di Giuseppe Tattara  

 

 “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”
Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia 

Il “Piano Mattei”, dal nome di Enrico Mattei, influente fondatore del colosso degli idrocarburi Eni, è riemerso come argomento di peso nel discorso di politica estera dell’Italia durante il governo di Giorgia Meloni, in particolare per quanto riguarda l’impegno con l’Africa. L’iniziativa di Mattei del secondo dopoguerra si concentrava principalmente sulla garanzia di risorse energetiche per l’Italia attraverso un approccio orientato al partenariato con le nazioni africane.
Egli prevedeva un rapporto di cooperazione più ampio rispetto allo sfruttamento degli idrocarburi, offrendo ai Paesi africani condizioni migliori rispetto alle altre compagnie petrolifere occidentali. Questo approccio ha assicurato all’Italia le forniture energetiche, e ha anche permesso all’Italia di assumere una posizione di rilievo nei riguardi di alcuni stati come l’Iran e l’Algeria negli anni ‘50.

Il rilancio del Piano Mattei oggi mira ad affrontare diverse questioni come la sicurezza energetica, lo sviluppo economico, la crescente influenza di altre potenze globali in Africa, in particolare Cina e Russia, e in prospettiva il contenimento dei flussi migratori. La Belt and Road Initiative (BRI) della Cina e gli impegni strategici della Russia nel campo degli armamenti hanno aumentato significativamente la loro influenza sul continente. Il Piano Mattei è quindi anche una risposta strategica a questa competizione geopolitica. Interroghiamoci comunque se l’Italia con il paino Mattei stia offrendo all’Africa un modello alternativo.

Grandi annunci, risorse limitate
Il costo finanziario di un piano per l’Africa è ingente, data la dimensione del continente. Lo scorso gennaio, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato di “poter contare su una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti, interventi a fondo perduto e garanzie, di cui circa 3 miliardi proverranno dal Fondo italiano per il clima e circa due miliardi e mezzo da risorse della cooperazione allo sviluppo”. Si tratta quindi di partite di giro, di ammontare limitato, che deprivano altri settori, a loro volta molto importanti, e che convogliano i fondi verso questo nuovo progetto.
Al momento, l’unica azione concreta che il governo Meloni ha intrapreso sul Piano Mattei è stato il decreto legge presentato in Parlamento nel novembre 2023 e convertito in legge il 10 gennaio 2024. Il decreto è composto da 11 articoli, ma non contiene i progetti che saranno finanziati dal piano né le risorse che saranno utilizzate. Definisce le aree di cooperazione tra l’Italia e i Paesi africani, affidando al Governo il compito di adottare un piano quadriennale, rinnovabile, con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Tutto è affidato a un Comitato di indirizzo, di cui fanno parte il Presidente del Consiglio, alcuni ministri mentre sono assenti i paesi africani.
Al convegno “Italia - Africa. Un ponte per una crescita comune” del 28 e 29 gennaio 2023, ottanta organizzazioni della società civile africana hanno presentato una serie di richieste da sottoporre al governo italiano. Tra queste, c’è la necessità di maggiore trasparenza e di inclusione della società civile africana al Piano Mattei. C’è poi la richiesta di interrompere i finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili, mantenendo di conseguenza gli impegni a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento alla crisi climatica dei paesi africani e in ultimo, i paesi africani chiedono una cooperazione concreta per la transizione fuori dai combustibili fossili, aumentando le energie rinnovabili per soddisfare le esigenze della popolazione di quel continente.
A novembre, pochi giorni prima della COP di Dubai e due mesi prima del vertice Italia-Africa, ActionAid Italia, Focsiv, ReCommon, Movimento Laudato Si’ e WWF Italia avevano chiesto al governo di interrompere i finanziamenti pubblici alle energie fossili, veicolati in primis da SACE (Servizi assicurativi e finanziari per le imprese, ente pubblico) e Cassa Depositi e Prestiti che sono parte del Comitato di indirizzo del piano Mattei, purtroppo senza ottenere risposta. Buona parte dei recenti finanziamenti riguarda il gas naturale, che nell’ultimo secolo è diventato uno dei carburanti più diffusi sulla terra; si tratta di un combustibile fossile, anche se meno inquinante di altre fonti energetiche: non può essere inserito tra le fonti energetiche pulite e rinnovabili.

Dimmi con chi vai….Eni e piano Mattei
Il Piano Mattei oggi mira a rivitalizzare ed espandere i partenariati energetici con le nazioni africane, con lo scopo che l’Italia potrà attingere alle ricche riserve di petrolio, gas naturale del continente. L’ambizione del governo è quella di fare dell’Italia un “hub” per le forniture energetiche dell’UE, compensando lo shock seguito al taglio delle forniture russe. Si tratta di progetti che erano già stati pianificati dal governo italiano o da aziende a partecipazione statale da qualche anno e che ora sono stati inseriti nel Piano Mattei. Da più parti si è sottolineato che un partenariato con l’Africa avrebbe dovuto dare gran rilevanza al settore agroalimentare e all’industria tessile che avrebbero potuto indirizzare gradualmente i paesi africani sulla via dello sviluppo (Oxfam), offrire occupazione specie alle donne e, in qualche modo, porre un argine all’emigrazione; questi settori produttivi sono trascurati dal piano Mattei, probabilmente perché sarebbero entrati in conflitto con alcune produzioni dei paesi europei e con la politica UE di protezione. Su questi temi stanno lavorando con successo diverse Ong anche italiane, che avrebbero potuto essere potenziate.
Per avere un quadro inequivocabile dei veri interessi perseguiti dal piano Mattei, prendiamo in esame le trasferte africane della Presidente del consiglio. In Algeria si era recato nella primavera del 2022 il Presidente del consiglio Mario Draghi e aveva concluso accordi che avevano fatto di questo paese il primo fornitore di gas dell’Italia, sostituendo in parte le forniture dalla Russia. La Presidente Meloni ha visitato il paese il 23 gennaio 2023 accompagnata dall’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi e ha consolidato i precedenti accordi. Poi è passata alla Libia, dove l’Eni ha concluso accordi per 8 miliardi di euro per aumentare la produzione interna e le esportazioni e sono state consegnate le chiavi della prima delle 5 motovedette italiane per la guardia costiera libica di cui la UE ha finanziato l’acquisto.
La Presidente Meloni è stata poi a più riprese in Egitto a partire dal novembre 2022 dove si è recata all’incontro Cop 27 sul clima di Sharm el Sheik; è seguito un incontro nella primavera del 2024. I colloqui di Meloni hanno riguardato le forniture di gas dell’Eni e la chiusura delle trattative relative alla consegna di elicotteri militari di Leonardo, di navi militari di Fincantieri, di armi leggere. La presidente del consiglio, accompagnata dall’amministratore delegato di ENI, si è recata poi a Maputo, in Mozambico e in Repubblica del Congo. Maputo garantirà a Roma un miliardo di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) nell’inverno 2023-2024 e circa 4 miliardi di metri cubi nell’inverno 2024-2025. Dal Congo invece l’Italia riceverà fino a un miliardo di metri cubi di gas naturale liquefatto per l’inverno 2023-2024, e fino a 4,5 miliardi per il 2025-2026.
Non bisogna poi dimenticare la Nigeria con il progetto di gas di Bonny Island, di cui Eni è azionista e per cui SACE ha emesso una garanzia di 700 milioni di euro. In questi anni Descalzi ha dato nuova spinta alla campagna africana di Eni, mettendo a segno alcune delle più importanti scoperte di gas al mondo, in Egitto e in Mozambico, fino a fare di Eni il secondo produttore di idrocarburi della regione. Più di metà dei profitti della società sono generati in Africa, e nel 2022 l’utile operativo di Eni ha totalizzato la cifra record di 20,4 miliardi di dollari. Alla Coop29 A Baku pochi giorni fa la Presidente Meloni ha ribadito l’interesse per il gas naturale…. cui ha aggiunto la fusione nucleare.
Tornando all’Africa, da ultimo è stato lanciato Il Corridoio Sud dell’idrogeno, che è un’infrastruttura di 3.300 chilometri che dal Nord Africa dovrebbe arrivare fino in Germania, passando per l’Italia, per trasportare idrogeno prodotto in buona parte in Tunisia. È tra i Progetti di interesse comune e di interesse mutuo della Commissione europea, e considerato tra le infrastrutture necessarie alla sicurezza energetica del continente. Con il “RePower Eu”, infatti, l’Unione europea ha portato a venti milioni di tonnellate l’obiettivo della produzione di idrogeno verde, di cui dieci milioni da fuori l’Ue. Il corridoio dice il Ministro Gilberto Picchetto Fratin “rientra nello spirito del piano Mattei, che mira a partenariati reciprocamente vantaggiosi con i Paesi africani”.
Gli africani hanno già espresso le proprie perplessità rispetto all’idrogeno verde. In una dichiarazione firmata da 500 organizzazioni africane, questo gas viene bollato come una “falsa soluzione”, che “non fa nulla per i 600 milioni di africani che non hanno accesso all’energia. Invece trasforma la nostra produzione rinnovabile in merce da esportazione”. Si tratta di un approccio che ignora i costi del trasporto dell’idrogeno su lunghe distanze, come nel caso di quello da produrre in Tunisia, e i costi della sua generazione. Per ottenere un chilogrammo di questo gas servono nove litri di acqua “ultrapura”. Questo significa 13 litri di acqua dolce, o fino a venti litri di acqua da desalinizzare. In Paesi in buona parte desertici, quali la Tunisia, i piani per la produzione di idrogeno “verde” prevedono la realizzazione di impianti di desalinizzazione dedicati, che quindi sarebbero al servizio dell’industria e non per garantire l’accesso all’acqua alla popolazione. Una scelta che rischia di acuire l’instabilità sociale attorno alla questione fondamentale, quella della gestione delle risorse idriche.
Se davvero l’Italia vuole “guardare all’Africa con occhi africani” come dichiarato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, sarebbe bene che iniziasse con l’ascoltare le voci di chi vive in territori sacrificati in nome del petrolio e del gas. “La soluzione è liberare l’Africa da certi europei” diceva Enrico Mattei. Tra quegli europei, oggi, ci siamo forse anche noi.