di Giuseppe Tattara  

Qualche tempo fa è deceduto Gianni Toniolo. Gianni è stato per molti anni professore di Storia economica a Cà Foscari, ha scritto libri importanti sullo sviluppo economico italiano, sull’economia dell’Italia durante il fascismo e sulla storia di varie grandi banche. Molti di noi lo hanno conosciuto e lo ricordano con stima.

Il consenso 
Renzo De Felice nel 1974, con il quarto volume della sua biografia di Mussolini, sostenne che era esistito tra gli italiani un consenso di massa nei confronti del fascismo. Dalla ricerca di De Felice, fondata su documenti di archivio, non risultava un'opposizione aperta al regime. Questo autore invitava a una revisione dell’interpretazione convenzionale del fascismo secondo la quale il regime era sempre stato oggetto dell’ostilità della popolazione. De Felice vide nelle politiche economiche del regime la capacità di convogliare un considerevole consenso anche da parte delle classi lavoratrici: il fascismo avrebbe garantito la stabilità dei salari reali, moderni programmi di welfare e la creazione di posti di lavoro. 

Spesso nei regimi totalitari convivono consenso e repressione. La domanda a cui si cerca di rispondere è la seguente. Accertato dalle ricerche degli ultimi anni in campo sociale ed economico che il regime non ha agito nei termini proposti da De Felice ma ha penalizzato le classi lavoratrici, come si può spiegare la “fabbrica del consenso”? Con la repressione in primo luogo, ma solo con questa?

La politica fascista degli anni '20 
Il fascismo in Italia e il nazionalsocialismo in Germania nacquero e raggiunsero il potere tra la fine della prima guerra mondiale e i primi anni trenta. Altri movimenti sociali e politici con caratteristiche simili si affermarono anche in Spagna, in Portogallo e in Grecia. 
Il termine della prima guerra fu seguito dal rapido succedersi di un'espansione e di una recessione. Segni di una successiva ripresa si notarono già nella seconda metà del Ventidue, prima della formazione del governo Mussolini. Il primo governo a direzione fascista si formò nel dicembre di quell’anno e il liberista Alberto De’ Stefani ricoprì la carica di ministro delle finanze. Con questo governo venne attuata una politica di contenimento dell’intervento dello Stato nell’economia che permise di ottenere un avanzo di bilancio e la caduta della componente pubblica della domanda fu controbilanciata dall’espansione delle esportazioni, aiutate dalla riduzione dei dazi doganali e dalle necessità dei paesi centro europei sconquassati dal conflitto (T2, p. 54). Nel triennio 1922-25 il prodotto interno lordo crebbe a tassi elevati se posto a confronto con gli altri paesi dell’Europa occidentale (T2, p. 32ss). La crescita era basata sul basso costo della manodopera e su di un’agricoltura orientata all’esportazione. 
Il 1925 fu un anno di cesura tra due distinte fasi della politica economica del primo dopoguerra. Fu aperto dallo storico discorso di Mussolini pronunciato il 3 gennaio alla camera dei deputati. In ottobre il patto di Palazzo Vidoni stabilì che solo la Confindustria e le corporazioni fasciste potessero stipulare contratti collettivi di lavoro. In dicembre il Duce divenne capo del governo e fu approvata una legge che limitava fortemente la libertà di stampa. Il diritto di sciopero fu abolito nell’aprile del 1926. Due anni dopo fu abolita la “legge elettorale Acerbo” sostituendola con un sistema che prevedeva un'unica lista nazionale di candidati scelti dal Gran consiglio del fascismo che gli  elettori potevano solo approvare o respingere in blocco. Vicende note che richiamiamo qui solo per sommi capi. 
Il 10 luglio del 1925 ci fu il cambio della guardia tra Volpi e De Stefani. Volpi, massone, era stato tra il 1922 e il 1925 governatore della Tripolitania e aveva avvallato la brutale repressione di Graziani, criminale di guerra un passato che i veneziani dovrebbero maggiormente ricordare – (T1, p. 416). Volpi avviò una fase protezionistica che durerà fino alla seconda guerra mondiale. Gli interessi dell’agricoltura ortofrutticola e dell’impresa esportatrice furono sacrificati a quelli dell’agricoltura cerealicola, dell’industria saccarifera e dell’industria pesante. 
La svolta protezionista ebbe il suo acme nel discorso pronunciato da Mussolini a Pesaro il 18 agosto 1926. Poche frasi generiche, prive di argomentazioni economiche. Mussolini decise di rivalutare la lira e di difendere a tutti i costi il cambio all'irrealistica quota 90, 90 lire per una sterlina (il cambio nei primi anni ’20 aveva toccata 153 lire per una sterlina). Un cambio fortemente rivalutato implica una riduzione del livello dei prezzi per mantenere un minimo di competitività; la deflazione fu molto forte (T2, p. 116) e mise in serie difficoltà le classi più povere. I salari e gli stipendi vennero subito adeguati riducendoli dal 10% al 20%, e i lavoratori furono privati anche della rappresentanza sindacale. 
Questa politica di orgoglio nazionale  il cambio  e di feroce repressione non sarebbe stata possibile senza il sostegno di capitali d’oltreoceano. La situazione internazionale rappacificata aveva aperto l’Europa ai capitali statunitensi (prestito Morgan) e del Regno Unito e l’Italia appariva allettante come terreno di investimento: un governo stabile, il bilancio in pareggio, l’inflazione sotto controllo, un mercato di grandi dimensioni in rapida crescita demografica e un ferreo controllo sociale erano elementi che attiravano gli investitori. Toniolo ricorda che quando T. Lamont,  partner di J.P. Morgan, venne in Italia ebbe un’ ottima impressione di Mussolini tanto che appese in ufficio il ritratto del duce con autografo e gli fu prodigo di consigli (T1, p. 426). Ma la deflazione era così forte che al prestito Morgan si accompagnò un piano non di aumento, ma di restrizione creditizia, rafforzata con la conversione forzata del debito fluttuante in consolidato, per evitare che, al bisogno, i certificati venissero venduti sul mercato in cambio di moneta annullando l’effetto della restrizione monetaria, che fu invece feroce, con un aumento sensibile dei tassi di interesse. 
L’insieme di queste politiche, protezionismo ed elevati tassi di interesse, produsse un forte rallentamento del ritmo di crescita dell’economia italiana. Tra il 1925 e il 1928 il prodotto interno lordo crebbe in media meno del 2% all’anno, nettamente al di sotto di quanto accadde nei paesi europei che abbiamo preso a riferimento commentando il triennio 1922-25.

Classi svantaggiate e classi previlegiate: le premesse del consenso 
La  mobilitazione dei lavoratori dell'industria nel biennio 1920-22, il “biennio rosso” segnò una ripresa dell’aumento dei salari nominali e reali, con una riduzione delle disuguaglianze all’interno del mondo del lavoro e le donne ne trassero per la prima volta, beneficio in termini relativi. 
La presa del potere da parte di Mussolini fu seguita da alcuni anni di “politica liberale”, durante i quali tuttavia il nuovo governo fascista smantellò i sindacati, colpì i salari con l’imposta complementare progressiva e promosse politiche fiscali pro-imprenditoriali (T2, p. 48). Dopo il 1922 la quota del lavoro sul reddito nazionale diminuì nettamente. Un mutamento confermato dagli scarni dati sui disoccupati dichiarati che ripresero ad aumentare con la svolta deflazionista del 1926-27 e raggiunsero una cifra molto alta con la grande depressione al 1933. 
I profitti delle imprese manifatturiere, minerarie e dei servizi risultarono elevati e recenti studi su dati fiscali indicano un aumento marcato della concentrazione della ricchezza tra il 1924 e il 1936. L’accumulazione del capitale era rapidamente aumentata nel periodo 1922-26 assieme ai profitti e, in conseguenza di ciò e del ridursi dei salari, la quota rappresentata dalla remunerazione del capitale sul reddito crebbe percentualmente di 10 punti dal 1922 al 29 a scapito della quota del lavoro. 
I dati sul mercato del lavoro sono molto incerti, di fonte confindustriale, e quindi è importante corroborarli con uno studio recente sugli standard nutrizionali, una stima delle calorie disponibili per persona. La conferma non potrebbe essere più netta. Le calorie disponibili pro capite scesero nettamente dal 1927, due anni dopo l’annuncio della “battaglia del grano” rovesciando il trend all’aumento che procedeva ininterrotto dall’unificazione del Regno. Al 1938 un italiano su tre era sottonutrito contro 1 su 5 nel 1922, nonostante il Reddito nazionale reale fosse aumentato. 
Alcuni gruppi crebbero il loro benessere come gli impiegati pubblici, per i quali disponiamo di indicatori sulle remunerazioni relativamente attendibili. Per i redditi in agricoltura le stime dirette sono difficili, tuttavia notiamo come  aumentò il flusso di emigrazione dalle aree rurali, segno inequivocabile di difficili condizioni di vita, nonostante le restrizioni imposte alle migrazioni interne dal 1931. 
Sia le serie statistiche sui redditi sia quelle sulle quote del lavoro sul reddito nazionale mostrano la natura regressiva della politica del regime fascista. Chiediamoci allora come sia stato possibile che il regime di fronte a questi netti insuccessi in termini economici sia riuscito a organizzare una vera e propria fabbrica del consenso. Certamente vennero attuati nuovi e del tutto inediti meccanismi di controllo, di repressione violenta, di orientamento dell’opinione pubblica e di inquadramento delle masse. Una politica che costruiva, utilizzava e agitava simboli e miti che nella società di massa acquisivano intensità e pervasività, capaci di orientare e influenzare tutti gli aspetti della vita associativa e dell’esistenza dei singoli, traendo da essi un consenso attivo alla politica del regime. 
E’ necessario tuttavia andare più in profondità e valutare l’atteggiamento del fascismo nei riguardi dei gruppi di potere. Il regime usò la politica economica per consolidare il consenso, in un ambito internazionale complesso e mutevole, non certo ostile almeno negli anni Venti, di cui tuttavia si enfatizzavano pericoli veri o immaginari, «la speculazione internazionale» come si diceva allora, ma soprattutto la macchina dello stato fu posta a tutela di coloro che rispondevano ai canoni fissati dal partito fascista. Lo stato mantenne la proprietà dei settori meno profittevoli dell’economia (T2, p. 302), mentre privatizzò quelli più profittevoli e, già dai primi anni del ministero De Stefani, attraverso i salvataggi bancari vennero salvati molti patrimoni privati dal fallimento e così facendo creò stretti legami tra l’alta burocrazia e i grandi industriali (T2, p. 302-303). 
I primi anni Venti furono anni di sviluppo impetuoso dell’economia specialmente nel settore bancario. I prestiti al settore privato aumentarono moltissimo, raddoppiarono i profitti delle banche e si svilupparono eccellenti possibilità di profitto per gli intermediari finanziari. 
Non venne perseguita la riduzione delle disuguaglianze, anzi venne teorizzata l’inutilità dello strumento fiscale a questo scopo, furono gravati i salari con la tassa complementare e fu abolita  la tassa di successione. Fu invece facilitata l’accumulazione del capitale – produrre, produrre di più, produrre meglio, produrre più a buon mercato costi quel che costi. 
La classe operaia si contrasse numericamente, specialmente negli anni Venti e comunque non andò mai al di là del 20% del totale. Si trattava di operai dell’industria il cui legame con la fabbrica non esauriva tutta la vita lavorativa ma erano frequenti le figure miste, legate ancora alla terra e a forme di autoconsumo che li tennero spesso lontani dalla lotta politica e allo stesso tempo consentirono loro di trovare dei mezzi per fronteggiare situazioni di povertà.  

Uno sguardo al presente 
Oggi in Italia i partiti di destra al governo vincono perché hanno piegato ai loro obiettivi il principale strumento di consenso del centrosinistra, cioè le politiche fiscali, che usano non per perseguire una riduzione delle disuguaglianze, ma per proteggere il proprio elettorato da un ambiente esterno turbolento, reso ancora più minaccioso dalle costanti dichiarazioni su migranti e altri pericoli veri o immaginari. I temi di bandiera dell’opposizione, invece, sembrano non interessare, sia che si tratti di diritti civili o di una nuova legge sulla cittadinanza. 
La destra mette la macchina dello stato al servizio della protezione di quella che il presidente del consiglio chiama “la nazione”, non tutti gli italiani ma solo quelli che rispondono ai partiti al potere. Pratica una politica economica basata sulla libertà di mercato, sul welfare contenuto, sulla riduzione delle regole e sulla flessibilità del lavoro, sul sostegno alla produzione – non disturbare chi produce , cui associa una politica “nativista”, fondata sulla “razza”, che limita i privilegi del welfare ad alcuni ed esclude gli altri, i migranti e loro figli. 
Questo interventismo “nativista” non è fino ad oggi osteggiato a livello internazionale ed è relativamente compatibile con i vincoli di bilancio: nessuna obiezione agli aiuti sulle bollette, agli assegni familiari, agli sgravi fiscali, ai bonus di ogni ordine e grado purché non vadano direttamente ai braccianti e agli operai poveri, agli immigrati che devono vivere con pochi euro al giorno.
La nuova destra ha trovato una sintesi convincente per rispondere alla domanda di protezione di una vasta parte di italiani, con ricette che combinano i punti di forza della destra (identificare un nemico chiaro, legittimare le disuguaglianze) con gli strumenti classici della sinistra (spesa pubblica e intervento dello stato). 
Sono passati 100 anni e il contesto sia nazionale che internazionale è molto cambiato, e ne va tenuto debito conto evitando frettolose analogie, ma nell’oggi ci sembra di poter trovare diversi elementi che richiamano una storia, almeno in parte, già vista.

 

Per saperne di più: sul consenso P. Corner, Mussolini e il fascismo. Storia, memoria e amnesia, Viella, Roma 2022, sul sistema economico negli anni 20, G. Toniolo (T1), La storia della Banca d’Italia, 1 vol., Il Mulino 2022 e (T2), L’economia dell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari, 1980, sulla distribuzione del reddito negli anni 20 G. Gabbuti, Those Who Were Better Off: Capital and Top Incomes in Fascist Italy, LEM, Scuola Superiore Sant’Anna, 2022, sull’oggi ho ripreso ampiamente e liberamente S. Feltri, Lega e Fratelli d’Italia vincono perché usano gli strumenti della sinistra, Il Domani, 24 gennaio 2023.