di Cettina Militello, dal mensile dell'"Osservatore Romano" Donna-Chiesa-Mondo, aprile 2024

La preghiera delle donne ha caratteri diversi e propri? Davvero non lo credo. Alla sua radice, oltre la “domanda”, questo l’etimo, sta il bisogno, l’esperienza di Dio. L’attitudine di chi prega, uomo o donna che sia, è quella di chi sta alla presenza di Colui che da senso profondo al suo esserci al mondo. Lo trova e riconosce nelle creature e nel creato sino addirittura a considerarli, ognuno nel suo genere, come risposta al suo bisogno. Da qui l’idolatria… E poiché nel fluire della storia - e delle culture che l’hanno abitata - a fare la differenza non sono state le donne ma gli uomini, questi ultimi, soprattutto, hanno modulato e regolamentato questo bisogno innato.

Tant’è che le donne quasi mai sono state soggetto ufficiale della preghiera, più spesso relegate a forme che culturalmente ne esprimerebbero l’irrequietezza. Penso ai culti dionisiaci; alle donne invasate. Penso al culto della Grande Madre sublimazione dell’aspettativa femminile culturale: la maternità, appunto.
A mio parere insomma, ma credo mi supporti la storia e la sua lettura in chiave antropologico-culturale, se la preghiera delle donne è diversa, e soprattutto ghettizzata, lo dobbiamo all’impronta che a essa ha dato il maschio riservandosi d’essere medium tra la Divinità e il gruppo umano.
Accade la stessa cosa nella tradizione giudeo cristiana? In gran parte sì, ma nella griglia rigorosa della distribuzione delle funzioni, compresa quella cultuale, a volte qualcosa sfugge. E non si tratta di concedere alle donne d’uscire dalla schiavitù conclamata riconoscendo loro libertà perché invasate, possedute da un dio. Si tratta invece di riconoscere che le donne (e i bambini) sono a pieno titolo membra del popolo di Dio e dunque soggetto della preghiera in tutte le sue forme.

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