di Carlo Beraldo
Si è spento domenica 15 maggio don Pierluigi Di Piazza, fondatore e Presidente del Centro di accoglienza e promozione culturale Ernesto Balducci con sede a Zugliano di Pozzuolo del Friuli, realtà di cui era anche parroco; aveva 74 anni e da alcuni mesi era gravemente ammalato.
Don Pierluigi è stato una personalità di riferimento per il suo impegno nel realizzare l’idea di una Chiesa povera e coerente con il Vangelo; noi di Esodo abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo; più volte ha scritto articoli per la nostra rivista.
Nato a Tualis di Comeglians (UD) il 20 novembre 1947, si è sempre sentito molto legato alle sue origini carniche, pur dimostrando una grande apertura e un profondo interesse ai temi della giustizia, della solidarietà da realizzare oltre ogni confine; ugualmente importanti per lui i temi dell’ecumenismo e del dialogo fra le religioni.
Nel 1989 ha fondato il Centro di accoglienza e di promozione culturale Ernesto Balducci, esempio di quella che è un’accoglienza concreta e costruttiva di dignità umana e di integrazione, accogliendo in questi decenni un migliaio di profughi e migranti provenienti da oltre 50 Paesi del mondo, accompagnati tutti in un percorso di piena integrazione sociale.
Persuaso che la cultura sia alla base di ogni cambiamento e di qualsiasi azione di solidarietà, è riuscito a qualificare il Centro Balducci anche come un importante riferimento di promozione culturale dove, in questi anni, si sono confrontati importanti testimoni del nostro tempo provenienti da tutte le terre del mondo.
La scoperta di questa importante realtà e del suo animatore da parte di Esodo, come rivista, è avvenuta sul finire del 1995, scoperta che abbiamo raccontato con uno specifico articolo qui sotto riprodotto.
Sarajevo-Accra, transitando per il Friuli
Zugliano, piccola frazione di Pozzuolo del Friuli, comune posto appena fuori Udine, ai margini della pianura che si estende verso il mare. Zugliano conta circa 1.200 anime, quasi tutte rigorosamente friulane, ma a vivere in questa parte di terra che porta ancora evidenti i segni di una laboriosa vita agreste vi è, da un paio di anni, una trentina di immigrati e profughi, provenienti nella quasi totalità dall’Africa (Ghana) e dalla Bosnia.
Singoli di ambo i sessi e nuclei familiari con bimbi piccoli sono stati accolti dalla popolazione locale non dopo dubbi, timori, diffidenze che normalmente accompagnano la decisione di convivere con persone provenienti da altre terre e da altre culture. Ora non vi è certo pentimento per quella scelta: il contatto e la relazione hanno contribuito a far superare gran parte delle iniziali difficoltà e l’accoglienza è divenuta pratica quotidiana di incontro e comunicazione che ormai coinvolge gran parte degli abitanti di questa particolare comunità, facilitando così il pieno inserimento sociale dei nuovi venuti.
Ha contribuito al compimento di queste scelte la presenza di un parroco singolare, “pre” Pierluigi, per il quale le grandi questioni che attanagliano gli abitanti dell’intero globo terrestre non possono essere percepite come dilemmi lontani per le cui soluzioni “altri” devono occuparsene.
Non è quindi accidentale che a Zugliano, nel settembre 1992, sia nata l’Associazione “E. Balducci” che, oltre a condurre il Centro di Accoglienza per immigrati, promuove periodiche iniziative culturali. L’ultima in ordine di tempo, realizzata nel settembre scorso, ha coinvolto alcune centinaia di persone in un’ampia riflessione intorno a “Fede e religioni” con l’aiuto di esperti e religiosi delle diverse fedi, provenienti anche da oltre confine. L’Associazione ha inoltre dato avvio a una significativa attività editoriale che riproduce i momenti più intensi del percorso culturale intrapreso.
L’episodio che concretamente ha dato inizio all’esperienza di accoglienza e solidarietà con gli immigrati è stata la concessione nel 1986 di 160 milioni di lire, da parte della Regione, per la ristrutturazione della canonica danneggiata da terremoto che aveva colpito il Friuli dieci anni prima. Pierluigi, in chiesa, era stato chiaro: “Con quei soldi non si può costruire una villa per il parroco”; il denaro era “pubblico” e quindi, se lo si accettava, doveva servire anche per chi, in difficoltà, si trovava al di là dei recinti posti dal tradizionale spazio (territoriale, culturale, religioso) in cui si vive. La radice evangelica che conduce all’effettiva disponibilità verso l’altro non lasciava insomma molte alternative e la comunità cristiana (o almeno gran parte di questa) di Zugliano, già impegnata in una ricerca di significato intorno alla propria fede, ha condiviso la scelta di aprire nella frazione il centro di accoglienza e di incrementare la riflessione intorno agli avvenimenti della storia contemporanea, “troppo spesso segnati dalle violenze e dalla guerra, dal dominio e dal privilegio, dall’usurpazione e distruzione dell’ambiente naturale”. Insieme, dunque, ricerca culturale, di senso ed azione - impegno a favore dell’accoglienza: alla “canonica” ristrutturata si sono poi aggiunte una casa e un’altra ancora, donate o messe a disposizione da singoli abitanti e ristrutturate, oltre che dal lavoro volontario, con soldi raccolti in tutto il Friuli (230 milioni di lire in due anni). Altre famiglie hanno inoltre concesso in affitto appartamenti di loro proprietà; e così Zugliano ò diventato un angolo multietnico del più vasto Friuli, dove fuori da qualsiasi “logica” assistenzialistica è viva la “constatazione di essere coinvolti, con umiltà e perseveranza, in un segno di speranza e di contraddizione rispetto alla grande questione della convivenza pacifica fra le diversità, contribuendo alla gestione di un luogo umano in cui le persone che lo desiderino possano tra loro comunicare”.
Il riferimento a Balducci e al suo pensiero proviene proprio da questa ribadita disponibilità a cogliere ciò che di umanamente rilevante accade oltre i confini del consueto, con la consapevolezza e il desiderio di sperimentare una doppia cittadinanza data dall’essere contemporaneamente inseriti in un luogo quotidianamente definito, ma pure in una più vasta terra, per cui nulla che accada in quest’ultima può essere considerato estraneo a se stessi.
Le stesse periodiche processioni che, in occasione di particolari momenti liturgici, si snodano per le strade di Zugliano, divengono segno, nella fede, di un transitorio procedere come viandanti per i sentieri del mondo.
Pierluigi è comunque consapevole dell'originalità di questa esperienza anche se non la considera affatto irripetibile, come invece spesso viene percepita anche da chi sentimentalmente esprime apprezzamento per quanto realizzato.
Le difficoltà e le resistenze, che limitano fortemente, anche in Friuli, l’accoglienza dei “viandanti” che arrivano, sono sempre le stesse: a una oggettiva complessità del fenomeno si aggiungono carenze politico-istituzionali, ritardi culturali, timori esistenziali non elaborati e altro ancora.
Pierluigi, con tristezza, ricorda che un tempo si diceva che il Friuli era senza storia, ma “ciò non è vero, non è senza storia, è senza memoria. Fino a trent’anni fa questa era terra di emigrazione forzata, da dieci anni invece è terra di immigrazione; quale immensa risorsa potrebbe essere stata la grande e purtroppo smarrita memoria dell’emigrazione friulana. E invece scattano gli stessi pregiudizi, gli stessi luoghi comuni di cui anche i nostri emigranti hanno dovuto a suo tempo patire. Non si vuole capire che quello che fa giungere anche da noi persone provenienti da altre terre è la speranza, la stessa speranza che un tempo animava gli emigranti friulani”.
Ma la tristezza che Pierluigi esprime, diviene più acuta quando ricorda che gran parte delle migrazioni in atto sono esito di gravi violenze che annichiliscono estese parti dell’umanità e in cui .le stesse religioni portano pesanti responsabilità. Bisogna comunque sperare, alimentando con gesti eloquenti la speranza; è questo che innanzitutto si coglie a Zugliano.
“Sogno Cristo, spesso – un pazzo mi disse – che passa per strade cosparse di cenere. Giovane è Cristo, e stanco. Talvolta mostra con la mano un camino in lontananza, il cui fuoco arde, arde e io allora porgo le mie mani, per riscaldarle, perché è freddo, è sempre freddo”. Bozidar Stanisic, poeta e narratore, autore di questi versi, è giunto tre anni fa in Italia dalla Bosnia con la moglie Slavica e il figlio Marco. Ora risiedono insieme a Zugliano.
da Esodo 4/1995, Il naufrago, l'isola, la zattera ovvero Dopo il crollo del vecchio ordine, pp. 46-47