Una donna ancora giovane oziosamente distesa in una mattina di sole all’ombra di un albero. Fiori cadono stupendi su di lei che, staccati dai rami, presto si sfanno. L’enigma di questa bellezza tanto vana nella sua caducità la induce a pensare al suo stesso veloce e vano passare. Ieri, giovanissima, un giovane si era fermato davanti a lei, poi era già suo sposo, difficile quanto amato, e ora lì in quell’ora piena di sole pensa cupa che non vuole un figlio… Un secondo figlio. Un piccolo bimbo gioca vicino a lei e ora richiama la sua attenzione. Lei lo guarda ostile, lui sorride non credendole, solare… e la sua bimba fiducia gioiosa la attira commossa vicino a lui.
Tutto qui. La vita è un terribile enigma, scrive Katherine Mansfield… ma, se non forse un fiore, un bimbo in una breve ora felice apre a incontenibile grazia, annota Eva Avesani.

Paolo Bettiolo

Sul palmo della mano. Un confronto fra nature nel pensiero di Katherine Mansfield
di Eva Avesani

Lascio subito spazio a un passo del racconto Alla baia di Katherine Mansfield, che riesce a restituire una profonda visione della condizione umana in rapporto alla natura:

Adagiata su una sedia a sdraio, sotto una manuka che cresceva in mezzo al prato davanti a casa, Linda Burnell lasciava trascorrere la mattina con aria sognante. Non faceva nulla. Guardava in alto verso le foglie scure, vicine e secche della manuka, osservava gli squarci di azzurro tra di esse e, di tanto in tanto, un minuscolo fiore di un giallo tenue le cadeva addosso. Bello. Sì, tenere sul palmo della mano uno di quei fiori e guardarlo attentamente era una cosa meravigliosa. I petali giallo pallido brillavano come se ognuno fosse il risultato dell’accurato lavoro di una mano amorevole. Il minuscolo pistillo al centro gli conferiva l’aspetto di una campana che, girata a testa in giù, mostrava la sua parte esterna di un color bronzo intenso. Eppure, non appena sbocciavano, quei fiori cadevano a terra e si disperdevano. Bisognava spazzarli via dal vestito e toglierseli dai capelli dove rimanevano impigliati. Ma allora perché sbocciavano? Chi si disturbava, o si divertiva, a creare delle cose che andavano del tutto sprecate? Era un mistero1.

In poche righe Mansfield ci ha descritto quel sentimento di meraviglia e insieme di angoscia che l'essere umano prova dinnanzi all'incapacità di comprendere il mondo in cui vive e la propria posizione in quel mondo. Il racconto del fiore che nasce e subito cade, che appassisce appena sbocciato, mi ha personalmente trasportata indietro alle primavere passate nel giardino della mia scuola a Verona, dove l’inebriante profumo dei due bellissimi alberi che vedevo ogni anno fiorire si trasformava in un odore sgradevole in appena una manciata di giorni, lasciandomi spaesata e quasi impaurita, tanto le sensazioni che provavo erano sproporzionate rispetto al mio comprendere.
La parola che ci viene in aiuto per spiegare tale sentimento di spaesamento è il termine greco Thaûma, che significa sia “cosa meravigliosa” che “cosa orribile”: è la grandezza e potenza smisurata della natura che pone per prima l'individuo dinnanzi al mistero della propria esistenza e della propria caducità, spingendolo a interrogarsi sulla propria condizione al fine di afferrarla e conoscerla; è l'incapacità di spiegare il divenire in ogni sua forma che ci destabilizza e ci rende pesante il petto, a tal punto da provare questa meravigliosa angoscia, o angosciante meraviglia.
Tuttavia, Mansfield trasmette con le sue parole qualcosa di più profondo e di più paradossale; se, infatti, è del tutto condivisibile la riflessione sul senso di disorientamento che, ad esempio, Immanuel Kant, nella Critica della forza del giudizio, descrive come ciò che scaturisce di fronte all'immensità dei cieli, alla potenza del mare, alla maestosità delle rocce a strapiombo o dei vulcani, al cospetto dei quali non ci si può che pietrificare, risulta invece di difficile comprensione come l'innocuo sbocciare e sfiorire di un fiore susciti tanto smarrimento. È solo un capriccio, è un gioco della forza creatrice? Come è possibile un avvenimento così naturale e così irrazionale allo stesso tempo? Come può una cosa così bella e attraente trasformarsi nel suo contrario? E perché ci colpisce così tanto? L'autrice, inoltre, attraverso la narrazione della vita di Linda Burnell, ci pone di fronte non solo al conflittuale rapporto che l'essere umano instaura con la natura del mondo che lo circonda, ma anche con la sua natura stessa di individuo. Attraverso la descrizione di questo rapporto fra e con le due nature, Mansfield riesce a gettar luce sullo statuto precario dell’essere umano. Leggiamo ancora:

I garofani dai petali screziati risplendevano nel loro bianco abbagliante, le calendule dagli occhi dorati brillavano e i nasturzi avvolgevano le colonne della veranda in fiamme verdi e oro. Se solo si avesse il tempo di guardare questi fiori abbastanza a lungo, di superare la sensazione di novità e stranezza e di conoscerli! Ma non appena ci si soffermava a separare i petali di un fiore o a osservare la parte inferiore di una foglia, arrivava la Vita e spazzava via tutto. Adagiata sulla sdraio di vimini, Linda si sentiva leggera, le sembrava di essere una foglia. Poi la Vita sopraggiunse come un vento e l’afferrò scuotendola. Doveva andarsene. Santo cielo, sarebbe stato sempre così? Non c'era alcuna via di scampo?2

Le parole di Mansfield creano un parallelo tra la fugace esistenza del fiore – cortocircuito fulminante tra la nascita e la morte – e la caducità della vita. La protagonista del racconto comprende che la labile corsa contro il tempo che ogni singolo fiore compie, descritta nei più aggraziati e allo stesso tempo terrificanti dettagli, è l'inevitabile destino a cui lei stessa è soggetta. Linda Burnell sembra vivere una vita che non le appartiene completamente, che tenta di afferrare, ma che inevitabilmente e continuamente le sfugge. È l'irrefrenabile divenire sotto le mentite spoglie della Vita che la afferra, la scuote e la trascina irrimediabilmente di fronte alla consapevolezza della propria misteriosa condizione. Così è per lei e così è per tutti noi.
Bellissima e di grande maestria la ricapitolazione della vita della protagonista, con il passato remoto e quello prossimo che si saldano al presente senza soluzione di continuità. È lo stesso cortocircuito che segna la breve vita del fiore.

... Ora era seduta sulla veranda della loro casa in Tasmania, appoggiata alle ginocchia del padre [...]. Ma proprio in quel momento un giovane robusto con luminosi capelli fulvi passò lentamente davanti alla loro casa e sempre lentamente, perfino solennemente, si tolse il cappello. Il padre di Linda le tirò l’orecchio per stuzzicarla, come era solito fare.
"Il fidanzato di Linda" le sussurrò. "Oh, papà, pensa se sposassi Stanley Burnell!" Bene, ora era sposata con lui e per di più lo amava3.

È come se l'autrice, attraverso i suoi racconti, tentasse di illuminare a macchia d'olio la nostra interiorità facendola emergere dal rapporto che l'essere umano istituisce con la natura, consentendoci, così, di gettare un fuggevole sguardo sulla nostra esistenza e permettendoci di intuire il senso profondo della nostra vita, di afferrarla e indirizzarla, accogliendola come un dono da coltivare al massimo delle nostre capacità e non da lasciar appassire.

Il guaio era – e questo le faceva quasi venir voglia di ridere, benché non ci fosse in realtà nulla da ridere – che lei vedeva il “suo” Stanley molto di rado. Erano fugaci apparizioni, attimi, piccoli spazi di serenità, ma per il resto era come vivere in una casa alla quale non si poteva impedire di prendere fuoco in continuazione, come viaggiare su una nave che naufragava ogni giorno. Ed era sempre Stanley a correre il pericolo più grande. Linda era costantemente impegnata a salvarlo, a rimetterne insieme i pezzi, a tranquillizzarlo e ad ascoltare le sue storie. E il tempo che le restava lo trascorreva nel terrore di avere un altro figlio. Aggrottò le sopracciglia, si raddrizzò prontamente sulla sedia a sdraio e ricongiunse i piedi. Sì, era proprio questo il suo cruccio nella vita, era questo che non riusciva a comprendere, questa la domanda che continuava a porsi aspettando invano una risposta. Era facile dire che il destino comune delle donne fosse mettere al mondo dei figli. Non era vero. Lei, ad esempio, era la dimostrazione del contrario. A causa dei figli si sentiva distrutta e indebolita, il suo coraggio era svanito4.

Ma ecco che il suo bambino, sdraiato lì accanto, si volta:

Stava a pancia in su e non dormiva più […] “Sono qui!” sembrava dire quel sorriso felice. “Perché non ti piaccio?”
C’era qualcosa di così curioso e inatteso in quel sorriso che Linda non poté fare a meno di contraccambiarlo. Ma poi si ricompose e dichiarò freddamente: “Non mi piacciono i bambini”.
“Non ti piacciono i bambini?” Il piccolo non riusciva a crederle. “Io non ti piaccio?” sembrava dirle mentre muoveva le braccine verso di lei con gesti buffi.
Linda si lasciò cadere dalla sedia sul prato.
“Perché continui a sorridere?” gli disse severa. “Se sapessi a cosa sto pensando, la smetteresti.”
Ma lui strizzò gli occhi astutamente e mosse la testa sul cuscino. Non credeva a una sola parola.
“Sappiamo tutto!” Il bambino continuava a sorridere.
Linda si meravigliò della sicurezza di quella piccola creatura… Avanti, sii sincera. Non era questo che sentiva; era qualcosa di molto diverso, qualcosa di nuovo, di… Le lacrime cominciarono a danzarle negli occhi e, in un lieve sussurro, disse: “Ciao, bambolotto mio!”5.

 



Note

1) K. MANSFIELD, Tutti i racconti, a cura di F. Cavagnoli, Milano, Arnoldo Mondadori, 2006, pp. 377-378.
2) Ivi, p. 378.
3) Ibidem
4) Ivi, pp. 378-380. 
5) Ivi, p. 380.