Patrilineare. Una storia di fantasmi
di Enrico Fink
Lindau 2025
Benzion Fink è nato in Russia nel 1879 ed è venuto in Italia, anzi nell’impero austroungarico, con moglie e figlio neonato ai tempi dei pogrom del 1905. A differenza di altri suoi connazionali non si è imbarcato a Trieste per la Palestina, ma è rimasto a Gorizia dove ha fatto il cantore nella sinagoga, nonostante avesse altri e più ambiziosi progetti. Essere rimasto in Europa non è stata una buona idea: infatti lui, la moglie Rosa, i tre figli, i mariti delle due figlie, i figli delle figlie sono morti nella Shoa. Moriranno tutti, tranne la nuora Laura Bassani e il piccolo nipote Guido, figlio di lei e di Isidoro, figlio di Benzion. Questa genealogia è raccontata in modo molto originale nel libro di Enrico Fink: Patrilineare. Una storia di fantasmi, che ha avuto la menzione speciale del direttivo del premio Calvino. L’autore, musicista fiorentino, racconta la storia della sua famiglia e cosa vuol dire essere in un certo senso l’erede di una storia così dolorosa e contemporaneamente viva e vitale.
“Devi sapere” gli dice la nonna Laura e queste due parole sono per Elias, il giovane protagonista come un ordine: ricorda! Il libro descrive come Elias progressivamente da un lato cerchi e impari a conoscere meglio la storia della sua famiglia (attraverso ad esempio i racconti faticosi e dolorosi del padre o gli oggetti conservati nella casa di famiglia) dall’altro cerchi e impari a diventare se stesso (attraverso i colloqui con un rabbino e la riflessione sulla storia di chi lo ha preceduto e più precisamente sugli effetti che questa storia avrà su di sé, in particolare sulla sua identità).
Ci sono tanti dettagli che tornano di generazione in generazione, che possono essere il tipo di capigliatura o la predisposizione per la musica, ma ogni generazione è chiamata sempre a vivere e confrontarsi con il suo tempo.
Fanno rabbrividire i racconti della discriminazione via via più violenta e insensata, fino alle retate, alla deportazione, alle fucilazioni. E fa rabbrividire ritrovarsi a pensare “come sempre”: alle persone che non possono più insegnare o lavorare, ai bambini che non vanno più a scuola, a volte venduti, sempre messi in carcere e infine deportati perché ebrei.
Raccontare e ricordare allora sono proprio due comandamenti, anche perché non riaccada l’orrore che è accaduto. Mi piace però finire con delle altre parole di Laura che sono come una specie di augurio per suo nipote: “Bisognerebbe trovare un equilibrio fra quello che ci si ricorda e quello che si dimentica. Tenere una distanza tra i morti e i vivi. Spero tanto che tu ci riesca, bambino mio”.
di Anna Urbani