di Gianni Manziega

Non c'è dubbio che la partecipazione alla preghiera comunitaria, soprattutto alla Cena del Signore, è passaggio essenziale della vita di un cristiano. Ma ci sono delle situazioni che impediscono al credente tale partecipazione.

Un ammalato grave che non può muoversi da casa o dall'ospedale, un turista o un lavoratore in trasferta in paesi in cui non esistono chiese, un marinaio in navigazione nell'oceano... Forse in questi casi muore la fede? Medito la parola: "Il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato".

Credo sia il momento di prendersi in mano il libro del Qohelet: c'è un tempo per... C'è un tempo per pregare in comunità e un tempo per rinchiudersi nella propria stanzetta per una preghiera personale. Vanità delle vanità: tutto è vanità, anche gli obblighi più sacri cedono il passo al diritto a vivere. Leggiamo nel Levitico (24,8-9) che è "legge perenne" riservare ad Aronne e ai suoi figli (i sacerdoti) il pane, "cosa santissima", offerto dagli Israeliti "davanti al Signore". Eppure Gesù giustifica i suoi discepoli che, in giorno di sabato e contro la Legge, raccolgono spighe per cibarsene, sentenziando: "Il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato" (Marco 2,23-28).

Accettiamo i limiti imposti da una malattia, trasformatasi in pandemia, e rinunciamo, senza drammatizzarne la mancanza, alle liturgie in questo tempo di Quaresima. Viviamolo come il vero digiuno: la forzata rinuncia alla preghiera comunitaria. Del resto Gesù, preannunciando la liturgia escatologica che verrà celebrata al di là del Garizim o del tempio di Gerusalemme l'aveva detto: "Viene l'ora - ed è questa - i cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano (Giovanni 4,23).

 

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