Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà
di Telmo Pievani
Raffaello Cortina 2020
L’autore insegna Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova ed è direttore di Pikaia, portale dell’evoluzione.
Nel n. 4 2020 di Esodo ha scritto "Un’evoluzione nell’imperfezione”. Tra i libri più recenti: La terra dopo di noi, Contrasti 2019; Imperfezione. Una storia naturale, Raffaello Cortina 2019; Homo Sapiens e altre catastrofi, Meltemi Linee 2018; Il maschio è inutile, Rizzoli 2014.
In questo romanzo, che parla di filosofia e di scienza in modo appassionato e affascinante, Pievani immagina il colloquio tra due “giganti” del ‘900: il genetista premio Nobel Jacques Monod (noto anche per il libro Il caso e la necessità) e il premio Nobel per la letteratura Albert Camus, morto in un incidente stradale. Il libro riprende quanto scritto realmente dai due immaginando che Monod vada a trovare Camus sopravvissuto nell’incidente. I due grandi amici decidono di scrivere un libro assieme e si scambiano idee, leggono le bozze, ricordano le loro vicende nella Resistenza a Parigi. Questo racconto ha l’andamento di un giallo, in cui scienza e filosofia sono al servizio della poesia dell’amicizia e della vita. Se la scienza mostra che la terra, l’universo tutto e l’esistenza di ciascuno di noi sono caratterizzate dalla finitezza, tutto è insignificante? Caduta ogni illusione della centralità e “necessità” dell’Uomo nell’universo, e di un disegno finalistico insito nella “natura”, che anzi è ostile alla vita nel suo processo di evoluzione, è indifferente se e come concretamente vivo? La scienza ha operato il sacrilegio di svelare l’inganno di quelle religioni, filosofie, grandi narrazioni politiche che si sono sforzate di negare la contingenza e finitudine della condizione umana. Ci resta solo l’inquieta consapevolezza del nulla? Ogni ricerca di senso è superstizione, inutile ribellione alla natura? Eppure i due premi Nobel - attraverso i quali parla Pievani stesso - proprio per l’amicizia e per le lotte comuni, pensano che questa consapevolezza della ragione disincantata non basti e che sia possibile e necessaria la “rivolta” per cercare di mettere ordine nel mondo e in noi stessi. Perché, nonostante tutto, siamo “esseri desideranti”, “effimeri cercatori di senso”.
La scienza mostra non solo l’indifferenza della natura per la sorte umana, ma che senza di noi umani il mondo tornerebbe a rifiorire: eppure sentiamo un desiderio di felicità e di ragione. È questa una contraddizione evoluzionistica. Non possiamo essere indifferenti alla natura, dobbiamo resisterle, andare in senso contrario. Quella stessa fragilità, finitudine, assenza di finalità della realtà in cui siamo immersi, ci pone di fronte alla nostra libertà di agire e di essere responsabili degli effetti delle nostre azioni. Nel non-senso possiamo, dobbiamo costruire un senso, assumendo i rischi conseguenti della rivolta contro la finitudine. Allora vale la pena vivere e cercare le ragioni per vivere contro la morte, le sofferenze, contro il terrore e l’oppressione dei potenti, contro l’indifferenza. “Scatta un giudizio di valore, una presa di coscienza, un’impazienza, una ribellione”: siamo “la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è”. Siamo natura, con la medesima fragilità, ma possiamo cambiarla. Ne siamo responsabili nella strada della “civilizzazione, della crescita umana e sociale, della rivolta contro le innate condizioni assurde della vita”.
Ciascuno di noi è mortale, finito, ma ha la libertà di fare la sua parte nel cammino collettivo di emancipazione per diventare assieme “umani”, in una natura “inospitale”, “che non è stata fatta per l’uomo.” La consapevolezza della finitudine diventa perciò la possibilità di diventare umani, esseri liberi e morali, uniti nella stessa comunità di sofferenza e di solidarietà.
a cura di Carlo Bolpin