di Carlo Beraldo
Periodicamente in Italia si sviluppano discussioni, che spesso degenerano in veri e propri conflitti tra posizioni in netta contrapposizione ideologica, sul tema dell’aborto. Recentemente la polemica, alimentata dai differenti giudizi sull’inserimento in Francia dell’aborto come diritto costituzionale, è sorta in conseguenza dell’inserimento nel cosiddetto Decreto PNRR 2024, ratificato dal Parlamento nell’ultima settimana di aprile, di un comma che così dice: “Le regioni organizzano i servizi consultoriali nell'ambito della Missione 6, Componente 1, del PNRR e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità” (Art. 44-quinquies.).
Il tema, oggetto del contendere, era ed è, sul ruolo esercitato dalle associazioni impegnate a favore della maternità e sulla loro o meno presenza entro gli spazi riservati ai servizi pubblici-consultoriali.
Serviva l’inserimento di questo articolo nel contesto di un decreto che parla di tutt’altro? No, non serviva, anche perché una norma simile è presente nella Legge194/1978 con titolo Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. L’art. 2 di questa legge, tuttora vigente, riporta infatti la seguente asserzione: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.”
Da notare, con riguardo alla diatriba avvenuta, che i testi normativi citati non prevedono alcuna obbligatorietà alla collaborazione e, nel caso tale collaborazione venga attivata, non vi è alcuna indicazione che vincoli l’esercizio della stessa mediante la presenza degli organismi associativi all’interno degli ambienti fisici consultoriali, se questo è accaduto è solo per disposizioni locali.
Quale, allora, il motivo della reiterazione del medesimo concetto che ribadisce l’importanza della presenza e dell’azione degli organismi sociali pro-vita? La risposta più naturale a tale domanda è che serva, da parte dell’attuale compagine governativa, per acquisire consenso politico/elettorale da parte dei membri di codesti organismi facendo intendere, strumentalmente, una convinta condivisione ideologica.
Messa così la faccenda potrebbe chiudersi, con un giudizio negativo verso questa operazione di accattonaggio clientelare, invece, non è opportuno farlo e per più ragioni; cerchiamo di scoprirle.
C’è un ulteriore articolo della Legge 194/1978 che val la pena richiamare ed è l’articolo 5, che dice: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.”
Importante notare che gli aiuti ipotizzati sono rivolti alle donne in quanto tali e quindi a prescindere da qualsiasi diverso elemento caratterizzante la sua condizione come può essere l’assenza del requisito della cittadinanza!
Il significato di questo articolo non lascia dubbi: assegna una grande responsabilità agli operatori dei servizi consultoriali e sociosanitari di comprendere le motivazioni che portano la donna a interrompere la gravidanza intervenendo sulle diverse cause (psicologiche, economiche, relazionali, logistiche, ecc.) che, se affrontate e rimosse, possono indurre la donna a modificare l’originaria decisione. È quindi un impegno, professionale e organizzativo, che coinvolge primariamente gli operatori (équipe psicosociali) dei servizi consultoriali, chiamati a sostenere l'effettiva libera scelta della gestante e per questo divengono attivatori di risorse nel contesto del welfare locale ampiamente inteso. È in tale ambito che le diverse forme associative di solidarietà disponibili e interessate a essere parte della più complessiva rete di aiuto divengono possibili risorse da coinvolgere con quanto concretamente possono offrire.
Queste precisazioni portano però a ulteriori riflessioni inerenti: l'effettiva funzionalità organizzativa e professionale dei servizi sociosanitari-consultoriali territoriali anche con riguardo alla prevenzione degli aborti; alla concreta presenza di un efficace welfare locale in grado di rispondere ai diversi bisogni sociali delle persone e delle donne gestanti; all'effettiva disponibilità alla collaborazione da parte degli organismi sociali statutariamente dedicati alla salvaguardia della maternità. Ebbene, ciascuno di questi elementi, presenta forti criticità, sia in conseguenza della tendenziale riduzione degli investimenti professionali, organizzativi ed economici a sostegno delle politiche pubbliche di welfare, sia per la profonda diversità nei criteri ispiratori e nei conseguenti comportamenti qualificanti i citati organismi sociali.
Diversi di questi organismi sono stati, ad esempio, promotori della proposta di legge di iniziativa popolare che introduce nell’art.14 della legge 194 del 22 maggio 1978 il comma 1-bis la seguente norma "Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso". È una proposta che ha raccolto 106mila firme, che tende a una dissuasione “accanita” all’aborto, e che è stata depositata nei mesi scorsi alla Camera dei deputati in attesa dell’avvio della discussione parlamentare. Ovvio che appena questo accadrà lo scontro tra diverse posizioni diventerà particolarmente acceso e alimenterà radicali opposizioni, alimentate ideologicamente, con l’esito di un'ulteriore rimozione delle concrete azioni, programmatorie e progettuali, che invece sarebbero necessarie anche per prevenire gli aborti.
Al prossimo conflitto, dunque!