di Giannino Piana
La famiglia attraversa oggi una profonda crisi d’identità. Si moltiplicano, infatti, le tipologie di famiglia diverse da quella tradizionale: dalle famiglie arcobaleno a quelle ricomposte. Ma soprattutto – come ha di recente rilevato un’indagine dell’Istat – aumentano ogni giorno i casi di separazione e di divorzio;
si diffondono le convivenze prive di alcun patto formale e crescono le situazioni di violenza domestica e i femminicidi. Che dire di tutto questo? Quale valutazione se ne può dare?
La situazione descritta è senz’altro allarmante. Ma non si deve fare di ogni erba un fascio. I fenomeni delineati non hanno la stessa rilevanza e la stessa gravità. Diverso è il moltiplicarsi delle tipologie di famiglia dai casi di separazione, divorzio e unioni di fatto; e, ancora diversa, e ben più grave, è la crescita delle situazioni di violenza domestica e dei femminicidi. È allora necessario operare un corretto discernimento. La moltiplicazione delle tipologie non è infatti di per sé un fatto nuovo: il concetto di famiglia (contrariamente a quello di matrimonio che ha nelle diverse culture un’accezione omogenea derivante dalla stessa radice etimologica matris munus) è tutt’altro che univoco. Molti sono i modelli che si sono storicamente succeduti: dalla famiglia clanica a quella patriarcale, fino a quella nucleare (per non ricordare che quelli più importanti). Le nuove forme attuali – si pensi soprattutto alle famiglie arcobaleno –, pur manifestando talora risvolti problematici, non vanno demonizzate; nascono anche dall’acquisizione di diritti in passato conculcati che vengono oggi giustamente riconosciuti. Più preoccupante è invece la situazione d’instabilità delle famiglie (separazioni e divorzi) che ha riflessi sociali rilevanti, soprattutto per le ripercussioni negative sull’educazione dei figli. Non si può, tuttavia, sottacere che erano frequenti in passato situazioni di convivenza forzata con effetti ancor più deleteri. Un’analoga considerazione riguarda la violenza domestica, che non è certo un fatto nuovo, ma che in passato veniva spesso coperta per ragioni di perbenismo. È dunque difficile fare un confronto tra ieri e oggi: in entrambi i casi emergono luci e ombre. Certo il disgregarsi dell’istituto familiare ha raggiunto oggi livelli particolarmente accentuati che non possono non far riflettere.
Quali, a tuo parere, le motivazioni di questa crisi? Si tratta di rilassamento del costume morale? Oppure si danno motivazioni più profonde legate alle trasformazioni socioculturali intervenute negli ultimi decenni?
Non si può certo negare che, alla radice della crisi, vi sia la presenza di quello che tu chiami “rilassamento morale”, ma credo si debba riconoscere che esso è più effetto che causa. E che la causa principale vada piuttosto ricercata nelle trasformazioni di carattere socioculturale che hanno caratterizzato, dagli anni 70 del secolo scorso, le abitudini e i costumi del nostro Paese. La rapidità dei processi evolutivi ha creato condizioni strutturali del tutto inedite e dato luogo allo sviluppo di una cultura, i cui connotati fondamentali sono l’individualismo, lo sperimentalismo e la dinamica del provvisorio: fattori tutti che convergono in quell’immagine spettacolare e altamente rappresentativa della “società liquida” fornitaci da Bauman. Che tutto questo rifluisca sui vissuti familiari non può che essere evidente. La ricerca della realizzazione individuale, il desiderio di sperimentare emozioni sempre nuove e la percezione della provvisorietà di ogni scelta (anche per il ritmo accelerato del tempo) sono altrettanti fattori che non possono che avere conseguenze negative sulla stabilità dei rapporti di coppia e familiari. A questo si devono aggiungere (e non sono motivazioni di poco conto) la dilatazione dell’area dell’appartenenza sociale, da un lato, e perciò la moltiplicazione delle possibilità di scelta, con l’inevitabile difficoltà a scegliere – la dilazione delle scelte sempre più avanti negli anni è dovuta anche a questa condizione che genera insicurezza – e con il moltiplicarsi delle occasioni che spingono a rimettere in discussione la scelta fatta; e la privatizzazione di matrimonio e famiglia dall’altro, la perdita cioè del loro significato sociale (e istituzionale), sia a causa della cultura individualista richiamata che a causa della scarsa attenzione delle istituzioni pubbliche – la situazione italiana è al riguardo tra le peggiori in Europa – a sostenere, attraverso interventi adeguati, la famiglia.
I processi negativi in corso sono, secondo te, arginabili o si tratta di fenomeni inarrestabili?
Credo siano necessarie alcune precisazioni. È impensabile (e anche oggettivamente errato) ipotizzare un ritorno tout court al passato, cioè al modello tradizionale della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna da considerare come modello esclusivo. Il pluralismo delle forme familiari è un dato di fatto acquisito e, entro certi limiti, anche positivo. Più complessa è la questione dell’attuale fragilità della coppia e della famiglia; non si possono certo addebitare anzitutto – come qualche volta avviene – alla cattiva volontà delle singole persone le attuali difficoltà a questo proposito. Come ho ricordato le ragioni vanno in primo luogo ricercate nei processi di mutazione della società tuttora in corso. Questo non esclude tuttavia la presenza di un quoziente di responsabilità personale, che sta nell’adeguamento passivo delle famiglie alle logiche dominanti. La possibilità di uscire da questa distretta è allora legata a un’inversione di rotta, che deve verificarsi tanto a livello istituzionale che personale. Sul primo versante – quello istituzionale – essenziale è, per un verso, la rinuncia al sistema consumistico dell’odierna economia di mercato, che ha come esito la consumazione (e la consunzione) di tutto, compresi i legami umani più profondi; e, per altro verso, l’adozione di politiche familiari capaci di rispondere alle esigenze delle famiglie di oggi. Sul secondo versante – quello personale – fondamentale diviene il cambiamento degli stili di vita familiari, con l’acquisizione e la pratica di valori come la gratuità, la capacità di comunicazione e di dialogo, l’esercizio della riconciliazione e del perdono, la sobrietà nell’uso delle cose e il ricupero della dimensione sociale, l’apertura cioè al mondo esterno, con la disponibilità a farsi carico dei problemi che assillano le categorie socialmente meno protette. La crisi in cui versa il modello di sviluppo dominante può diventare un’occasione propizia per questo cambiamento.
Ha ancora significato progettare convivenze “a lunga scadenza”? Esistono le condizioni per proporre una fedeltà per la vita? E quali sono i limiti invalicabili?
Personalmente ritengo di sì. Sono convinto che il valore della fedeltà sia un valore fondamentale nella costruzione dei rapporti umani, e soprattutto nello sviluppo di rapporti impegnativi e coinvolgenti come quelli legati alle scelte di vita. E non rinuncio a credere, anche grazie alla testimonianza di molte coppie, che la fedeltà per la vita sia praticabile. Ma il problema è: di quale fedeltà si tratta? Non può essere certo una fedeltà statica, ripetitiva di chi ritiene di essersi insediato in una situazione di definitività grazie al matrimonio, sia esso civile o religioso, e si affida passivamente a essa, confidando nel potere magico dell’istituzione. Deve essere, invece, una fedeltà evolutiva dinamica creativa, che va ogni giorno riconquistata attraverso un processo di costante rinnovamento. Già, a suo tempo, Tommaso d’Aquino, parlando delle decisioni cosiddette irrevocabili – le decisioni per la vita appunto – osservava che in quel caso l’uomo decide di tutto se stesso ma non totalmente (de seipso toto, sed non totaliter). E questo perché tali decisioni avvengono in un tempo e in uno spazio circoscritto e chi le assume non è in grado in quel momento di prevedere ciò che potrà verificarsi in tempi e spazi successivi e tanto meno è in grado di poterlo a priori controllare: le persone ogni giorno cambiano e i rapporti si modificano anche sostanzialmente. La fedeltà vera nei rapporti di coppia e familiari consisterà allora nel riscegliere ogni giorno l’altro in modo nuovo e originale sulla scorta della scelta che si è fatta una volta per tutte; nel dare, in altri termini, costantemente un senso nuovo al rapporto, sventando gli ostacoli emergenti e assumendo le sollecitazioni positive per favorirne un ulteriore approfondimento. L’amore non è una realtà che si acquisisce una volta per tutte; è una realtà che va ogni giorno conquistata e ricostruita. In questo consiste anche il limite invalicabile. Il modificarsi del mondo interiore delle persone e delle situazioni, anche laddove le scelte sono state fatte originariamente nel modo più responsabile, può provocare il venir meno dell’amore, e dunque l’assurdità di una convivenza inautentica: meglio la separazione o il divorzio! Questo stato di cose dovrebbe venire considerato con maggiore attenzione anche da parte della chiesa cattolica. Qualcosa di importante è avvenuto in questo senso con la promulgazione dell’Amoris laetitia di papa Francesco. Ma il cammino è ancora lungo, e molto resta da fare per colmare la distanza tuttora esistente.