di Anna Foa, in rivista.vitaepensiero.it   

Quando il 7 ottobre di un anno fa i terroristi di Hamas sono penetrati in Israele distruggendo i kibbutzim sul confine con Gaza, uccidendo nella maniera più brutale i loro abitanti e centinaia di giovani che si erano radunati per un concerto, stuprando sistematicamente le donne e portando via oltre duecento prigionieri come ostaggi, non hanno soltanto compiuto un massacro indiscriminato e quanto mai sanguinoso di civili, ma hanno anche inferto una ferita difficilmente rimarginabile all’intero Paese. L’esercito e i servizi segreti hanno dato nella circostanza una prova eclatante di incapacità, che metteva in dubbio la percezione di sicurezza e invincibilità che gli israeliani avevano in passato avuto di sé, mentre la presenza di tanti ostaggi di tutte le età creava un problema etico gigantesco: dare o no la precedenza alle vite degli ostaggi?

E bastava a rendere Hamas responsabile unico della morte degli ostaggi l’affermazione ovunque ripetuta del governo, anche fosse stata del tutto vera, del fatto che Hamas usava gli ostaggi come già faceva con i civili palestinesi per coprire le installazioni militari? E ancora, nelle prime settimane emerse una domanda che coinvolgeva direttamente le scelte non solo militari ma politiche del governo: perché prima del 7 ottobre il confine con Gaza era stato quasi sguarnito mentre era aumentata enormemente la presenza militare israeliana al confine con la West Bank? Quale era l’obiettivo primo del governo di Netanyahu, liberare gli ostaggi e distruggere Hamas, o affermare la sovranità di Israele non solo su Gaza ma anche sui territori dell’Autorità Palestinese?

La storia successiva è quella di una guerra che ha quasi raso al suolo Gaza, determinando decine di migliaia di morti, la maggior parte civili, mentre continuano e si allargano gli attacchi di soldati e coloni nella West Bank, volti certamente a dar la caccia ai terroristi di Hamas ma anche e soprattutto a sgombrare il maggior numero possibile di villaggi palestinesi e a procedere verso la costruzione della Grande Israele, “dal fiume al mare” come nella parola d’ordine di Hamas volta invece a sbarazzarsi di Israele. E intanto la guerra si allarga al Libano con momenti di altissima tensione con l’Iran.

L’attacco terroristico del 7 ottobre ha rappresentato per gli ebrei israeliani un trauma terribile, per le sue modalità volte a creare paura ed orrore. Prima ancora che il governo agitasse propagandisticamente lo spettro del richiamo alla Shoah, un simile fantasma era riaffiorato nel Paese. Il 7 ottobre è stato certamente un evento terribile, ma non è stato una ripetizione della Shoah, anche la sua percezione in quanto tale ha portato nel mondo israeliano grande sgomento e sconcerto. Oltre a un senso crescente di isolamento, determinato dal fatto che l’oblio rapidissimo delle violenze del 7 ottobre da parte del mondo, prima ancora che i numeri dei morti a Gaza crescessero in maniera esponenziale e determinassero una vasta condanna della reazione di Israele.

Una reazione certamente prevista da Hamas, che proprio sulla sua condanna contava per rimettere la questione palestinese all’attenzione del mondo. I capi di Hamas hanno detto più volte di aver messo in conto non 40000 ma 100000 morti a Gaza, miliziani di Hamas ma in gran parte civili, pur di raggiungere il loro obiettivo. E dall’altra parte Netanyahu, con il suo governo di fanatici, ha cavalcato la guerra per affossare definitivamente la prospettiva di uno Stato palestinese, colpire la democrazia israeliana con leggi liberticide e affermare il suo potere.

E intanto gli ostaggi sono abbandonati al loro destino, nonostante mezzo Paese manifesti nelle piazze contro il governo per chiederne la liberazione e per caldeggiare una tregua. E la guerra si allarga sempre più.

Per non parlare delle altre gravi conseguenze del 7 ottobre e della guerra di Gaza, il crescere dell’antisemitismo nella diaspora. Dalle università che chiedono il boicottaggio di Israele ai veri e propri atti antiebraici, ovunque l’antisionismo confluisce nell’antisemitismo. L’attacco alla politica del governo di Israele diventa attacco all’esistenza stessa di Israele. E dall’altra parte, ogni rifiuto della politica del governo viene bollato da Netanyahu come antisemitismo. Ma se tutto è antisemitismo, dov’è l’antisemitismo?

Tutto questo nasce da quel terribile 7 ottobre e dall’attacco dei terroristi di Hamas, è vero. Ma deriva anche dalla guerra devastante di Gaza, dalla violenza contro i palestinesi della West Bank volta a cacciarli, dal degrado morale che ha colpito Israele, i suoi leaders e perfino parte del suo esercito. E ancor prima, dal permanere di una lunghissima occupazione. Solo dicendolo, riaffermandolo a gran voce, possiamo parlare del 7 ottobre.