di Giannino Piana     

Il recente documento del Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita dal titolo “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti pastorali per le Chiese particolari” ha suscitato vivaci reazioni a livello di opinione pubblica. Quali le ragioni? E quale, a tuo avviso, la loro attendibilità?

Le reazioni ci sono state, talvolta dure e non del tutto ingiustificate.

E queste, in particolare, a proposito del rilievo dato al tema della castità, e soprattutto alla conferma del “no” ai rapporti prematrimoniali, peraltro a lungo presente nella tradizione della Chiesa e mai ufficialmente smentito. In realtà, il tema della castità occupa all’interno del documento uno spazio assai esiguo – a esso è dedicato il n. 57 (con qualche breve accenno in seguito) sui 94 che compongono il testo. Ma non poteva mancare in proposito un’attenzione privilegiata a questo dato destinato a suscitare scandalo, e dunque ampiamente sfruttato a livello massmediale, per aumentare l’audience. La questione non è tuttavia irrilevante e merita di essere ripresa nel contesto della lettura dell’intero documento.

Qual è la proposta di fondo del documento? E quali le ragioni che hanno spinto la Chiesa a formularla?

L’obiettivo che attraverso di esso si persegue, e che è ben precisato fin dall’inizio dalla Prefazione di papa Francesco, è quello di far assumere alla preparazione del matrimonio la forma di un vero e proprio catecumenato, in analogia con la preparazione al battesimo degli adulti, in modo di impedire il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti. Una scelta di vita così importante merita un’adeguata preparazione, che garantisca la costruzione su basi solide della vita della coppia, evitando di incorrere in fallimenti che lasciano profonde ferite nella vita dei due e, se ci sono, in quella dei figli.

Quali sono i contenuti della proposta? E come vengono declinati?

Il documento si suddivide in due grandi parti, destinate a dare alla proposta un contenuto dottrinale e pastorale. La prima parte è dedicata all’illustrazione dei principi generali con l’impegno a far percepire ai futuri coniugi, attraverso l’esperienza del catecumenato, la bellezza dell’incontro con Cristo e ad aiutarli a fare discernimento della propria vocazione con l’accompagnamento dell’intera comunità. Il sacramento, che è un fatto ecclesiale, esige un cammino a tappe che si prolunghi nel tempo; anzi esige l’adozione di una vera e propria “pastorale permanente” che si svolga lungo tutto il percorso della vita nelle varie fasi della sua crescita umana e di fede. Nella seconda parte (la più consistente) viene concretamente illustrata la proposta pastorale, con la preoccupazione di mettere a fuoco i requisiti dell’itinerario catecumenale, i tempi e le modalità secondo le quali deve svilupparsi. Al di là dell’attenzione posta ai presupposti della formazione umana e spirituale essenziale per dare solidità al rapporto, lo spazio maggiore è assegnato alla presentazione delle tappe da percorrere nello sviluppo dell’itinerario catecumenale. A essere messi in programma sono momenti di ascolto della Parola di Dio e di preghiera, di approfondimento delle questioni che la coppia dovrà affrontare – dinamiche dell’amore coniugale e regole da rispettare, concezione di paternità responsabile e orientamenti per l’educazione dei figli –, della messa a fuoco del significato del matrimonio cristiano e del cammino da mettere in atto per viverlo. La proposta si chiude con la sollecitazione rivolta alla comunità cristiana, e in essa in particolare alle coppie di credenti, ad accompagnare i primi anni di vita della coppia e a prestare una specifica attenzione alle coppie in difficoltà o irregolari, creando appositi spazi e itinerari, perché possano sentirsi, a tutti gli effetti, inserite nella vita della comunità.

Quale possibilità questa proposta ha di venire attuata? E quali le condizioni perché questo avvenga?

Per quanto significativa la proposta risulta difficile da mettere in pratica: a molti operatori pastorali può apparire utopica e suscitare dunque scetticismo e diffidenza. In realtà non si tratta di un’ipotesi impossibile, la quale esige tuttavia per divenire praticabile l’adozione di una nuova   forma di esercizio dell’attività pastorale e, più radicalmente, di una decisa svolta nel modo di concepire della Chiesa. Si tratta di un profondo cambio di mentalità che rinunci a un’opera di sacramentalizzazione diffusa e incondizionata per dare il primato a una nuova evangelizzazione, destinata a promuovere una fede matura e responsabile. La crisi evidente del cristianesimo di massa, presente soprattutto in Occidente, costituisce un’occasione propizia per dare vita a questa svolta. La Chiesa deve oggi ridiventare fermento e lievito, sale e luce, annunciando a tutti, soprattutto con la propria testimonianza, la bellezza del Regno, che è per tutti (e non solo per i battezzati).


Torniamo alla domanda iniziale, quella riguardante la virtù della castità e il “no” ai rapporti prematrimoniali. Quale il tuo giudizio?

Non sono certo contrario alla pratica della castità, che deve tuttavia realizzarsi in termini sublimativi e non castrativi, come al di là delle buone intenzioni e dei tentativi di giustificazione positivi, è reso manifesto dal “no” ai rapporti prematrimoniali. Emerge infatti qui ancora una volta la difficoltà della Chiesa a instaurare un rapporto sereno con la sessualità, concependola come una dimensione costitutiva della persona e come una componente essenziale – il linguaggio – della relazionalità umana. Se si accettasse fino in fondo questa visione si capirebbe perché essa deve crescere in concomitanza con lo sviluppo della relazione e potersi esprimere nelle modalità scelte dalla coppia, senza dover sottostare a divieti esteriori. La restrizione dell’uso completo di essa entro il perimetro del matrimonio, oltre a risultare innaturale – è difficile giustificare che ciò che il giorno prima era proibito diventi il giorno dopo, a seguito della celebrazione del matrimonio, eticamente lecito – impedisce alle persone non ancora sposate una conoscenza globale dell’altro/altra, la quale fornisce garanzie rassicuranti per la scelta che ci si dispone a intraprendere. Non erano infrequenti in passato i casi di coppie, che, non avendo fatto pienamente esperienza, in ossequio ai dispositivi della Chiesa, della conoscenza sessuale, venivano in seguito a trovarsi in serie difficoltà fino a mettere talvolta in crisi il loro rapporto. L’aver inserito nel documento il divieto cui si è accennato ha finito per spingere molti a un suo pregiudiziale rifiuto, con la conseguenza di impedire che se ne colgano gli aspetti positivi che – come si è detto – pure non mancano.