Nei giorni 2-3 maggio del 2023 si è tenuto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia un convegno su La natura nel pensiero femminile del Novecento, nella cui sessione conclusiva alcune giovani studiose hanno letto e commentato con efficacia ed eleganza una selezione di pagine delle più grandi figure intellettuali del Novecento: Rosa Luxemburg, Simone Weil, Etty Hillesum, Katherine Mansfield, Anna Maria Ortese, Sylvia Plath e Cristina Campo.
Questi testi saranno ora pubblicati con cadenza settimanale sul sito della Rivista Esodo, preceduti da una breve nota introduttiva.
Nel primo, Anna Collini esamina con finezza il legame di Rosa Luxemburg con la natura, restituendone un ritratto intimo, incisivo, commovente.
In una poesia del 1918, dal titolo Buoni rapporti con i cavalli, Majakovskij scriveva che nell’inverno di Mosca, sulla via ghiacciata, un cavallo era stramazzato sulla groppa, suscitando le risa dei passanti. Il poeta allora si era avvicinato alla testa dell’animale e, chinatosi, vedendo “una gocciolona dopo l’altra” rotolare dagli “occhi equini” “giù per il muso” e sparire “dentro il pelame”, commosso gli aveva sussurrato: “Cavallo, non dovete. /Cavallo, ascoltate: /pensate forse d’essere peggio di loro? /Bambinuccio, / siamo tutti quanti un po’ cavalli, / ognuno di noi è un cavallo a suo modo” … L’ultima sera della sua vita Majakovskij si era trovato a guardare vecchi cavalli, raccolti nel cortile di una trattoria per vetturini, da una finestra all’altezza del suolo dell’interrato in cui si trovava, verso la quale pure alcuni di loro guardavano, incrociando il suo sguardo – di lui che aveva scritto: “Qui, / sulla terra / vogliamo vivere, non più in alto / né più in basso / di tutti questi abeti, case, strade, cavalli ed erbe” – qui, fatti neppure più corpi, ma carne”.
Di questo sguardo “orizzontale”, privo di gerarchia, parlano le brevi pagine che Anna Collini dedica sapientemente ad alcune lettere e note di Rosa Luxemburg, indizio di una vista che la “migliore gioventù” di inizio Novecento ha saputo coltivare e portare a dolorosa e insieme lieta pienezza in anni torbidi e terribili, consegnandola a noi.
Paolo Bettiolo
Rimanere seduti in un mondo di uomini in piedi. Rosa Luxemburg: una voce dal carcere
di Anna Collini
Breslavia, dicembre 1917: Rosa Luxemburg sta trascorrendo il suo terzo Natale dietro le sbarre, tra le mura di un carcere. Nei due anni di reclusione sono le numerose lettere inviate agli amici, ai compagni di rivoluzione, a testimoniare il suo impegno politico, inarginabile, e la sua lucidità di pensiero, ma, soprattutto, la di lei conquistata e non più intaccabile serenità d’animo o, per riprendere l’espressione dell’autrice, una “inesauribile letizia interiore”1. È in una di queste lettere che la militante Luxemburg narra all’amica Sonička il seguente episodio, a un primo sguardo fatto privato, di personale sensibilità nei confronti del mondo animale, in verità, però, ancora e sempre politico, così come il tema che respira tra le righe, tra le pagine della sua corrispondenza: la natura. Scrive così, Rosa:
Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo investì chiedendogli se non avesse un po' di compassione per gli animali. ‘Neanche per noi uomini c’è compassione’ rispose quello con un sorriso maligno e batté ancora più forte … Gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo, ma uno di loro sanguinava … Sonička, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta … gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. […] Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia2.
“[…] gli stavo davanti e l’animale mi guardava”3, scrive all’amica: è questo, a mio avviso, il cuore del passaggio riportato.
Per giungere dinnanzi all’animale, starvi davanti, Luxemburg deve essersi avvicinata, forse abbassata, averne cercato lo sguardo, in altri termini, deve aver rinunciato a quella posizione eretta tipicamente umana che, come annota Elias Canetti commentando Kafka, “rappresenta il potere dell’uomo sugli animali”4. Guardando il mondo animale, e in generale naturale, dall’alto della sua posizione eretta, l’uomo si pensa e si comporta come un padrone, domina, poiché gli esseri che incontra in tale mondo si trovano al di sotto del suo sguardo, della sua mano con la quale può colpire e colpirli; sviluppatosi in verticale, insomma, quello degli uomini è un mondo di distinzioni e di gradi, di differenti livelli di altezza e dunque di potere. Avvicinandosi al bufalo, invece, adeguando il proprio sguardo all’altezza dello sguardo dell’animale, Rosa Luxemburg si sottrae a questo mondo e alla sua logica, alle dinamiche a questo intestine, non è sul piano verticale bensì su quello orizzontale che si muovono i suoi passi, e qui, in una dimensione orizzontale, appunto, dove ogni sopra e sotto divengono arbitrari e cedono il passo al di fronte, ella entra a far parte di una prospettiva più ampia che eccede i confini di una realtà di soli uomini per avvolgere in un unico abbraccio tutto quanto ricade al suo interno. Negli “occhi scuri e mansueti” del bufalo, in quegli occhi che lei, a differenza del soldato, vuole e riesce a vedere, ella riconosce un fratello, e con quel “povero, amato fratello” piange; come scrive lei stessa, le lacrime che sente bagnarle il viso sono le lacrime dell’animale, il suo proprio pianto non è soltanto suo, così come non lo è il suo proprio soffrire, perché in quel pianto e in quel soffrire si compie la comunione dei rispettivi dolori, delle rispettive nostalgie, e dalla comunione, come testimonia la sua intera lettera, nasce il conforto. È dalla comunione con il mondo esteriore, infatti, che Rosa Luxemburg, anche “in gattabuia”5, attinge nutrimento per lo spirito, è la comunione con il mondo esteriore che, nello specifico, le permette di mantenersi “calma e serena come sempre”6, in una disposizione d’animo sorprendentemente lieta, addirittura gioiosa, e che non conosce il timore dell’abbandono. Rinnegata quella posizione eretta che nel porre l’uomo al di sopra della natura lo pone anche a distanza dalla stessa, Luxemburg, allora, recupera e incarna una alternativa modalità di stare al mondo, quella della parte in relazione con l’intero, o, per meglio dire, della parte in relazione orizzontale con le altre parti dell’intero. Quella natura, in questo caso il bufalo, che per il soldato rappresenta una proprietà da sfruttare a proprio vantaggio, un terreno su cui esercitare, dall’alto, il proprio potere, per Rosa Luxemburg è invece sorella, compagna di prigionia e prima ancora di vita, ed è proprio nella prigionia che questo legame si fa più intenso, si potrebbe dire vitale, laddove l’una, in assenza dell’altra, sarebbe sola, e soprattutto smarrita, come la parte isolata dal tutto. Ecco che invece, in virtù di questa intrinseca connessione tra interno ed esterno, tra lo spirito e la natura, anche nella notte più oscura Rosa scorge la bellezza – nella lettera scrive: “la profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto, a saperci guardare”7 – e “nello stridere della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della guardia”8 ode “un canto di vita piccolo e bello”9. È forse fuga dalla realtà, è forse sogno, questo suo lasciarsi cullare dalla notte e da un canto che, viene da pensare, sembra sentire soltanto lei? È l’incontro con il bufalo, di nuovo, a dare risposta a questo interrogativo. Rosa Luxemburg, come si diceva, si avvicina, cerca lo sguardo mite e impaurito dell’animale e lo osserva, gli resta dinnanzi: con quel gesto, con quel suo accostarsi all’animale e condividerne la sofferenza, farsene carico attraverso le proprie lacrime, ella, a ben vedere, non evade dalla realtà, piuttosto, indica un nuovo modo di rapportarsi a essa, all’altro, non più dall’alto e a seconda delle gerarchie proprie all’ordine della carne, per citare Pascal, bensì dall’interno, o, per meglio dire, da uno stare dinnanzi, orizzontalmente, che precede ogni qualsivoglia ruolo, ogni qualsivoglia sopra, ogni qualsivoglia sotto.
A questo punto, mi sovviene l’immagine di Platon Karataev, che fa la sua comparsa nel quarto e ultimo libro dell’epopea di Guerra e pace. Se ne stava in un angolo, “seduto, tutto curvo”10: è questa la prima cosa che scrive Tolstoj a proposito dell’insolito prigioniero; e poco più avanti, dopo avere accennato alle sue vicende biografiche, aggiunge: “voleva bene a tutti, e viveva in un rapporto amorevole con tutto ciò che la vita gli faceva incontrare […]. Amava il suo cagnolino, amava i compagni, i francesi, amava Pierre, che era il suo vicino”11. È con quel suo starsene seduto a terra in un mondo di uomini in piedi che vorrei giungere alla conclusione.
A chi poteva legarsi, quel piccolo cane che si aggirava da quelle parti, se non a Platon, l’unico uomo del quale riusciva a cogliere lo sguardo? Soltanto a lui si avvicinava, soltanto da lui faceva ritorno. Così come Rosa Luxemburg dinnanzi agli occhi del bufalo, il personaggio di Platon Karataev si fa testimone di un abitare il mondo che sia un co-abitare, una parte accanto all’altra, l’intero, si fa testimone di quell’umiltà che etimologicamente affonda le sue radici nel latino humus, terra: umile, appunto, è colui che proviene dalla terra, che sta in basso, seduto accanto a quegli esseri che non reputa inferiori; umile, in altri termini, è colui che è cosciente e pago della propria piccolezza. In alcune pagine confluite in una raccolta postuma, che prende il titolo di Lettere contro la guerra, Rosa Luxemburg scrive:
[…] ogni giorno faccio visita a una coccinella rossa con due puntini neri sul dorso che da una settimana mantengo in vita su un ramo, in un batuffolo di calda ovatta nonostante il vento e il freddo; osservo le nuvole, sempre più belle e senza sosta diverse, e in fondo non mi considero più importante di quella piccola coccinella e, piena del senso della mia infima piccolezza, mi sento ineffabilmente felice12.
Sono davvero impotenti e torpide, queste figure, così come affermava Luxemburg a proposito di se stessa e del bufalo? In altri termini, il rifiuto della legge della forza, della grandezza secondo l’ordine della carne, equivale alla resa? Al termine di questa breve riflessione, la questione che rimane aperta, e che mai ha perso di attualità, riguarda l’azione effettiva di principi quali la compassione, la condivisione, l’empatia: per dirla con Pascal, la carità. A dare sostegno alla spesso dimenticata storia dei vinti accorrono una certa letteratura e una certa filosofia, le quali dimostrano la possibilità, e non di rado l’esistenza, di una nuova etica che possa definirsi universale, valida non soltanto per l’uomo bensì per la natura tutta, e, contro la grandezza della forza, la forza di un altro tipo di grandezza.
Note
1) R. Luxemburg, in Id., Un po’ di compassione, a cura di M. Rispoli, Milano, Adelphi Edizioni, 2007, pp. 13-21, p. 17.
2) Ivi, pp. 19-21.
3) Ivi, p. 20.
4) E. Canetti, in Ivi, pp. 39-45, p. 39.
5) R. Luxemburg, in Ivi, p. 15.
6) Ibidem.
7) Ivi, pp. 16-17.
8) Ivi, p. 17.
9) Ibidem.
10) L. N. Tolstoj, Guerra e pace, trad. it. di P. Zveteremich, Milano, Garzanti Editore, 2020, p. 1172.
11) Ivi, p. 1177.
12) R. Luxemburg, Lettere contro la guerra (Berlino 1914-1918), a cura di A. Bisceglie, Roma, Prospettiva Edizioni, 2004, p. 79.