Con questo articolo iniziamo a pubblicare esperienze e storie di alcune associazioni attive sul territorio veneziano che si prendono cura, in modo vario e articolato, di persone migranti e del loro inserimento sociale.
di Betta Tusset, per l'Associazione Casa di Amadou
Era il 2015 quando alcuni ragazzi pakistani ospitati in strutture di accoglienza attorno alla Parrocchia della Risurrezione di Marghera, nel quartiere multietnico della Cita, hanno bussato alla porta della canonica, per potersi connettere a Internet e per poter vivere per qualche ora una dimensione di domesticità.
A loro non sono state aperte solo le porte del patronato, ma addirittura quelle di casa: la cucina e il salotto del parroco da allora sono diventati, per questi giovani migranti e per molti altri provenienti soprattutto dai Paesi dell’Africa subsahariana, un luogo dove sostare settimanalmente, dove poter cucinare i piatti della propria tradizione e soprattutto dove poter incontrare persone, raccontando la propria storia, i propri sogni e i propri bisogni. Un gruppo di volontari, ogni giovedì, si è via via coinvolto creando una rete amicale di solidarietà, con l’obiettivo di affiancare chiunque sentisse il desiderio di stare insieme a persone di ogni provenienza in modo informale, per tessere relazioni, per potersi sentire parte del tessuto sociale in cui si trovava a vivere, per respirare aria di pseudo quotidianità dopo anni di affanni e talvolta accoglienza indegna. A mano a mano che fiducia e amicizie si consolidavano, con le confidenze emergevano più concreti i bisogni, le aspirazioni e le fatiche di ragazzi e ragazze che, finito il tempo dell’accoglienza istituzionale, si ritrovavano a non avere un posto dove vivere e un lavoro dignitoso che potessero garantire loro una certa stabilità.
E’ così che dal 2016, in collaborazione con l’Associazione DiCasa, i volontari hanno iniziato a rispondere alle necessità, soprattutto abitative, di alcune persone, cercando appartamenti in affitto sul territorio veneziano.
Nel gennaio 2018 la rete di volontari (circa 30 persone) e di persone migranti (circa 60 persone), che nel frattempo si è allargata ed ha incrementato le occasioni di collaborazione, ha dato vita all’Associazione di volontariato ‘Casa di Amadou’. Dal settembre 2018 a oggi, grazie a finanziamenti di fondazioni private (come Fondazione Kahane, Fondazione Trevisanato, Fondazione Migrantes, Fondazione Di Venezia, Associazione Una Strada) e all’aiuto di singoli cittadini, l’Associazione ha potuto ideare e sviluppare alcuni progetti, anche in collaborazione con altre realtà locali come, ad esempio, Caritas diocesana, con cui si è avviato e concluso il Progetto Start me up, rivolto al supporto di persone migranti in condizione di fragilità. Il progetto che comunque ha coinvolto maggiormente in operatività, tempo e impegno l’Associazione, godendo della dedizione immutata dei volontari e dell’apporto professionale a tutt’oggi di quattro operatrici, è il Progetto Jumping, sviluppatosi in due fasi pilota fino a dicembre 2019 e ora pienamente attivo. È un progetto di inclusione sociale, territoriale, lavorativa e abitativa, rivolto a persone migranti, che agisce sul territorio locale in rete con quelle realtà locali, regionali e nazionali che lavorano per l'inclusione.
Nella sede operativa, nel cuore di Mestre, le operatrici oggi accolgono le esigenze delle persone migranti collegate all'associazione Casa di Amadou: a ogni persona che vi si rivolge, vengono proposti colloqui di orientamento mirati a far emergere la costruzione del PAI (Progetto Autonomia Individuale), le proprie competenze reali e a prendere consapevolezza delle priorità da attribuire agli obiettivi che desidera raggiungere.
Al lavoro quotidiano delle operatrici, si aggiunge quello dei numerosi volontari che si rendono disponibili a sviluppare e realizzare i percorsi di sostegno abitativo, di alfabetizzazione legale e di interazione; un continuo percorso di formazione proposto a tutti i volontari è volto a migliorare l’efficacia e la competenza di ogni azione.
L’obiettivo primario è il raggiungimento dell’autonomia da parte delle persone migranti attraverso il coordinamento e la realizzazione di attività volte all’implemento dell’autonomia sociale e territoriale, abitativa ed economica delle persone coinvolte nel progetto. Le esperienze maturate in questi anni e le riflessioni maturate di conseguenza hanno permesso, infatti, l’individuazione di numerose azioni mirate a favorire tale autonomia. E’ fondamentale innanzitutto, per vivere bene per un certo periodo in un luogo provenendo da realtà lontane e differenti, partecipare alla vita sociale locale: significa intessere relazioni di amicizia, apprendere la lingua del Paese in cui ci si trova a vivere e conoscere i propri diritti e doveri. Per questo il progetto ha a cuore le interazioni nella città e promuove occasioni di convivialità: cene a cadenza settimanale, a proseguimento dell’attività originaria dell’associazione, attraverso l’incontro e la conoscenza fra persone migranti presenti sul territorio e volontari; escursioni con guida turistico-ambientale, conferenze aperte alla cittadinanza, per sensibilizzare e riflettere insieme sui temi legati ai percorsi migratori.
Conoscere la lingua italiana, e conoscerla sempre meglio, è importante per comunicare autonomamente e con sempre maggior competenza. Per questo si offrono gratuitamente: corsi di italiano a vari livelli, in sede, di 100 ore ciascuno, con insegnanti qualificati e tutoraggi individuali basati su richieste specifiche (conseguimento teoria patente, acquisizione abilità linguistiche settoriali collegate, ad esempio, al mondo lavorativo).
Le persone migranti uscite dall’accoglienza istituzionale non hanno spesso un luogo dedicato a orientarsi per fronteggiare i vari espletamenti giuridici di cui il loro percorso migratorio necessita. Nella sede di Jumping si può accedere a informazioni e orientamento legale sulla propria situazione attraverso uno sportello interno e a corsi di alfabetizzazione legale, rivolti a persone migranti e volontari, sulla normativa vigente in Italia e sulle diverse tipologie di permessi di soggiorno.
Oggi l’Associazione lavora per l’autonomia abitativa attraverso la gestione delle pratiche amministrative di una quindicina di appartamenti in affitto alle associazioni Casa di Amadou e DiCasa in tutto il territorio della città, la costruzione del Pai, l’affiancamento costante nella coabitazione e il supporto economico per sostenere le spese di vitto e alloggio per persone in momentanea difficoltà.
Di importanza fondamentale, al fine di rendere fattivo e realistico l’accompagnamento verso una piena vita libera e indipendente, sono i seminari Ricerca attiva abitazione, i seminari Domesticità, Gestione del denaro, Ricerca attiva lavoro. Per incentivare l’inclusione lavorativa poi, si propongono alle persone migranti interessate percorsi di formazione personale e professionale affinché il loro inserimento nel mondo lavorativo sia il più solido ed efficace possibile. Per questo si attivano e si sostengono uno sportello di orientamento al lavoro, corsi professionali, tirocini lavorativi co-finanziati e Industrial Talks (incontri informali con datori di lavoro di differenti settori lavorativi: alberghiero, commerciale, ristorazione e turismo, facchinaggio, agricoltura, edile e costruzioni) che aiutano a comprendere quali sono le attese e le difficoltà reciproche.
In quest’ultimo anno, nonostante le difficoltà collegate all’emergenza sanitaria, sono stati attivati sei corsi di italiano (in presenza e online); circa 50 persone hanno avuto accesso allo sportello legale; 50 persone hanno partecipato ai seminari; 20 persone hanno seguito un corso professionale; tre persone sono state inserite in un tirocinio lavorativo e 67 persone hanno usufruito del sostegno abitativo.
Infine 14 persone sono riuscite a trovare una completa autonomia, anche abitativa: questo è lo scopo ultimo che l’Associazione si prefigge: che le persone seguite lo siano per il tempo necessario a costruire il loro futuro, qui o altrove. Un tempo ad hoc per ciascuna e ciascuno; un tempo concluso e partecipato, non di attesa sterile, ma di risorse e competenze recuperate e valorizzate. Abbiamo toccato con mano, paradossalmente in questo anno difficile, che è possibile farcela, insieme. Quando potremo fare festa di nuovo, ne faremo una grande, celebrando anche la vita di chi il lockdown rischia di viverlo ogni giorno, nelle relazioni e nelle opportunità murate dall’indifferenza o dalla discriminazione.