Il re ombra
di Maaza Mengiste
Einaudi 2019
Ho letto un romanzo potente che racconta una storia che come spesso succede mi riguarda. Ma questa storia mi riguarda in modo particolare, in quanto italiana (e veneziana, come uno dei protagonisti) e in quanto donna.
Si tratta del romanzo Il re ombra di Maaza Mengiste, scrittrice nata ad Addis Abeba che risiede a New York.
La trama del romanzo è ricavata dalle storie dei nonni della Mengiste e dai canti che avevano come oggetto le gesta dei combattenti - uomini e donne - contro l’invasione italiana degli anni 1936-41 e la lotta di liberazione che ha accompagnato quegli anni.
L’intreccio di storie di vita è particolarmente efficace e ricco. Ci sono gli italiani fascisti. Ci sono gli etiopi, quelli che stavano con gli invasori e quelli che lottavano per la liberazione. C’è posto anche per gli ebrei, l’antisemitismo europeo e la questione della razza. Ci sono le armi: più potenti quelle degli italiani, più rabbiose e consapevoli quelle etiopi, perché, come si dice, “giocavano in casa”. E poi ci sono le donne, la loro presenza nella guerra, come combattenti, ma anche e sempre come testimoni della loro vulnerabilità. Da chiunque e in qualunque schieramento i corpi delle donne sembrano essere lì per essere violati.
Singolare l’episodio centrale del romanzo: un contadino, di nome Minim, che vuol dire piccolo, assomiglia fisicamente moltissimo all’imperatore Haile Selassie, fuggito in esilio in Inghilterra. Si decide che questi ne prenda il posto, imparando e assumendo vesti e portamento, in modo da guidare nelle battaglie l’esercito e il popolo, che si erano sentiti invece abbandonati. Le valorose guardie del corpo di questo re ombra erano donne soldato.
Vorrei condividere almeno due dei tanti sentimenti che suscita la lettura di questo romanzo. Il primo riguarda il coinvolgimento e quindi la responsabilità di tutti e tutte nelle guerre. Mi sono ricordata dei racconti di Svetlana Aleksievic, nel suo La guerra non ha un volto di donne. Il secondo è la vergogna per quello che ha fatto lì, e immagino non solo lì, il mio paese. Non possiamo più far finta di non sapere. Grazie a Maaza Mengiste.
di Anna Urbani