Pace 
di Arianna Arisi Rota
Il Mulino 2024

Docente di storia all’Università di Pavia, Arianna Arisi Rota in questo saggio, di agile lettura e denso di contenuti, ci aiuta a districarci in una di quelle parole che usiamo quotidianamente in vari ambiti ma che abbiamo difficoltà a definire e che, pur evocando comuni sentimenti di armonia e condivisione, risulta profondamente divisiva, fonte di conflitti persino in famiglia. Oggi come ieri.
Pace, viene scritto fin dalle prime pagine, è una parola scomoda, parola-slogan, utilizzata fin da epoche lontane con opposti contenuti, come quando il vincitore chiama pace l’annientamento del vinto. Per la forte complessità emotiva e lessicale pace è definita per negazione come assenza di guerra o pausa tra guerre e ha bisogno di specificazioni (giusta, umanitaria, perpetua, eterna, ibrida...).  Per questo risolviamo i problemi usando il termine “complessità” che è diventata una “nozione rifugio” in cui tutto è fluido e incerto.

La pace tra le nazioni è stata, in periodi diversi, un mito culturale potente, e ha segnato l’Europa dalla Seconda Guerra Mondiale fino ad ora. In realtà era una pace “anestetizzante”, i popoli europei addormentati nel proprio benessere e nella cecità di quanto avveniva fuori delle mura di casa. Questo sonno della ragione continua. Nell’attuale fase storica sembra dominante il mito illusorio della propria “sicurezza”, che diventa prioritaria rispetto all’obiettivo della pace. Ma - viene sottolineato - anche la parola “sicurezza” ha una pluralità di interpretazioni e sempre più è intesa come “assenza di minaccia”. La paura di essere minacciati diventa un’ossessione che porta a prepararsi alla guerra con la corsa agli armamenti, che ha come conseguenza inevitabile l’avverarsi della guerra temuta. Tutto previsto ed è prevedibile anche ora che l’aumento degli armamenti “nonostante non garantisse più la sicurezza, continuasse a monopolizzare le spese degli Stati” (Gustave de Molinari, 1899). La storia continua a non insegnare. “Ci sono sempre gli irriducibili”: “per loro, un aumento della sofferenza induce viceversa un aumento della resistenza […]. Costi quel che costi. Non importa quanto tempo ci voglia”.

La riflessione della saggista non è teorica ma radicata nella realtà storica. Attraverso l’esame di varie situazioni vengono evidenziati tempi e modi per superare i conflitti e “costruire” la pace, prima di tutto nella mente, marcando una “discontinuità emotiva e comportamentale” che deve diventare prassi, un processo continuo, progressivo, adattivo. La pace non è, infatti, un “condizione”. Non è il contrario della guerra, che si previene edificando la "pace positiva" la promozione di condizioni di prosperità ed equità per tutti. Meglio allora parlare di "paci": una pluralità di situazioni da costruire dal locale all’internazionale, per rendere possibile che la parola pace “lasci il regno dell’ideale per quello del reale”. 

Il concetto posto alla base è che la pace riguarda la relazione tra più parti, non la singola parte. Quindi: “nella vita dei singoli, come nella vita delle comunità e degli Stati, la parola pace esige un salto mentale, la capacità di uscire, per così dire, da sé e di avventurarsi in uno spazio condiviso con l’altro, quasi mai in proporzioni uguali”. Val la pena citare le esatte parole per chiarire che si tratta non di buona volontà utopica che rimane sterile testimonianza individuale, ma di impegno morale concreto, personale e collettivo, per la continua ricostruzione di relazioni dal livello istituzionale, nazionale e internazionale, a quello della società civile, dei “rapporti di amicizia, di vicinato, di colleganza”. È la pace di tutti i giorni: tante paci diffuse che creano cultura, atteggiamenti di fiducia e di sicurezza, un tessuto comunitario di empatia, di relazioni anche in situazioni di conflitto, perché la pace è innanzitutto una forma mentis. Di grande interesse e da approfondire sono alcune problematiche che riguardano l’attuale evoluzione, come il rapporto tra il perdono e la memoria come fattori nel processo di pacificazione tra i popoli. Si pone, infatti, il rapporto tra pace e bisogno di giustizia, intesa come mutuo riconoscimento tra le parti, di riparazione, fino all’auspicabile riconciliazione.
Inoltre, oggi le teorie della pace spostano il centro “dal paradigma della difesa nazionale a quello dei diritti umani, con una maggiore preoccupazione per la sicurezza delle persone rispetto a quella dello Stato”. 

Se la pace - le paci - come cultura e come processo si struttura dalle connessioni tra il locale e il globale, e viceversa, penso si debba concludere che tutti siamo responsabili a partire anche dagli spazi limitati di azione che ciascuno ha per tenere insieme dimensione individuale quotidiana e quella istituzionale. Senza alibi ideologici e di comodo. Paradossalmente, di fronte alle sfide della governance globale e digitale, “aumenta, infatti, la dimensione locale e della scala 'micro'”. 
Con grande forza, un capitolo del libro è dedicato a una “certezza”: “la consapevolezza che l’architettura della pace e i paesaggi emotivi dipendano molto dall’azione delle donne è aumentata”. A favore di questa valutazione vengono presentati i dati delle Nazioni Unite sul ruolo della componente femminile nei processi la mediazione fino alla firma degli accordi di pace. Vengono inoltre presentate donne singole e in gruppo con un ruolo decisivo come attiviste di pace, alcune delle quali hanno ricevuto il premio Nobel per la pace.

di Carlo Bolpin

Arianna Arisi Rota
Pace
Il Mulino 2024, Collana Parole controtempo, pp. 112, euro 12,00