di Mara Rumiz   

Io non so come si combatterà la terza guerra mondiale ma so che la quarta si combatterà con pietre e bastoni.  
Questa è una frase attribuita ad Albert Einstein. Che sia del grande fisico o no, queste parole rappresentano un’indubbia verità: gli arsenali che continuano ad accrescersi in forma esponenziale e si arricchiscono ogni giorno di armi più sofisticate, in grado di distruggere in pochi secondi grandi parti del nostro pianeta e della sua umanità, rendono reale la previsione.

Fino alla vigilia del 24 febbraio ritenevamo impensabile lo scoppio di una guerra alle porte di casa. Certo, negli anni ’90, c’era stato il precedente della guerra dei Balcani, con il suo portato di vittime, di violenze, di devastazioni, di smembramento di Stati ma la guerra in Ucraina colpisce di più perché riguarda un Paese che è nel cuore dell’Europa e che coinvolge superpotenze dotate di armi nucleari.
Quello che spaventa di questa guerra è la leggerezza con cui Capi di Stato di primo piano parlano di possibile espansione del conflitto fino ad arrivare a una terza guerra mondiale e al non escluso uso di armi nucleari. Spaventa, inoltre, la diffusa incapacità di far fronte alle complessità: tutto è bianco o nero, stai con i cow boy o con gli indiani.

Non c’è ombra di dubbio che ci sia un aggressore e un popolo aggredito e che tutto il sostegno vada a quest’ultimo. Ci sono però due questioni che non possiamo eludere:

  • La prima: analizzare le cause non serve certo a giustificare l’aggressore ma serve a capire come ne possiamo uscire. Ci sarà un armistizio primo o poi, si spera, e abbiamo il dovere di lavorare per il dopo, anche al fine di evitare una destabilizzazione continua con mille focolai pronti a scoppiare di nuovo. Non possiamo inoltre non considerare che anche i cittadini russi, compresi i ragazzi mandati al fronte, sono vittime.
  • La seconda: quale sostegno dobbiamo assicurare all’Ucraina? Ebbene, difficile che il sempre più massiccio invio di armi, ormai non più solo da difesa, aiuti a trovare la pace. Il contrario: più armi ci saranno in campo più la guerra continuerà. Anzi, la disponibilità di armi costituisce un alibi al non sedersi al tavolo negoziale e non alzarsi prima di aver trovato una mediazione. Il sostegno va dato attraverso la diplomazia, attraverso le sanzioni, attraverso gli aiuti umanitari, tanto più che sappiamo bene che a pagare il prezzo della guerra sono i civili: le vittime dei combattimenti e i milioni di persone che hanno dovuto lasciare l’Ucraina.

EMERGENCY è presente in Moldavia, a Balti, con un grande ambulatorio mobile in cui lo staff, composto da medici, infermieri, psicologi, mediatori, logisti, garantisce assistenza sanitaria, psicologica e orientamento ai servizi del territorio, ai profughi, soprattutto bambini, donne, anziani. Continuiamo a inviare farmaci agli Ospedali in Ucraina, sulla base delle loro richieste.
Stiamo inoltre gestendo diversi progetti indirizzati a chi arriva in Italia, in fuga dalla guerra.
Gli ambulatori di Emergency, compreso il Poliambulatorio di Marghera, stanno offrendo supporto per l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e orientamento ai servizi sanitari e sociali del territorio. 

Siccome EMERGENCY non dimentica le altre tragedie che ci sono nel mondo anche a noi molto vicino, si sta preparando a essere con una nave nel Mare Mediterraneo per soccorrere coloro che scappano dai conflitti e dalla carestia presenti in Africa. L’Italia che si sta dimostrando generosa e accogliente con gli Ucraini non può non prestare aiuto anche a coloro che attraverso il mare o la rotta balcanica. Arrivano da noi dopo sofferenze in inimmaginabili. 

Infine, non si può non ricordare il progetto a cui Gino Strada teneva moltissimo e che noi abbiamo la responsabilità di realizzare: fare della sede della Giudecca un centro contro la guerra. Già oggi, in applicazione del secondo scopo statutario di EMERGENCY (promozione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani), si organizzano rassegne cinematografiche, mostre, workshop, incontri con giornalisti, scrittori, esperti, ma contemporaneamente si sta lavorando alla realizzazione di un’esperienza immersiva che, traducendo in immagini, suoni, odori, esperienze tattili, il senso di perdita d’identità, spaesamento, devastazione che da la guerra, porterà i visitatori a maturare un rifiuto verso di essa.