di Piero Stefani     

Esiste un unico scritto neotestamentario che si confronta in maniera ampia e argomentata con il sacerdozio dell’Antico Testamento: la lettera agli Ebrei. Il suo intento, infatti, è di presentare l’opera di Gesù Cristo in forma sacerdotale. Il confronto conduce però a evidenziare differenze radicali. Il sacerdozio ebraico è ereditario: occorre discendere dalla componente cosiddetta sadocita della tribù di Levi. Gesù però apparteneva alla tribù davidica di Giuda, quindi era un laico; come applicargli lo statuto sacerdotale?

La lettera agli Ebrei risolve il problema appellandosi a un altro tipo di sacerdozio, quello non genealogico di Melchisedek (cfr. Gen 14,17-24; Sal 110,4; Eb 5-8). Il «tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedek» (Sal 110,4; Eb 5,6) attesta l’unicità di quel sacerdozio («tu»). Di conseguenza anche il sacrificio è compiuto una sola volta; quindi è definitivo. Viene, perciò, contrapposto ai molteplici, ripetuti sacrifici tipici del sacerdozio aronitico. In definitiva Gesù è presentato sacerdote in modo antitetico ai sacerdoti appartenenti alla tribù di Levi: egli è il solo sacerdote; nella sua qualità di sommo sacerdote dei beni futuri, compie un unico sacrificio offrendo sé stesso (la coincidenza tra sacerdote e vittima costituisce, ovviamente, un’altra differenza capitale tra le due tipologie) (Eb 8, 11). Non c’è alcuna continuità tra il sacerdozio di Cristo e quello aronitico.
Dall’unicità e completezza dell’offerta di sé stesso compiuta da Gesù Cristo nella sua qualità di sommo sacerdote dei beni futuri deriva l’impossibilità di fondare un nuovo sacerdozio umano che reiteri nel tempo quell’offerta. Questo supposto nuovo sacerdozio sarebbe, per forza di cose, contraddistinto dai caratteri ripetitivi propri del sacerdozio aronitico, si presenterebbe perciò antitetico al sacerdozio costituito secondo l’ordine di Melichisedek. In conclusione, il sacerdozio ordinato presente in varie Chiese cristiane non trova il suo fondamento nella lettera agli Ebrei.

Resta un punto rilevante da affrontare. La lettera agli Ebrei dichiara apertamente l’abrogazione dell’«ordinamento precedente» (7,18). La parola «alleanza» torna in Ebrei più che in tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento. In un suo passo, essa chiosa una lunga citazione tratta da Geremia (31,31-34) con queste parole: «dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima, ma ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire» (Eb 8,11). Queste affermazioni hanno indubbiamente favorito l’interpretazione, ben consolidata nel cristianesimo, secondo cui l’offerta di Gesù sulla croce «sostituisce i sacrifici antichi» (cfr. per es. il capitolo «Ingresso in Gerusalemme e purificazione del tempio» in J. Ratzinger Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Lev 2011, pp. 11-34). L’interpretazione, sulle prime, sembra calzante; non bisogna però dimenticare che essa è costretta ad accentuare inevitabilmente una specie di ʺomogeneità concorrenzialeˮ presente tra il sacerdozio antico e quello nuovo; prospettiva che il messaggio più autentico di Ebrei si impegna fortemente a escludere. Il punto chiave sta nel fatto che la cessazione del sacrificio aronitico (cfr. la distruzione del tempio nel 70 d.C.) non è, in ogni caso, citabile come conferma dell’avvenuto perfetto sacrificio di Gesù Cristo il quale si pone su un piano ʺaltroˮ non bisognoso di alcuna garanzia esterna.

La posizione presente in una lettera di Paolo sicuramente risalente a prima del 70, è in proposito chiarificatrice: «Cristo, nostra Pasqua [metonimia per “agnello pasquale”], è stato immolato!» (1Cor 5,7). Cosa significa «nostra»? Per Paolo non ci sono dubbi che il senso dell'affermazione è che l'immolazione di Gesù, presentata in termini pasquali, è un atto che apre la via della fede ai chiamati provenienti sia dal popolo d'Israele sia dalle genti (cfr. Romani 9,24). Ci si colloca in un altro piano rispetto all'agnello immolato a Pasqua secondo le norme prescritte dal libro dell'Esodo e che, allora, continuava a essere sacrificato annualmente nel tempio di Gerusalemme. La sua presenza o la sua scomparsa non muta in nulla i termini del discorso. Si noti poi che Paolo applica a Gesù Cristo l’immagine di essere una vittima ʺaltraʺ rispetto all’agnello pasquale ebraico, senza citare in alcun modo un suo ruolo di sacerdote.

Nelle quattro versioni che il Nuovo Testamento ci presenta dell’«istituzione dell’eucaristia» (1Cor 11, 23-29; Mt 26, 26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20) non è presente alcun riferimento al sacerdozio aronitico. Anche nel caso in cui il sacerdozio ordinato si fondasse sull’ «ultima Cena», esso non sarebbe connotato in modo aronitico neppure il base a una lettura tipologica di antiche figure sacerdotali.