di Giovanni Benzoni
Ho letto con particolare interesse l’ultimo lavoro di Marco Travaglio, senza quel distacco che cerco di mantenere quando leggo. Anzi con una passione perché speravo in una risposta, almeno una tregua nel mio essere ossessionato quasi da un rovello che tende a intensificarsi ogni giorno di più dopo i funerali a Milano di Silvio Berlusconi. Come capita a chi è vecchio, il rovello venato da varie forme di rimorso è riducibile alla seguente domanda: “come ho potuto passare indenne per decenni, pago del mio essere non berlusconiano, se possibile anti in tutto e per tutto?”. Dovrei quanto meno odiarlo... eppure no, non sono capace perché, a parte la sua simpatia di bugiardo e corruttore quasi al di sopra della sua stessa consapevolezza, forse sorretto da un ego fuori ogni misura, so che i suoi terribili decenni sono coincisi con un coinvolgimento strepitoso della maggioranza dei suoi contemporanei e io non riesco a non sentirmene parte.
Anche per cercare una risposta al mio cruccio, ho acquistato subito e letto da cima a fondo il corposo ultimo libro di Marco Travaglio cui comunque va riconosciuto il merito di una posizione antiberlusconiana, vigile, perseverante e sempre sul fatto, inteso come dimostrazione delle sabbie mobili di una palude senza confini, variamente degradante dalla corruzione all’inganno scientemente perpetrato con l’uso della leggi, spesso trovate e attuate per risolvere il proprio interesse personale e aziendale.
Il Santo, questo il titolo, fornisce in sovrabbondanza materiale per avvalorare quanto affermato nel sottotitolo: Beatificano B. per continuare a delinquere. Il libro definitivo per non dimenticare nulla. Nelle 522 pagine Marco Travaglio ha raccolto una documentazione che malgrado risulti un po’ (troppo) affastellata, sicuramente bisognosa di un lavoro accurato di editing, magari retto da un criterio meno vagolante e più attento a cogliere le linee di fondo di una vicenda che comunque supera la spassosa e tragica genialità del dottore, che nella celebrazione dei suoi funerali in duomo a Milano è stata palmare, resa evidente anche dall’omelia dell’arcivescovo Delpini che si è aggrappato all’evidenza ripetuta come un ritornello musicale ( è stato/ ora è morto), con la conseguente conclusione: ”Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio". A molti l’omelia dell’arcivescovo di Milano è parsa una furbata, perfino indegna; io ho un'opinione diversa e trovo che di fronte a tanta ostentazione di corale ammirato cordoglio, innervato da poderose iniezioni di impensate e impensabili forme di paganesimo idolatrico, il mio stupito e flebile "come è possibile?" non è venuto meno, anzi.
L’eredità di Berlusconi che ha premiato molti, sul piano della convivenza del paese e della sua sostanziale guida politica, continua alla grande, con un carico più pesante e oneroso di sodali più o meno consapevoli. Da questo punto di vista l’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni né è il sigillo di garanzia con forme personali meno fastidiose e irritanti del Berlusconi nelle sue molteplici versioni negli anni che passano per la sua epoca. Va letto in questa sostanziale continuità anche la duplice versione della nostra presidente del Consiglio cui dovrebbe risultare impossibile smentire decenni di dichiarazioni del tutto contrarie di quanto promette di fare e del dato di fatto che ha esibito una acquiescenza ai voleri degli Usa e della Nato per cui la sua presenza rende più piacevole ogni consesso internazionale.
Travaglio con il suo lavoro documenta e ricorda questo progressivo venir meno del senso dello stato, per l’uso piegato alla mafia, ai favori, ai soldi ad personam o quasi, ai traffici continui di triangolazioni all’estero per evadere il dovuto in tasse. Questo e molto altro ricorda e documenta Travaglio.
Eppure la mia gratitudine nei suoi confronti si ferma di fronte a questo mio constatare che nulla di sostanziale è cambiato, se non per qualche imbarcata di gente nuova, pronta a continuare forse a peggiorare la situazione. La mia conclusione provvisoria è che quello che è lodevole per uno che faccia il giornalista con un minimo di decenza, non è sufficiente per un cittadino italiano quale sono e vorrei essere: la nostra costituzione continua a essere la stella polare perché è nata dallo spirito resistenziale e antifascista che ha guidato i padri costituenti nel loro lavoro con e per il popolo italiano.
Con instancabile pazienza Gesù continua ad "alzare gli occhi verso i suoi discepoli" (Lc 6,20) verso noi tutti per ricordarci di guardare dalla prospettiva dei poveri e oppressi, di quelli che piangono, dei miti sopraffatti, dei costruttori di pace derisi. Guardare la storia dall’alto vuol dire perpetuare una logica di ingiustizia e di sopraffazione; guardarla dal basso significa assumere come parametro la sorte di chi è tenuto ai margini di essa, prendere per mano i derelitti della storia e della vita e annunciare che: "il Dio del Signore nostro Gesù Cristo… illuminerà gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati" (Ef 1,17-18).
Le nostre parole, i nostri gesti partono dal tesoro che custodiamo o meno nel cuore, redendoci capaci di togliere la trave dal nostro occhio o di restare ciechi. La parola ascoltata ci ricorda che continua a valerne la pena: solo così i nostri occhi sapranno riconoscere il desiderio dell’umanità tutta di essere amata, dei piccoli della terra di braccia che il accolgano, di tutta la creazione di continuare a sperare contro ogni speranza attendendo che giustizia e pace si abbraccino e si bacino. Sì, ancora instancabilmente, fino al nostro ultimo giorno.
Ecco ho trovato in questa mattutina meditazione che ricevo ogni giorno da Bose, lo spunto necessario e indispensabile per fare in modo che quanto Travaglio ci ha proposto non resti tra le carte destinate a un polveroso oblio.