Carissime amiche e carissimi amici,
il Natale, una delle feste cristiane più sentite anche dal mondo laico, rivela il senso profondo e universale dell’irrompere nella Storia di Gesù di Nazareth, che nella piccolezza si fa dono agli uomini e alle donne di ogni tempo.

La continua novità del Natale
In un tempo di polarizzazioni e di fatica a lasciarsi attraversare dalla vita e dalla parola dell’altro (è questo il senso del dia-logos), in un tempo in cui è più facile escludere e alzare mura considerando il diverso un nemico e in cui la fragilità del tempo porta sempre più spesso il volto della violenza1, in un tempo di guerre e genocidi, al quale nessuna autorità, nemmeno sovranazionale, è capace di metter freno, quel Volto richiama l’estrema necessità di far nascere nella vita nostra e del nostro tempo il medesimo Amore. Un amore che si presenta a noi non secondo i canoni dell’umano potere, ma attraverso la fragilità del servizio; non secondo la mentalità dell’inimicizia, ma attraverso l’accoglienza dell’alterità che, se da una parte mette in crisi le nostre sicurezze, dall’altra ci permette di vivere di un indubbio, reciproco arricchimento.

È questa l’unica via capace di rivoluzionare davvero i rapporti tra le persone e nelle famiglie, tra le istituzioni e tra i popoli, nella politica, nella Chiesa e tra le varie Chiese e confessioni. In questo senso, della novità del Natale – inteso come novità piuttosto che come consuetudine – abbiamo tutti continuamente bisogno.

Il Giubileo e il richiamo alla giustizia
Il Natale di quest’anno segna in particolare l’apertura di un anno Giubilare, che porterà a Roma centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo; un appuntamento importante non tanto per i “segni” – in particolare il pellegrinaggio alla città di Pietro e Paolo, e l’attraversamento della Porta santa –, ma per il rimando ai “significati” affinché siano essi a inverare quei “segni” e ad aiutarci ad andare oltre a una superficiale e sterile ritualità, abbracciando i motivi per cui il Giubileo nasce in ambito ebraico: l’esigenza profonda di favorire la rinascita della vita con il riposo della terra2, evitare l’accumulo di ricchezze con la ridistribuzione ogni 50 anni della terra, e liberare gli “schiavi” (ogni tempo ha i suoi…) restituendo loro l’uguaglianza e riducendo la distanza tra ricchi e poveri.
Ci domandiamo se nell’ambito della cristianità i Giubilei siano sempre più eventi a cui assistere da spettatori, oppure se siano davvero capaci di contribuire a una riflessione sulla situazione generale del mondo e di favorire la messa in atto di azioni concrete in linea con quella mentalità sapienziale che li hanno originati.
In occasione di quello del 2000, si erano già sottolineati gli otto obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals3) delle Nazioni Unite, proponendo la cancellazione del debito internazionale e il raggiungimento della diminuzione della fame, della povertà, delle malattie e dell’analfabetismo nel mondo entro il 2025. Tale data è arrivata, ma gli obiettivi rimangono un miraggio e sono ben lontani dall’essere raggiunti, rimanendo solo dei buoni propositi.

Il tempo della guerra e le ragioni delle armi
Anzi, in un mondo ancora dilaniato dalle guerre, si sono allontanati tutti gli obiettivi, è cresciuto il divario tra le enormi masse dei poveri e i pochissimi ricchi, sempre più ricchi. E, attraverso retoriche vuote, spesso supportate dall’uso della religione come surrogato di ideologie politiche etno-nazionalistiche, senza che si dia mai una giustificazione concreta basata su dati e analisi fattuali, si crede ancora che le armi possano essere una reale risposta ai problemi di comprensione tra le Nazioni.
È invece la nonviolenza a dover trovare cittadinanza, senza dover essere giustificata da chiunque abbia un barlume di ragione, rispetto a chi la ritiene ingenua e buonista, impossibile da praticare.
In quest’ottica l’unico modo per sentirsi sicuri è la corsa agli armamenti in quell’“equilibrio delle forze” che non permette di perdere il passo degli altri Stati, come già Giovanni XXIII aveva stigmatizzato nell’enciclica “Pacem in Terris” (PiT, n. 59), scritta in tempi forse simili a quelli che stiamo vivendo attualmente4.
Questa rappresentazione della realtà fa crescere in maniera esponenziale il traffico di armi in linea con la richiesta della NATO di investire nella spesa militare fino al 2% del Pil nazionale, quando quel denaro potrebbe trovare altro investimento nel sociale.
La presenza anche sul nostro territorio, alla Base Usaf di Aviano, di armi nucleari – il cui “possesso” è stato definito da papa Francesco “immorale”5 – desta continua attenzione e, di questi tempi, anche forte preoccupazione.
A dare una maggior seppur falsa sicurezza sugli armamenti contribuiscono oggi l’intelligenza artificiale e l’aumento delle tecnologie belliche con lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma sofisticati, automatizzati e di precisione. Forme potenti di disinformazione digitale sono in aumento e la guerra ibrida – che mescola misure militari, informatiche ed economiche – ha intensificato la cupa nube d’insicurezza che incombe sul mondo tanto che «gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi a ogni istante con una travolgenza inimmaginabile» (PiT, n. 60).
 
Il profondo richiamo alla «retta ragione»
L’ideologia che soggiace al proliferare degli armamenti mette profondamente in crisi quella «retta ragione» (PiT, n. 61) richiamata dal Papa buono e basata su verità, giustizia, saggezza, solidarietà operante e umanità (cf. PiT, nn. 60.62); «retta ragione» che anche noi auspichiamo per intravedere tempi nuovi che ci portino – ognuno nel proprio piccolo e proporzionalmente alle proprie responsabilità personali e sociali – a essere artigiani di quella pace, che resta «anelito profondo degli esseri umani di tutti tempi» (PiT, n. 1).
A partire dal non tradire i testi sacri all’origine delle singole confessioni, con una loro interpretazione letterale che contrasta con quella profetica: abbiamo bisogno di tornare alle sorgenti della nostra fiducia nell’unico Dio, lasciandoci leggere dalla sua presenza amorevole, materna, misericordiosa.

Il tempo di "risollevarci"
Il card. Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, ha, infatti, così invitato il mondo occidentale: «Aiutateci ad alzare lo sguardo, perché non lo state facendo. State imitando quello che stiamo facendo noi, anche voi vi dividete e urlate parole di odio».
“Alzare lo sguardo”, dunque: un’esortazione che fa eco a quella di Gesù di Nazareth6, che per aiutarci a intravedere una «liberazione vicina» esorta a «risollevarci» e ad «alzare il capo».
Per dar voce a questa speranza, vogliamo innanzitutto aiutarci reciprocamente a “risollevarci”: lo scatto dipende certo da noi, dalla nostra volontà, ma vi può contribuire l’aiuto di chi ci sta vicino e che ci può (ri)motivare o dare una mano. Perché – come affermava don Primo Mazzolari – «la speranza vede quello che ancora non c’è: gli occhi della carne vedono il seme che marcisce, la speranza vede già la spiga».
Risollevarci, dunque, per non rimanere ripiegati su noi stessi, vivendo nello sconforto e nella rassegnazione, concentrati solo sull’io, “girandoci dall’altra parte” rispetto al contesto sociale, direbbe il nostro caro amico Pierluigi Di Piazza, il cui cuore sentiamo ancora pulsare nelle scelte di campo che siamo chiamati ogni giorno a fare in fedeltà al Vangelo e alla Costituzione, in obbedienza al nostro essere parte di questa umanità.
 
Il tempo di "alzare lo sguardo"
Vogliamo “alzare lo sguardo” per vedere l’altro e prendercene cura, con maggiore attenzione verso chi più fa fatica e non ha voce (Gino Strada amava ricordare che «i diritti o sono di tutti o, altrimenti, chiamateli privilegi»); vogliamo “alzare lo sguardo” per rispettare nella sua identità anche chi riteniamo avversario o nemico, chi sbaglia o ha commesso un reato. Perché non ci può essere speranza se non ci prendiamo la responsabilità di fare la nostra parte e tentare di ricucire storie e relazioni.
Nel novembre scorso la Corte penale internazionale aveva accusato il premier israeliano, l’ex ministro della Difesa e i leader di Hamas di crimini di guerra e contro l’umanità. Con la distruzione totale della Striscia di Gaza (dati Onu dell’11 dicembre u.s. danno 43mila persone uccise dal 7 ottobre 2023, giorno dell’atroce attentato di Hamas con l’uccisione di 1.400 tra civili e militari), territorio per il quale già nell’aprile scorso la Corte Internazionale di Giustizia paventava il “rischio di un genocidio”, si rende fondamentale che lo sguardo dei popoli si alzi a quel baluardo di civiltà che sono le Nazioni Unite, che, costantemente attaccate, rischiano di “morire”.
In questo tempo che ci è dato da vivere vogliamo impegnarci a promuovere verso chi da profugo o da richiedente asilo entra dai confini d’Europa nelle nostre terre, un’accoglienza caratterizzata da una progettualità che consenta il rispetto della dignità e dei diritti di ogni singola persona, in osservanza della legge nazionale ed europea, per una libera circolazione. Questo, purtroppo, molto spesso non accade: dal Silos di Trieste, all’ex caserma Cavarzerani di Udine, al Cpr di Gradisca, ad altri territori del Friuli e del Veneto, troppe persone sono rese invisibili ed è messa a rischio la loro stessa vita. Il giudizio verso i migranti avviene peraltro senza sapere quanto dolore e sofferenza dimorino in loro. Anche i dati sugli infortuni e morti sul lavoro mettono in evidenza il maggior coinvolgimento degli immigrati: la loro debolezza legale ed economica li conduce, infatti, ad accettare condizioni di lavoro più ingrate.
Eppure, con il rifiuto dei migranti e l’inosservanza dei loro diritti, nel contempo essi sono considerati un gran affare: ecco che si fa strada il loro disumano sfruttamento, come si è anche recentemente registrato nelle campagne del nostro Friuli così come del Veneto (ma lo stesso si verifica nel mondo dell’edilizia per la manodopera), dove, attraverso appalti “mascherati”, i braccianti sono vittime del caporalato, spesso oggetti di violenza, costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie, impiegati illegalmente nei campi, senza ricevere compenso fin quando non riescano a saldare il proprio debito relativo al viaggio che li ha portati in Italia e all’ottenimento del permesso di soggiorno.
Se tali situazioni stanno venendo alla luce è proprio grazie ai migranti che, pur trovandosi in una situazione di svantaggio causata dalla necessità di un lavoro, hanno avuto la forza di ribellarsi e, aiutati a raccogliere le prove, il coraggio di denunciare violenze e sfruttamento, presentando esposto in Procura.
 
La luce dei "Fari di Pace"
Nell’accennato contesto ci pare importante segnalare l’iniziativa “Fari di Pace”, promossa da Pax Christi Italia, dalla Diocesi di Trieste e da una quindicina di associazioni e realtà laiche ed ecclesiali, locali e nazionali, che si è tenuta lo scorso mese di novembre a Trieste e a Monfalcone, in occasione del passaggio per l’area giuliano-isontina della Marcia mondiale per la Pace e la Nonviolenza7.
Tale iniziativa è nata nel 2022 per portare la luce lì dove nascono le guerre: i porti, luoghi dove generalmente s’imbarcano le armi. Lo scopo è fare da “sentinella” all’art. 11 della Costituzione e alla Legge 185/90, che prevede la pubblicazione delle operazioni di export di armi e l’elenco delle banche che le finanziano e ne offrono servizi8. A fronte di quella saggia Legge, si deve purtroppo evidenziare la sua progressiva disattesa applicazione fino ad arrivare alla proposta di modifica, in discussione in Parlamento, per un traffico d’armi sempre meno trasparente.
Da parte del vescovo di Trieste, Enrico Trevisi, e dagli altri promotori è stata consegnata all’Autorità Portuale una lettera per chiedere la vigilanza al rispetto delle leggi che vietano il caricamento ed il transito di navi che portano armi a Paesi in guerra. Perché, nonostante Trieste sia fondamentalmente un porto commerciale, nel 2022 è risultato al 3° posto tra le province italiane per esportazione di armi. Inoltre è assodato che diverse aziende tra i principali produttori nel settore difesa hanno sede o stabilimenti nel territorio giuliano-isontino.
 
La luce dei segni miti
"Alzare lo sguardo" ci aiuterà, ancora, a  guardare lontano, a  scorgere che il nostro è un mondo che patisce e che soffre, ma – come per ogni gestazione – nasce e rinasce; “alzare la testa” servirà a non rischiare di perdere sulla linea d’orizzonte i raggi di sole che, attraversando le gocce d’acqua dei temporali e le lacrime del nostro tempo, danno forma all’arcobaleno.
«In questo mare di odio che ci circonda, vogliamo fare nostro il coraggio di alzare lo sguardo per vedere il bene che si compie, il coraggio di vite donate, il desiderio tenace di tanti uomini e donne per costruire relazioni di pace, il dolore non rassegnato di chi non rinuncia a scommettere sull’altro… Sono segni miti, che non si impongono e che non si lasciano trovare se non sono cercati e voluti»9. A fronte della dittatura del pessimismo e del disincanto, indotta spesso da ragioni infondate e diffusa a dismisura, il fiume del bene, di natura carsica, è sempre sotterraneo finché non riemerge con la sua forza e potenza quando meno te lo aspetti. Ecco solo alcuni punti di emersione:

■  al netto degli atti di violenza che contraddicono scelte di fondo e che sono sempre condannabili, i movimenti giovanili impegnati in tanti ambiti e con diverse modalità, che in questi anni si stanno mobilitando per la giustizia, la pace, la libertà, la difesa della casa comune, mettendoci la faccia, stanno indicando il bisogno di fare un passo in più, di abbandonare l’apatia e l’indifferenza, a maggior ragione la rassegnazione, sentendoci responsabili nel costruire attraverso scelte quotidiane e “politiche” un mondo capace di pensarsi in pace. Perché pace non è solo assenza di conflitti, lo shalom nella radice ebraica dice pienezza di vita e di senso, insieme di relazioni positive tra gli individui e tra le comunità, capaci di raggiungere la dimensione intima di ogni persona;

■ anche nei teatri di guerra più irriducibili si sono formate comunità di obiettori di coscienza, come la rete Mesarvot in Israele in cui si ritrovano militari e giovani, che non vogliono accettare la logica della guerra e sono collegati con giovani palestinesi, che rifiutano di aderire alle forze dei terroristi e, insieme, promuovono comuni manifestazioni; esperienze forti sono anche quelle di resistenza all’oppressione, come nei villaggi palestinesi dove si resiste all’occupazione israeliana con la nonviolenza;

■ così come sono importanti le altre voci, in gran parte di donne, che operano insieme per la pace, valorizzando le proprie storie e differenze, partendo dal vissuto dolore comune, provando anche il dolore degli altri, quelle “oasi di pace in un deserto di odio”, da Neve Shalom - Wahat al Salam a Peace Now, da The Parents Circle Families Forum a Women Wage Peace, da Breaking the Silence a Standing Together e ad altre esperienze “profetiche” come quelle che, durante la seconda Guerra mondiale, a Ventotene e a Camaldoli, indicavano il tempo della riconciliazione e della caduta dei confini nazionali;

■ ci sono grandi squilibri economici, eppure sono centinaia i ricchi che chiedono ai loro Governi e ai Summit mondiali economici di tassare i loro patrimoni perché – sostengono – non giova a nessuno una così diffusa diversità tra troppo ricchi e troppo poveri;

■ c’è un aumento del disimpegno a livello sociale, eppure continuano a reggere le comunità radicate sulla disponibilità gratuita di tempo, di fatica, di assistenza, di educazione, di accoglienza, in cui operano fianco a fianco persone di tutte le età, condizione sociale, religione e cultura: sono semi di quella solidarietà che non muore e che dovrebbe allargarsi sempre più; inoltre colpisce che la fascia 14-18 anni veda aumentare la percentuale di impegno nel volontariato – tra il 2021 e il 2023 è raddoppiata –, con ricadute positive sia come antidoto alla disgregazione sociale grazie alla spinta naturale verso la partecipazione, la solidarietà e la costruzione di legami autentici, sia sul benessere mentale degli adolescenti stessi: i dati dicono che chi fa volontariato soffre meno di depressione e di ansia.

La luce di un sogno a Nova Gorica e Gorizia

■  Un ulteriore motivo di speranza è dato dalla nomina della città slovena di Nova Gorica assieme a Gorizia a capitale europea della Cultura per il 2025. Perché la scelta è caduta su una città così moderna e apparentemente priva di particolari monumenti storici? Il motivo è da far risalire alla richiesta, da parte del sindaco della cittadina slovena alla vecchia Gorizia, in Italia, del supporto alla candidatura. E così si è voluto dare un messaggio sulla possibilità di ritrovare la forza e la convinzione di chi non si sente impotente, di chi crede che è ancora possibile cambiare registro, di chi pensa che l’essere umano ha tutte le potenzialità per trasformare le spade in aratri, le lance in falci, la vendetta in perdono, la violenza in autentica pace. Abbiamo tutto il diritto e anche il dovere di affermarlo in una terra che per tanti anni ha visto scorrere fiumi di sangue sulle nostre colline e montagne, ma ora si appresta a diventare addirittura capitale europea della Cultura.
Per questo è così importante che proprio a Nova Gorica e Gorizia si riprenda in mano oggi il tema del laboratorio internazionale di pace, senza dimenticare le migliaia di migranti della Rotta Balcanica che ogni giorno giungono proprio sul nostro confine e che a volte non trovano un tetto sotto il quale ripararsi dal freddo e dalle intemperie. Il nostro auspicio è che la capitale europea della Cultura sia anche capitale europea dell’accoglienza, della giustizia e della pace, luogo ideale per la presenza e la formazione dei Corpi Civili di Pace europei. Perché la pace non va attesa, ma va desiderata e organizzata.

La luce della gratuità di incontri senza confini
Vi raggiungiamo così con i nostri auguri perché il Natale sia per ciascuno un nuovo inizio, sia l’estrema esigenza di un cambio di mentalità, sia preparato dai più piccoli contatti umani: una visita, una parola, una mano che stringe, un momento di dedizione, qualcosa che fai perché sai che all’altro puoi fargli bene. Lasciandoci «attrarre dal gratuito, dalla scoperta di un incontro con un Dio che ha un volto inaspettato, che prende il nome e il cognome di qualcuno che ha fame, sete, è ignudo, malato»10.
Il Natale ci aiuti ad alzare lo sguardo, perché è dall’incontro con i volti e con le storie delle persone che abitano il nostro tempo e le nostre città che dipende il futuro nostro e loro.
Il Natale ci insegni a guardare lontano e a non disperare, perché finché non saremo indifferenti rispetto a un mondo sofferente, impaurito e violento, finché saremo capaci di creare reti e costruire ponti, eliminare steccati e confini, la nostra liberazione sarà sempre più vicina.

I firmatari:
i preti Alberto De Nadai, Albino Bizzotto, Antonio Santini,
Fabio Corazzina, Fabio Gollinucci, Franco Saccavini,
Giacomo Tolot, Gianni Manziega, Luigi Fontanot,
Mario Vatta, Nandino Capovilla, Paolo Iannaccone,
Piergiorgio Rigolo, Pierino Ruffato, Renzo De Ros;
Andrea Bellavite; Paolo Chicco;
Lisa Pelletti Clark (Beati i Costruttori di Pace);
Comunità San Martino al Campo di Trieste;
Associazione “Esodo” di Venezia;
Centro “Ernesto Balducci” di Zugliano (UD);
Gruppo “Camminare Insieme” di Trieste


Note

1) Solo un dato impressionante che riguarda la violenza di genere: in Italia sono 15mila le donne che ogni anno finiscono in Pronto Soccorso a causa degli abusi di un partner e più di 100 quelle che vengono uccise in ambito familiare-affettivo!
2) L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, nel discorso del 6 dicembre 2024 nella vigilia della festa di sant’Ambrogio, ha sottolineato a proposito: «Lasciare riposare la terra non significa assentarsi dalla storia, ma raccogliere tutte le energie per cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra».
3) Ecco nello specifico gli otto obiettivi del Millennio: sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo; rendere universale l’istruzione primaria; promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; combattere l’Hiv/l’Aids, la malaria e le altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.
4) Allora – correva l’anno 1963 – un lungo periodo di guerra fredda aveva portato Usa e Unione Sovietica ad accumulare un arsenale nucleare sufficiente a distruggere città intere; l’anno prima si era verificata la crisi di Cuba, quando l’installazione di missili sovietici aveva portato il mondo a un passo dal conflitto nucleare.
5) «L’uso di armi nucleari come pure il loro possesso, è immorale. Cercare di assicurare la stabilità e la pace attraverso un falso senso di sicurezza e un “equilibrio del terrore” conduce inevitabilmente a rapporti avvelenati tra popoli e ostacola il vero dialogo» (Tweet dall’account @Pontifex, in occasione dell’inizio della Conferenza Onu sulla revisione del Trattato di non proliferazione Nucleare dell’agosto 2022).
6) Dal Vangelo di Luca 21,25-36.
7) La 3a edizione della Marcia mondiale per la Pace e la Nonviolenza (World March for Peace and Nonviolence) è partita il 2 ottobre 2024 da San Josè, in Costa Rica, per farvi ritorno il 5 gennaio 2025.
8) Per questo da quell’anno sono stati toccati i porti di Genova – sostenendo in particolare quei lavoratori portuali obiettori nel carico delle armi in partenza su una nave saudita e destinate ad alimentare il conflitto nello Yemen –, La Spezia, Napoli, Bari – dove è nato l’Osservatorio della produzione bellica in terra pugliese – e Ravenna. L’edizione 2024 è approdata dunque nell’area altoadriatica, a due porti della terra giuliano-isontina, vicini e sotto la medesima Autorità portuale, ma al medesimo tempo non può non tener conto dei porti d’oltre confine poco distanti (Capodistria, in Slovenia, e Fiume, in Croazia) e della vicina Venezia.
9) Dall’omelia del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, nella Basilica del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, durante la Veglia pasquale 2024.
10) Da un intervento di Virginio Colmegna, prete milanese impegnato da sempre per affermare i diritti di cittadinanza dei più deboli e diffondere la cultura dell’accoglienza, attualmente è presidente onorario della Casa della Carità, voluta dal card. Carlo Maria Martini.

                 

Lettera di Natale 2024 in pdf

Servizio del TGR sulla Lettera di Natale