Capannone n. 8
di Deb Olin Unfehrt
Sur 2021
Si può parlare della vita e della sua complessità, della libertà e della schiavitù, del mutamento climatico e della capacità distruttiva della nostra civiltà, del nostro destino di esseri umani e non, parlando di galline? Si può. Lo fa in Capannone n. 8 la scrittrice statunitense Deb Olin Unfehrt.
Leggendolo si imparano un sacco di cose sulle galline e sugli umani. Ciò che accade alle galline fa pensare a ciò che accade agli umani. Avete mai pensato che il cervello delle galline non è banalmente piccolo, ma concentrato in poco spazio? Avete mai provato a immaginare cosa si prova a essere intruppati nelle batterie dei capannoni per produrre milioni di uova? E poi ci sono gli esseri umani: pur nella diversità, si trovano tra le loro vite collegamenti sorprendenti, che nel tempo si intrecciano in modo imprevisto e imprevedibile.
I protagonisti del romanzo sono tanti, ciascuna e ciascuno racconta la sua storia e ha la sua visione del mondo e il suo modo di affrontare la vita, attraverso le perdite e la ricerca della felicità. L’Autrice fa notare che anche le galline sono tante e diverse e hanno la loro visione del mondo, il loro modo di comunicare e di reimparare la libertà.
Nel libro si affrontano più temi: il rapporto tra generazioni diverse, progetti di miglioramento degli allevamenti o la decisione di lasciare tutto così com’è, semplice accumulo di prodotti.
Il libro racconta un gesto eclatante di protesta, di giustizia (ma per chi?), di liberazione (ma di chi?), e un gesto può mettere insieme tante persone e per diversi motivi. C’è un interrogativo scomodo che serpeggia lungo tutto il libro: siamo sicuri che la nostra vita sia tanto diversa da quella delle ovaiole? Mentre gli esseri umani sono destinati alla distruzione, gli animali sembrano poter resistere, magari con l'aiuto di qualche umano particolarmente sensibile, o attento, o diverso...
Concludo con queste parole dell'Autrice, purtroppo tristi: "Non possiamo distruggere le stelle ma possiamo distruggere la possibilità di vederle...". È una possibilità, non un destino né tantomeno un imperativo categorico!
a cura di Anna Urbani