La zona d'interesse
di Martin Amis
Einaudi 2015
Ho visto il film tratto dal romanzo di Martin Amis La zona di interesse; solo dopo ho letto il libro, spinta da una grande curiosità, e infine ho letto un articolo di Naomi Klein su "Internazionale" del 22/28 marzo dal titolo "Se il genocidio è un rumore di fondo", che commentava le parole che il regista del film, Jonathan Glazer, ha pronunciato alla cerimonia degli Oscar. Se potete, andate a vedere il film, leggete il libro e anche l’articolo di Klein.
Ancor più del film, il libro scava dentro il buio, l’incomprensibilità, la follia e la normalità della vita e della morte negli anni della Shoah. E lo fa dando voce a tre uomini: Golo Thomsen, un giovane ufficiale viveur, nipote e protetto di un pezzo grosso della gerarchia nazista; Paul Doll, il comandante del campo di concentramento, un gerarca stupido e convinto di ciò che fa; e infine Szmul, il comandante del sonderkommando: Primo Levi direbbe di lui un “sommerso” e infatti, nello scorrere della vicenda, lo spazio che l’Autore dà alle parole di Szmul è sempre minore, mentre le sue azioni in un certo senso riscattano l’umanità di tutti noi.
Amis sceglie significativamente di scrivere – cioè lasciare – in tedesco alcune parole, quelle legate alla sessualità in senso volgare e quelle relative alla gerarchia e all’organizzazione nazista. Come a dire che la dittatura nazista era e resta, in fondo, questo: volgarità e organizzazione. Nella postfazione, oltre a citare la mole di studi consultati per la stesura del romanzo, Amis tiene a precisare di non aver mai voluto nominare direttamente “Adolf Hitler”: lo mette proprio tra virgolette, come non fosse il nome di un essere umano, ma una citazione, una figura, un qualcosa di messo da parte e “più gestibile”, scrive Amis.
Al “rumore di fondo” così magistralmente rappresentato nel film, vorrei associare le ultime riflessioni di Amis intorno alle congiunzione warum, in tedesco nel testo, che significa perché, e cioè come può essere successo tutto questo? Si può dire che non c’è nessun perché, che non si debba proprio cercare, come fosse un comandamento (non cercherai perché, o meglio risposte) o se si possa, anzi debba anche solo cercare.
Prestare più attenzione possibile a tutto ciò che succede più o meno vicino a noi e chiederci sempre il senso di ciò che si fa e di ciò che facciamo. Mi sembrano due suggerimenti, che ci vengono dalla letteratura e dal cinema, interessanti e utili anche per il tempo che viviamo oggi, come ha sottolineato giustamente Glazer.
di Anna Urbani