di Giannino Piana

Il coronavirus ha messo in evidenza i limiti dell’attuale modello di sviluppo. Sono molti a ritenere che tra le cause che hanno provocato la pandemia in corso vi è la crisi ecologica. Che cosa ne pensi?

Sono convinto che sia così. La distruzione degli habitat naturali e l’inquinamento antropico, sono senz’altro tra i fattori più rilevanti, se non il fattore principale, dello scatenarsi dell’attuale pandemia.

Essa è causa ed effetto di un mondo profondamente in dissesto, dove gli equilibri degli ecosistemi sono divenuti fortemente precari – un milione di specie rischia l’estinzione immediata – e le previsioni sul futuro sono sempre più fosche. L’impressione che si ha, confermata da un numero vastissimo di scienziati, è che, se non si pone urgentemente rimedio a questa situazione dando vita a interventi drastici a livello planetario, si moltiplicheranno effetti distorti di ogni genere destinati a mettere radicalmente a repentaglio la vita dell’uomo e delle specie viventi.

Il riferimento alla crisi ambientale ci induce a prendere in considerazione un dato significativo, il fatto cioè che l’attuale pandemia sia di origine animale. Ci vuoi spiegare perché e come questo avviene?

Che il coronavirus, come del resto le diverse pandemie degli ultimi anni – da Ebola a Sars, da Mers all’influenza viaria e all’Hiv – sia di origine animale è fuori discussione. La diffusione del virus è prodotta dalla riduzione delle barriere naturali, che hanno rappresentato per secoli un argine al contagio. La distruzione delle grandi foreste, la riduzione delle specie vegetali che sono alla base degli alimenti dell’uomo – si pensi soltanto al grano –, la consumazione del suolo per colture e allevamenti e il terreno trivellato in cerca di materiali e combustibili, nonché il cambiamento climatico con le pesanti ricadute che conosciamo – è sufficiente ricordare qui lo scioglimento dei ghiacciai – sono altrettanti fattori che spiegano la mancata protezione dai virus.

Vorrei capire di più. Come è avvenuto questo connubio tra specie animali e dissesto ambientale cui va ricondotto lo scatenarsi della pandemia?

La ragione del connubio è facilmente comprensibile. I fenomeni ambientali ricordati hanno determinato lo spostamento di molti specie di animali dal loro habitat originario in contesti urbani – l’evoluzione tecnologica ha segnato l’accelerazione di questo processo – con una rapida trasformazione della loro identità, dovuta alla pressione selettiva delle città, in particolare delle grandi megalopoli, le quali svolgono la funzione di incubatori evolutivi, che inducono a cambiamenti coinvolgenti lo stesso corredo genetico. Da sempre la prossimità dell’uomo e l’inserimento degli animali negli ambienti urbani ha cambiato le abitudini e i comportamenti di alcune specie. Questo tuttavia si è prodotto negli ultimi decenni in maniera molto più accentuata e con un ritmo incalzante ed effetti sempre più preoccupanti. A conferma di questo è sufficiente ricordare che nel 2008 Kate Jones dell’University College di Londra, che ha identificato 335 malattie infettive emergenti a livello globale tra il 1940 e il 2004, rilevava come il 60% di esse proviene da fauna selvatica, con un’accelerazione costante del processo.

La situazione mi sembra dunque drammatica. È allora importante reagire dando vita a una svolta radicale. Quali sono, a tuo parere, i presupposti di questa svolta?

Non si può che convenire con l’affermazione della drammaticità della situazione. L’odierna pandemia ha reso evidenti le conseguenze negative provocate dalla devastazione dell’ambiente. La compromissione del mondo naturale ha danneggiato (e tuttora danneggia) rovinosamente la vita in tutte le sue espressioni, quella umana in primis. Cresce di conseguenza la consapevolezza che scienza e tecnologia, che hanno ampiamente dilatato le possibilità di conoscenza e di azione dell’uomo con interventi manipolativi sempre più estesi e sofisticati nei confronti della natura, hanno nello stesso tempo provocato effetti devastanti. Siamo di fronte alla strutturale ambivalenza del progresso nelle sue diverse manifestazioni, con l’esigenza pertanto di sottoporre a revisione critica l’ottimismo illuministico che ha avuto a lungo il predominio nel corso della modernità. Il coronavirus, per l’ampiezza della popolazione che ha raggiunto a livello mondiale e per il forte coinvolgimento esistenziale ed emotivo che comporta, può forse diventare l’occasione per un profondo cambiamento di mentalità e per dare avvio alla ricerca di un sistema alternativo a quello in atto. Il presupposto fondamentale di tale cambiamento e di tale ricerca deve essere la convinzione che mondo umano e mondo naturale sono inscindibili e partecipano di una medesima vicenda fatta di azioni e reazioni, che vanno attentamente soppesate con l’impegno di dare vita a nuovi equilibri. La scelta è divenuta, anche grazie agli ultimi accadimenti, urgente. Si tratta di ricuperare un rapporto armonico nei confronti della natura, superando tanto il mito del desiderio illimitato quanto l’indulgenza verso un ottimismo naturalistico per realizzare una corretta mediazione tra azione trasformativa e rispetto dell’identità.

Entrando più concretamente nel merito della svolta che hai detto necessaria, quali sono le condizioni perché possa realizzarsi? E ancora, quali gli indirizzi nuovi da perseguire?           

La risposta non è facile. È evidente anzitutto la necessità di preservare e di ricuperare la biodiversità. La consapevolezza che si dà una stretta relazione tra il nostro ecosistema e una serie di altri ecosistemi i cui delicati equilibri non possono essere impunemente alterati, ci obbliga non solo ad arrestare processi devastanti come la deforestazione e il riscaldamento globale, ma anche a ricuperare ciò che è stato distrutto – si pensi ai rimboschimenti – o a sostituire energie inquinanti con energie pulite e rinnovabili. Si tratta di abbandonare paradigmi di mera crescita quantitativa per perseguire diversità e qualità, dando vita a sistema insieme ecosostenibile e giusto; a un sistema, in altri termini, che sappia coniugare – come ci ha insegnato papa Francesco nella Laudato si – ambiente e giustizia sociale, rispetto delle risorse naturali e capacità di soddisfare in modo equo i bisogni veri di ciascuno e di tutti.  

In questo quadro qual è lo spazio dell’impegno personale di ciascun cittadino? Quali le responsabilità che dobbiamo assumerci?

La possibilità di dare vita a un sistema alternativo è senz’altro legata anche all’impegno dal basso, al cambiamento degli stili di vita personali, familiari e sociali. La stessa efficacia delle decisioni economiche e politiche è strettamente connessa a tale cambiamento – il consenso popolare è un pilastro essenziale dell’azione politica –, all’abbandono cioè della logica consumista per fare propri comportamenti ispirati alla sobrietà, come l’attenzione a evitare gli sprechi di risorse fondamentali per la vita – l’acqua in primo luogo –, a privilegiare mezzi che limitano l’inquinamento e a favorire l’acquisto di prodotti biologici, e l’elenco potrebbe continuare. Solo imboccando questa strada è possibile gettare le basi di un futuro meno gravido di incertezza e più carico di speranza.