Quel che affidiamo al vento
di Laura Imai Messina
Pickwick, Milano 2021
Ho letto un libro che parla in modo delicato e affascinante del dolore della perdita e di quella che si chiama elaborazione del lutto: Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina.
Il protagonista del libro, se così si può dire, è prima di tutto un luogo geografico; ma è anche un luogo simbolico che può trovarsi ovunque. Bell Gardia è il nome di un giardino che si trova in Giappone, in uno dei posti più colpiti dallo tsunami del marzo 2011. In questo giardino un uomo ha collocato una cabina telefonica. Questa cabina non è collegata a nulla e ciò che viene detto viene, appunto, affidato al vento. Ci possono entrare tutti, donne e uomini, grandi e piccoli, per parlare con coloro con cui non si riesce più a parlare: perché non ci sono più, ma anche per altre possibili difficoltà di comunicazione. Attorno alla cabina si costruiscono e si ricostruiscono relazioni vitali.
La scrittrice, romana di nascita ma giapponese di adozione, narra un intreccio interessante di culture e di interpretazioni della vita e della morte. Il Telefono del Vento, infatti, non è solo un modo di affrontare la perdita, la fragilità, l’assenza, l’incomunicabilità, ma è soprattutto un modo di affrontare la vita, imparando a rinominare il mondo, a partire dall’inizio, cioè dalla prima parola e relazione con la “mamma”.
La scrittura è originale: alcuni capitoli narrativi si alternano ad altri dove sono appuntate brevi note (un’indicazione bibliografica, o magari musicale, gastronomica, biblica) che servono a completare il racconto in modo stringato ed efficace. Nel suo insieme, il racconto rende evidente la ricchezza dell’umanità ma anche la trasversalità di alcune esperienze. Molto suggestive sono le descrizioni degli elementi naturali come l’oceano, le montagne, il tifone e, ovviamente, il vento. Non poteva mancare “il sussurro di una brezza leggera” nel quale Elia riconosce la presenza di Dio (I Re 19, 11- 13).
di Anna Urbani