di Jean Louis Ska
Il numero 4/2020 della rivista Esodo “E fu sera e fu mattina”. La genesi tra fede e scienza affronta il dibattito delle compatibilità tra le dottrine della “creazione” e quelle dell’“evoluzione”. In particolare la questione posta riguarda le diverse interpretazioni e il significato della lettura del testo biblico: la Parola di Dio nei racconti umani. Su questo tema ha scritto nel numero Jean Louis Ska, docente di Esegesi dell’Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico e autori di numerosi saggi, che ha tenuto una relazione ("Dov'eri quando io fondavo la terra?", incontro con J.L. Ska) rispondendo alle nostre domande.
Sul numero sono intervenuti nel sito Daniele Garota (Tra creazione e salvezza: la trappola del sapere) e Vittorio Borraccetti (Tre riflessioni a partire dai racconti biblici della creazione), che ha posto alcune domande fondamentali relative all’articolo e alla relazione di Ska, al quale abbiamo chiesto di rispondere con una prima breve riflessione.
L’idea di un Dio creatore porta con sé l’idea di un Dio trascendente e personale che opera la salvezza. Nella sua relazione Ska ha parlato di un Dio che non sta in alto ma in basso, di un Dio immanente. E quanto alla salvezza che essa, a ben guardare, alla fine esige l’intervento di uomini; esempio importante, per la liberazione dall’Egitto Dio suscita Mosè. Colpisce la concezione di un Dio immanente, risponde alla sensibilità di molti, ma come si concilia questa concezione con l’idea di un Dio personale, che mi pare esista nella Bibbia? In realtà nella Bibbia quel Dio personale interviene direttamente nella storia del popolo. Certo suscita Mosè, ma poi interviene a convincere il Faraone a lasciare andare il suo popolo... Difficile poi negare che l’incarnazione sia un intervento diretto di un Dio personale nella storia degli uomini...
Per non essere troppo lungo, direi che, certo, il Dio della Bibbia ha più volti e si rivela in molti modi diversi. La creazione, ad esempio, è attribuita all’azione diretta di Dio. Insisto, tuttavia, su un altro aspetto della rivelazione biblica, quella della necessaria collaborazione delle creature con il creatore, dell’umanità con il Salvatore. Nell’Esodo, ad esempio, il popolo grida verso Dio (Es 2,23-25) e la risposta di Dio è la vocazione di Mosè raccontata in Esodo 3-4. Dopo Mosè, avremo Giosuè, i Giudici, Samuele, Davide, i profeti … Il doppio aspetto dell’azione divina si riscontra anche nelle formule che descrivono l’Esodo. Chi fa uscire il popolo dall’Egitto? Dio o Mosè? In realtà è Dio, per mezzo di Mosè. Vediamo la stessa dialettica in diverse parti dell’Antico Testamento. Ad esempio, prima di alcune battaglie, Dio dice a Giosuè: “Coraggio! Consegno i tuoi nemici nelle tue mani!”. Dopo, Giosuè adopera una strategia vincitrice. Lo stesso per Gedeone in Giudici 6-7. Chi ha vinto? Dio o la strategia di Giosuè, di Gedeone, di Davide…? In teologia, si parla spesso di doppia causalità: divina e umana. Non sono dello stesso tipo, certo, però sono entrambi presenti. Direi che appare anche in alcuni miracoli, anche nel Nuovo Testamento. Nella moltiplicazione dei pani, qualcuno dà cinque pani e due pesci. È certamente insufficiente, però è stato anche indispensabile per operare la moltiplicazione dei pani. Si poteva immaginare un miracolo diverso, ad esempio pane che cade dal cielo. No, è il pane che si trova sulla terra che è stato moltiplicato.
L’incarnazione, secondo me, entra anche in questo schema. Dio poteva salvare l’umanità “con un colpo di bacchetta magica”. Non è accaduto così. La salvezza è venuta dall’umanità, dal “Verbo fatto carne”. Inoltre, ha anche voluto scegliere uomini per diffondere la buona notizia e ha affidato ai suoi discepoli la missione di costruire il regno dei cieli. La salvezza non è caduta “già fatta” dal cielo. Si costruisce ogni giorno sulla terra.
…tocca noi salvare il mondo imperfetto di Dio. Sul piano della religione e della fede, come si concilia questa tesi con tutta la storia della salvezza, con la colpa originale, con un Dio che diventa uomo e ci redime con la sua morte in Croce? Perché c’è bisogno che venga il Salvatore? Perché c’è bisogno della crocifissione?
Domanda difficile, certo. Però, di nuovo, possiamo porre la domanda in un altro modo perché, in realtà, siamo noi a descrivere la storia della salvezza come la presenta nella sua domanda: creazione, caduta e peccato originale, necessità di una redenzione, lunga preparazione della salvezza nella storia d’Israele, incarnazione, passione, morte e risurrezione, con la morte sulla croce per espiare il peccato originale, poi la chiesa battezza per salvare dal peccato originale. Molto bene, però questo tipo di riflessione risale soprattutto a sant’Agostino e, prima di lui, però in modo molto più schematico, a san Paolo nella lettera ai Romani e nella lettera ai Galati. E si ritrova nei nostri catechismi.
D’altronde, se leggiamo i vangeli – senza l’interpretazione di Paolo – vediamo che si parla ben poco del peccato originale. Gesù di Nazareth annuncia il regno dei cieli o il regno di Dio. Si parla certo del perdono dei peccati e dei peccatori. Però del peccato originale si parla ben poco. Come detto, solo Paolo ne parla. E perché ne parla? Per un motivo molto semplice: scopre in Gesù Cristo un messaggio di salvezza per tutta l’umanità e non solo per il popolo ebraico. Sarebbe troppo lungo e fastidioso ripercorrere tutte le tappe che conducono dal messaggio iniziale di Gesù di Nazareth fino alla teologia che conosciamo oggi. Basterà, penso, individuare i momenti più importanti. Gesù di Nazareth annunzia “il regno dei cieli” o “il regno di Dio”, vale a dire un nuovo tempo di grazia, un tempo di giustizia, di equità e di solidarietà, anche per i più umili, per “i poveri in spirito” come dirà nelle beatitudini, un regno di misericordia anche per i peccatori. Un regno aperto e non riservato ai “puri”, agli scrupolosi osservanti della legge. Non è un regno “elitario” riservato ai perfetti. Non è stato ascoltato, però, dalle autorità del suo popolo. È stato rigettato e sappiamo come finisce la storia. La crocefissione doveva essere la fine del suo messaggio, la prova del suo fallimento perché Dio non aveva impedito che sia condannato. Per dirlo semplicemente, nella mentalità popolare del tempo, Dio non può essere dalla parte dei falliti. La cosa non finisce qui, tuttavia. Conosciamo il seguito della storia, la tomba vuota, le apparizioni, i discepoli che si ritrovano e che iniziano a vivere l’ideale predicato da Gesù e ad annunziare questa buona notizia, prima agli Ebrei, poi, dopo diverse esperienze e negative e positive, anche ai non-Ebrei. Qui c’entra anche Paolo. Per lui, la crocefissione di Gesù di Nazareth segna una svolta nella storia dell’umanità. Perché un uomo vince la morte, supera la morte. Possiamo cercare di capire la cosa in diversi modi, però per Paolo, il fatto è che Cristo non è scomparso dopo la crocifissione. La morte, quindi, non è la fine della vita umana. Si tratta, ovviamente, di Gesù di Nazareth, non di qualsiasi persona, della sua opera e del suo messaggio. Gesù di Nazareth è morto sulla croce perché difendeva una causa e una causa giusta, per usare un vocabolario più moderno. La sua risurrezione è, per Paolo, la prova che questa causa era giusta e che Dio era dalla sua parte. Una prova non si può più eclatante perché Dio lo risuscita dai morti. E se Gesù di Nazareth, nella sua umanità, supera la morte, significa che apre una via a ogni persona umana per superare la morte.
Divento molto lungo… però, nella teologia di Paolo e del tempo, morte e peccato sono molto legati. Il peccato, nel mondo biblico, non è solo una “colpa”, un delitto che merita una sanzione. È una forza, una forza che distrugge e distrugge totalmente. Da lì il legame ogni tanto stretto fra peccato e malattia, fra perdono e guarigione. Il peccato originale, come descritto da Paolo, è la presenza di questa forza distruttrice del male in questo mondo e sin dall’inizio della storia umana. E questa forza che conduce alla morte è stata sconfitta nella morte e risurrezione di Gesù Cristo. Le forze del male si sono scatenate contro Gesù Cristo per distruggerlo, e si poteva pensare che avessero vinto. Non è il caso. La risurrezione prova il contrario. È la vita, la vita secondo il vangelo di Gesù Cristo che vince. La crocefissione è innanzitutto un fatto, ed è questo fatto che è interpretato dai vangeli e da Paolo come sorgente della salvezza. Era “necessaria”? Possiamo dire di sì, se vogliamo. Ma soprattutto se capiamo che era il modo più eclatante di mostrare che il peccato – le forze del male – e la morte non possono vincere e che sono state vinte. Mi fermo qui, tuttavia… Vi sono tanti aspetti da approfondire, ma abbiamo tutto la vita per farlo.