Troppo breve il mio secolo
di Severino Dianich
ed. San Paolo

L’autore è prete della Diocesi di Pisa - come tiene a dire. È stato docente alla Facoltà di teologia di Firenze, esperto, in particolare, di ecclesiologia, tra i fondatori della Associazione Teologica Italiana, di cui è stato presidente dal 1989 al 1995.
Per le Edizioni San Paolo ha scritto, tra l’altro, Chiesa estroversa (2018), Gesù. Un racconto per chi non ne sa nulla… o ha dimenticato (2019), Di fronte all’altro (2022). Ha diretto e curato la pubblicazione de Il Nuovo Dizionario di Teologia (1976) e Teologia (2002) della serie dei Dizionari San Paolo.

Il libro non è autobiografico né storico, ma legge gli eventi del XX secolo attraverso le proprie memorie personali di “ottant’anni di vita vissuta, dopo aver raggiunto l’uso della ragione”.  La sua vita percorre direttamente i cinque anni della guerra, le tragedie del fascismo e del comunismo (vive anche l’esodo da Fiume dove è nato), la guerra fredda e il pericolo atomico, il periodo successivo di speranze e di delusioni. Prete, parroco, docente di teologia, impegnato nella pastorale universitaria, ha l’occasione di condividere sia le situazioni, tragiche ma con tante potenzialità, in tanti paesi come Etiopia, Turchia, Terra Santa, Cambogia, Sierra Leone, Cina, sia il periodo del Concilio Vaticano II, conoscendo i grandi maestri del rinnovamento della teologia e della vita della Chiesa, a cui succede il travaglio successivo, le chiusure e le durezze, i conflitti interni e la vivacità creativa, che porta all’attuale momento di Francesco e dl Sinodo. Con grande lucidità, riesce a collegare tra loro singoli eventi storici, e anche episodi della sua vita, con riflessioni su processi di lungo periodo. Coglie, ad esempio, come gli attuali nazionalismi che strumentalizzano la religione cristiana abbiano radici lontane nella Chiesa, e sono la perversione del tentativo di papa Wojtyla di rilanciare l’idea delle “nazioni cristiane” e delle” radici cristiane dell’Europa”. È lo stesso papa che con forza condanna la guerra del Golfo, causata dagli enormi interessi petroliferi, affermando che “il ricorso alla forza, anche per una giusta causa, era ammissibile solo 'se questo ricorso fosse proporzionale al risultato che si vuole ottenere, e se si pesassero le conseguenze che azioni militari, rese sempre più devastatrici dalla tecnologia moderna, avrebbero per la sopravvivenza delle popolazioni e dello stesso pianeta'. Don Severino vede la continuità con la posizione di Francesco nella guerra in Ucraina". In una recente intervista (a cura di Chiara Genisio in “Vita Pastorale” del febbraio 2024) afferma che “La realtà è che la guerra è questa, e lo è da sempre. Lo stupro, le popolazioni strangolate dalla fame, i bambini uccisi... Non esiste un'altra guerra. E ciò va detto ai giovani che s'illudono che queste guerre siano brutte perché ci sono dei belligeranti particolarmente cattivi, ma non è così. È pericolosissimo pensare che ci sia una guerra giusta o buona”.
Sottolineo questo sguardo sulla realtà della guerra non solo per l’attualità di questo dramma, che segna la continuità di tanti momenti della vita di don Dianich, non chiuso in un eurocentrismo addormentato nel proprio benessere senza guerra, ma perché indica come la profondità spirituale e del pensiero teologico sia legata alla concreta prassi, sia capace di interpretare la realtà. 

Un secondo esempio di capacità di lettura riguarda l’indicazione di un altro paradosso della storia, di un capovolgimento dei significati e della realtà. Il crollo del Muro di Berlino è stato la fine di un incubo e un nuovo inizio della storia umana. Invece, dopo non pochi anni, vediamo, in tante parti del mondo, “civile” e “cristiano”, la vergogna di nuovi muri per “difendere” i confini e per separare i quartieri dai poveri.

Si tratta, quindi, di un testo di grande interesse e utilità - oltre che di agile lettura - per chi, come me, ha memoria diretta di tutto questo periodo, e per chi è più giovane. La capacità “sapienziale” di Dianich è che il recupero del proprio vissuto “troppo breve” ci restituisce la molteplicità di significati di un secolo “breve” con i drammi e i mutamenti, “decisivi per la storia dell’umanità”. I significati emergono dalla dimensione umana, intima, dei racconti che esprimono gli affetti per tutti gli incontri e la fisicità delle persone, dai familiari, ai contadini e alle vittime, come dei teologi, ma anche dei luoghi e delle cose, a partire da quelle che è stato costretto ad abbandonare nella fuga dall’Istria con la sua famiglia.
Non risulta un quadro neutro con uno sguardo rivolto al passato. Le memorie sono raccontate guardando al futuro, alla speranza e alla responsabilità di compiere le attese e di evitare i drammi di questo secolo. Vengono infatti indicate le vie aperte dal Concilio alla Chiesa, non più “castello assediato” ma in un nuovo rapporto positivo con la storia, in dialogo tra chiese cristiani, tra religioni e culture.
Nell’intero tessuto appare chiara la positività della stessa inquietudine dl pensiero che rompe le cristallizzazioni e le astrazioni, ponendo al centro “una rilettura del Vangelo, libera dalle mediazioni di situazioni storiche sorpassate” e “propiziata […] da una rigorosa ripresa degli studi biblici”. La Chiesa “riconquistava il proprio ruolo critico, in nome del Vangelo, di fronte ai poteri mondani”. La crisi della Chiesa è vista quindi nella sua potenzialità, occasione di svuotamento e di cambiamento, per la forza stessa del Vangelo in cui si ripone la speranza per il domani. Questa mi sembra essere la conclusione del libro e il filo stesso dell’esistenza dell’autore

di Carlo Bolpin

 

Severino Dianich
Troppo breve il mio secolo,
ed. San Paolo 2023 pp. 208, euro 18,00