetti politici nel mondo attuale, più che altro di orientamento conservatore e autoritario, e non solo con riferimento al cristianesimo; si usa il fondamento religioso come uno degli elementi identitari di una comunità sociale (accanto ad altri, come una certa idea di nazione e famiglia), con tendenziale esclusione o discriminazione di chi non si riconosce in essi. In Europa manifestazioni di esplicito uso della religione a fini politici sono presenti, oltre che in Italia, in paesi come l’Ungheria e la Polonia, tra i più noti. Tale prassi si evidenzia in altre aree del mondo, coinvolgendo ulteriori religioni, oltre al cristianesimo nelle sue diverse manifestazioni, come l’islam, l’ebraismo, l’induismo, ecc. L’uso politico della religione ali- menta spesso nazionalismo e sovranismo, contrastando sul piano internazionale il multilateralismo e i faticosi tentativi di costruire organismi sovranazionali capaci di prevenire e governare i conflitti e, sul piano interno, il pieno riconoscimento dei diritti soggettivi a chi non si riconosce nei prevalenti modelli morali di comportamento derivanti dalla religione.
con Monica Simeoni, Enzo Pace e Vittorio Borraccetti
Gustavo? Gustavo era lui, Gustavo Gutierrez. È uso dei latinoamericani di conoscersi per nome, anche a livello internazionale, e di chiamarsi per nome. Ma Gustavo Gutierrez è, e resta, quel Gustavo, lui e non altri, che nel suo far teologia ha avuto un’intuizione di fede, che ha determinato tutta una stagione di fervidi dibattiti nella Chiesa e vi ha impresso una spinta in avanti di grande importanza.
di Stefano Allievi
Insieme a tutti i colleghi e le colleghe che ne fanno parte, ho rassegnato al ministro Piantedosi le dimissioni dal Consiglio per l'islam italiano. Un atto ininfluente, certo, ma che era necessario e giusto compiere. Per chiarezza.
Per molti anni insieme ai colleghi e alle colleghe del Consiglio, e in collaborazione con le organizzazioni islamiche italiane, abbiamo lavorato – con grande dispendio di tempo, gratuitamente, e spesso a spese nostre – per cercare di svolgere con la professionalità e anche la passione civile necessaria il nostro ruolo di consulenti, elaborando pareri e promuovendo iniziative, sulla base della nostra conoscenza della situazione e delle esperienze di altri paesi europei.
di Maurizio Ambrosini in "Avvenire" del 19 ottobre 2024
L’iniziativa governativa di avviare il dirottamento in Albania di una manciata di persone in cerca di asilo, mobilitando una nave militare con un equipaggio di una settantina di marinai, è naufragata al primo viaggio. Tanto clamore e i corrispondenti costi sono sfociati in un flop. Almeno per ora, perché di certo il governo Meloni non si darà per vinto, considerando l’investimento d’immagine e di risorse dedicato all’operazione.
1. Una vita per la pace
Definire don Primo Mazzolari come pacifista non rende ragione di un percorso biografico
Città laica, terra di frontiera e di sofferti confini, principale porta della Rotta balcanica, cerniera con Nord ed Est Europa, al medesimo tempo porto di mare, crocevia di popoli e culture, e storico laboratorio di convivenza di differenze religiose e culturali: sono i motivi che hanno portato a scegliere la città di Trieste per la 50a edizione delle Giornate sociali dei cattolici in Italia, che si è tenuta a inizio dello scorso mese di maggio alla presenza del pontefice e del presidente della Repubblica.
Il centro storico con le sue piazze, strade pedonali e centri congressi è diventato un salotto, luogo d’incontro, di dialogo e confronto sulla democrazia, oggi particolarmente sofferente a causa della crisi di partecipazione e di una società sempre più polarizzata.
di Anna Foa, in rivista.vitaepensiero.it
Quando il 7 ottobre di un anno fa i terroristi di Hamas sono penetrati in Israele distruggendo i kibbutzim sul confine con Gaza, uccidendo nella maniera più brutale i loro abitanti e centinaia di giovani che si erano radunati per un concerto, stuprando sistematicamente le donne e portando via oltre duecento prigionieri come ostaggi, non hanno soltanto compiuto un massacro indiscriminato e quanto mai sanguinoso di civili, ma hanno anche inferto una ferita difficilmente rimarginabile all’intero Paese. L’esercito e i servizi segreti hanno dato nella circostanza una prova eclatante di incapacità, che metteva in dubbio la percezione di sicurezza e invincibilità che gli israeliani avevano in passato avuto di sé, mentre la presenza di tanti ostaggi di tutte le età creava un problema etico gigantesco: dare o no la precedenza alle vite degli ostaggi?
Con questo articolo di Carlo Bolpin iniziamo la pubblicazione di una serie di interventi dedicata a "Testimoni di Pace" per comprendere e attualizzare il loro pensiero sulla pace e la nonviolenza.
A prova del fatto che, da convinta pacifista, Simone Weil (Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943) sarebbe passata a una legittimazione di fatto della guerra, vengono talora segnalati due “fatti”: la sua adesione alla guerra di Spagna nel 1936 e, in seguito, la risoluta volontà di partecipare alla resistenza contro il nazismo tra le fila di France libre. Per sostenere questa opinione ci si serve di alcune citazioni che, isolate dal contesto, sembrerebbero dare conferma a questa contraddizione. Ipotesi legittima, tuttavia…
di Severino Dianich, in Settimananews del 31 agosto 2024
Nel 1927 Julien Benda pubblicava La Trahison des Clercs, un fortunato pamphlet, nel quale egli denunciava il tradimento degli intellettuali francesi e tedeschi che, abbandonando la loro vocazione universale, la promozione del valore della giustizia e della democrazia, si lasciavano trascinare dalle passioni politiche furoreggianti in quegli anni, la lotta di classe, il nazionalismo, il razzismo.
Il titolo così suggestivo di quel testo dovrebbe restare la spina nel fianco di coloro che “sono pagati per pensare”, come disse un giorno un docente, il matematico Giovanni Prodi, in un colloquio sulle responsabilità dei docenti universitari, cioè di quanti fanno il mestiere di produrre e tenere viva la coscienza critica di un popolo.
Alla categoria appartengono a pieno titolo anche i teologi (anche se, a dire il vero, male pagati o non pagati affatto) il cui mestiere consiste nell’esercitare e promuovere il pensiero critico nella Chiesa, componente vitale dell’esperienza della fede.
La domanda, trascorsa l’estate, si fa progressivamente più viva: che cosa ha portato e che cosa rimane – o meglio prosegue – della Cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia? È indubbio che l’incontro nazionale di luglio a Trieste sia stato un momento particolarmente significativo, come del resto hanno sottolineato, anzitutto con la loro presenza, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Papa Francesco: la cifra “tonda” meritava di per sé una celebrazione sui generis, ma ora si tratta di capire che cosa rimarrà nella memoria storica dell’evento e che cosa si tradurrà nei termini di una novità che supera l’evento.
Qualche considerazione – qui a titolo del tutto personale – si può avanzare.
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