Queste lettere sono le comunicazioni che Ugo Pellizzon, insegnante in pensione, ha inviato ai suoi amici dalla Repubblica Centrafricana, dove si trova per un periodo di volontariato e di verifica in vista di un suo impegno a più lungo termine nel paese. Lo ringraziamo per la sua testimonianza e la sua condivisione.
2 febbraio 2023
Cari tutti,
è da molto che non mi faccio sentire, ma questo per varie ragioni, tra cui il fatto che sono rimasto senza internet per qualche giorno. Sto bene, e trovo la Repubblica Centrafricana (RCA) molto interessante. Mi colpisce di più il lavoro che fanno tanti missionari e volontari qui, di cui vi voglio parlare.
Per capire, bisogna partire da una base: la guerra civile del 2013, durata tre anni con conseguenze devastanti ancora oggi. Economicamente, ha ridotto il paese a essere l’ottavo più povero al mondo. Ma per capire meglio cosa questo voglia dire, scendiamo nei dettagli e guardiamo i mucchi d’immondizia.
Si può imparare molto dell’economia di un luogo guardando i rifiuti. I mucchi d’immondizia qui sono pieni di... niente. Solo carta e plastica. Per me questo significa due cose: (a) che la gente non ha niente; (b) che il poco che ha non lo butta via, ma lo usa in tutti i modi; in Tanzania ho visto una bambina di forse tre anni cucinare la cena in un vecchio barattolo appoggiato su tre sassi con sotto un fuocherello.
I bambini. Nella scuola materna vicina a me, i bambini non pranzano. Molti non mangiano neanche al mattino, con la conseguenza che alcuni svengono. Se rinvengono con le cure degli insegnanti, bene, altrimenti, gli insegnanti li portano in braccio per un chilometro fino alla strada principale dove prendono una motocicletta taxi e li trasportano in ospedale, sempre in braccio.
Poi l’educazione degli adulti. L’insegnante che osservo deve spiegare il concetto di passato, presente e futuro. Mi piace come insiste, assicurandosi che abbiamo capito.
Il lavoro dei missionari e volontari. La guerra ha lasciato un trauma collettivo alla gente. Le strade erano disseminate di
corpi. Monica, la signora responsabile delle scuole qui, usciva subito dopo il coprifuoco alla mattina per coprire i corpi con teli. Ma i corpi non venivano identificati e le famiglie non sapevano se avevano perso qualcuno. Così, passato del tempo, le mamme hanno iniziato a uscire con carretti a raccogliere i corpi e a seppellirli. Ma quando sono arrivate le piogge, l’acqua portava via il terriccio, esponendo braccia e gambe. I cani randagi, affamati, mangiavano i corpi.
Anche qui, il trauma della gente si vede nei dettagli. Monica, le suore e altri volontari avevano trasformato un campus di una scuola in un rifugio. E’ grande circa due campi di calcio; lì proteggevano 1.500 persone. Si è presentato al loro cancello un maestro, nudo. Lo hanno accolto e con l’aiuto di un medico, di uno degli unici due psicologi nel paese e di psicofarmaci, hanno curato i suoi gravi problemi psichici. Ma ancora adesso, se insegna, sente delle voci in testa. Ha, quindi, cambiato lavoro. Ora lavora la terra, cosa per lui terapeutica. Da questo campo profughi, Monica partiva con la macchina e un lenzuolo bianco che svolazzava sopra per portare sacchi di farina alla gente attorno alla città. Era una delle uniche automobili che giravano, l’altra era un’ambulanza. Naturalmente, veniva fermata e trattata male. Ma riusciva a portare da mangiare alla gente.
L’opera di recupero continua. Dopo la guerra, Suor Elvira, usciva di notte per le strade a prendere bambini che vagavano per le strade e li portava nel suo rifugio. E rimproverava severamente la polizia e le autorità per il modo in cui trattavano i bambini. Suor Anna lavora con i traumatizzati della guerra. Dice che un fattore molto importante nella loro guarigione è il livello della loro fede. Chi ha una fede forte si aiuta moltissimo nella guarigione. Ci sono dei frati nigeriani arrivati qui per aiutare chi soffre dai traumi della guerra.
Ci sono delle suore malgasce che prestano la loro opera nell’educazione.
Tutti vivono in condizioni difficili. Quanto difficili?
L’acqua viene da pozzi. Non sempre ce n’è. Noi siamo fortunati ad avere Tarcisio, il papà di Monica, che ha costruito una riserva d’acqua per noi e per la scuola di bambini accanto. La corrente elettrica va e viene. Non ci sono supermercati, ristoranti, neanche bar, se non qualcuno.
Cosa c’è allora? Tanta polvere. Si è alzato il vento ieri sera e la polvere sembrava la nebbia in Italia. Tante buche per strade, che non puoi schivare perché le motorette ti sfiorano a destra e a sinistra.
Tanti soldati, locali e dell’ONU. Tanti russi del Gruppo Wagner.
Tanto caldo.
E la gente? Allegra!
Vi lascio per adesso. Vi scriverò ancora presto.
Un saluto affettuoso a tutti
Ugo
7 febbraio 2023
Cari tutti,
Vorrei parlare un po’ dell’educazione elementare e degli adulti qui. I bambini che vanno a scuola sono vestiti in una bella uniforme bianca e blu, pulita. Sono allegri, nonostante la fame di cui vi ho parlato nell’ultima newsletter. Ci sono dei riti importanti per loro che, penso, diano loro orgoglio e rispetto di se stessi. Per esempio, l’alza bandiera al mattino è condotto da una bambina e un bambino. Uno da gli ordini a tutta la scuola, l’altro alza la bandiera, lentamente e solennemente, nel silenzio totale. Poi, iniziano le lezioni, fuori e dentro le aule, con ripetizioni in coro. I bambini partecipano pienamente, a voce alta e con entusiasmo. Le insegnanti ne fanno un gioco, portando i bambini a usare il corpo: braccia che sventolano, teste che girano e guardano: un teatrino. I bambini si divertono.
E’ per questo che sono rimasto bloccato davanti a una scena che si svolgeva davanti a me. Gli scolari erano rientrati in classe e si sentivano le loro voci forti e penetranti. Stavo ritornando alla casa di Monica per la colazione. Di colpo mi sono fermato. Accanto al cortile della scuola c’è un pozzo. Là, due bambini cenciosi, sporchi, magri, tiravano su dell’acqua dal pozzo. Un bambino, tirava la corda in modo strano: solo col braccio destro mentre con la mano sinistra bloccava la corda, poi allungava di nuovo il braccio destro, afferrava la corda e tirava, un secchio d’acqua alla volta e lo versava in un contenitore accanto alla sorellina. Non avevano i soldi per andare a scuola. Mi sono bloccato perché mi sono chiesto come si saranno sentiti vedendo gli altri bambini, puliti e ben vestiti, che godevano d’istruzione, con la speranza di un futuro migliore. Cosa farà alla loro psiche questo confronto: si sentiranno inferiori? Per tutta la vita? Si sentiranno sporchi, poveri, incapaci, per sempre? Cresceranno pensandosi incapaci? Indegni? Cosa farà questo confronto alla loro sicurezza in se stessi, si sentiranno sempre sottomessi? Come potranno avere confidenza nella loro creatività di fronte a chi è scolarizzato? Magari avranno una creatività maggiore ma verranno ridicolizzati, sminuiti, resi incapaci da chi ha studiato? E saranno convinti di esserlo? Ne parlo con Don Stefano, missionario italiano. “E come li paghi gli insegnanti?” mi risponde. Non ci sono abbastanza suore o preti, bisogna avere più insegnanti, ma bisogna pagarli e i soldi semplicemente non ci sono.
L’educazione agli adulti. Sappiamo che istruzione significa progresso per un paese. Ma per capire cosa significhi per un paese africano povero, scendiamo nei dettagli. Tarcisio, il papà di Monica, viene aiutato dai seminaristi qui nei tanti suoi lavori di costruzione. Non riusciva a far capire cos’è una livella a bolla, figuriamoci a usarla. Don Stefano è incappato nelle ire di un costruttore che da quarant’anni costruisce case e che si fa chiamare ingegnere. Questo signore si è offeso perché Don Stefano gli insegnava ad usare dello spago per costruire muri dritti. In precedenza costruiva senza alcuna misura per assicurarsi che i muri non fossero storti. Dopo un lavoro di trivellazione, una falda d’acqua è stata trovata a quarantun metri di profondità. Un tecnico ha inserito una pompa a mano per servire la gente nei dintorni. Ma non usciva l’acqua: Nel buco ha inserito tubi fino a trentasette metri invece che a quarantuno.
Inoltre, è un popolo sano che costruisce una nazione. I mercati lungo le strade hanno la merce posata per terra. Durante le piogge c’è solo fango. Le verdure e la frutta rimangono sul fango. In caso si pensasse che basta lavarla bene, io mi ricordo come, in Tanzania, la verdura veniva servita a tavola con ancora del fango attaccato.
Per cui, occorrono soldi e insegnanti tecnici. Nel progetto di adozione di Monica, cinquanta bambini vengono aiutati dall’Italia. Chi volesse, può aiutare in questo modo. Un’altra alternativa è un’offerta semplice, più facile da gestire qui: crea meno lavoro per Monica e i suoi collaboratori. Le offerte possono essere devolute all’Associazione Medica Madre Teresa di Maser; sotto vedete i dati. Le donazioni sono detraibili alla presentazione della dichiarazione dei redditi. Per saperne di più, una telefonata all’associazione vi dirà come fare. Per favore precisate a quale scopo donate.
Vi saluto tutti.
Manca poco ormai al mio rientro,
Ugo
13 febbraio 2023
Cari tutti,
Oggi vorrei portarvi qualche scorcio di vita nelle missioni e una mia piccola riflessione.
Don Norberto. Tre giorni fa, una mina è esplosa sotto la macchina di Don Norberto, missionario italiano. La sua missione è a Bozoum, 300 chilometri da Bangui. Vi copio qualche messaggio dei suoi confratelli scritti la sera stessa dell’esplosione: “E’ in pericolo di vita. E’ possibile trovare un aereo per trasportarlo d’urgenza a Bangui?”.
“La Minusca è stata informata. Speriamo che possa rientrare in Bangui il prima possibile.” (La Minusca fa parte dell’ONU: protegge i civili ed evacua espatriati in pericolo o in casi d’emergenza. Nota mia.)
“La sera non si ha il permesso per viaggiare nemmeno per le urgenze... l’ambulanza dovrebbe essere scortata davanti e dietro da Minusca quindi ha più senso fare con aereo domani mattina.”
“Verrà evacuato domani mattina verso Bangui. Pregate per lui.”
Quanto dolore starà soffrendo? Una martellata sul dito moltiplicata per 10.000? Grazie al cielo c’è la Minusca, altrimenti con lo stato delle strade qui, avrebbe avuto ancora meno possibilità di sopravvivere, con tutti i sobbalzi. Separatamente, invio un video preso dalla macchina durante la notte, per mostrare le strade.
Don Stefano. Durante la guerra, a destra della parrocchia di Don Stefano c’era la Minusca. Di fronte a loro, i ribelli. In mezzo ai due, la parrocchia di Don Stefano. Mentre i due si combattevano, Don Stefano e altri stavano seduti per terra in casa. Sono entrati i ribelli nella parrocchia. Lì, si erano rifugiati 1.500 persone. Don Stefano è uscito a parlare sia con i ribelli, sia con Minusca. Grazie a lui, si sono spostati dalla parrocchia per continuare i loro combattimenti.
Di particolare interesse è il fatto che la parrocchia fungeva da rifugio. Durante i combattimenti, tutti i funzionari, dal Prefetto in giù, sono scappati a Bangui. La gente dei villaggi ha detto ai missionari, Se ve ne andate voi ci ammazzano tutti. La Chiesa Cattolica e i Protestanti sono stati gli unici a rimanere.
Rifletto su tutto questo e sul fatto che io, personalmente, non ho mai rischiato la vita per qualcosa in cui credo.
Padre Damian, nigeriano, ha raccolto 400 bambini dalle strade, cercando di nutrirli, di curarli e di educarli. La scuola statale costa circa € 3 (tre) all’anno, eppure ci sono genitori che non riescono a pagare. Si preoccupa delle regazzine che diventano madri a quindici anni.
Non sono casi estremi. Monica dice che dall’ultima guerra nel 2013 ci sono stati così tanti attacchi alle parrocchie che ha perso il conto. Nelle sole tre settimane che sono qui, ci sono stati tre attacchi.
Nella missione di Monica, c’è la fortuna di avere la doccia. Le suore accanto si lavano da secchi per terra. Eppure non era peggio di così. I genitori di Monica dormivano su stuoie per terra sette anni fa, quando avevano già settant’anni. Piano piano, con le proprie mani Tarcisio, il papà, ha costruito riserve d’acqua, veranda, pollai, inferiate e tutte le altre cose necessarie per vivere.
La corrente elettrica arriva da pannelli solari. Ma il frigo viene spento per caricare il computer e cellulari. Se non c’è sole vengono usate le batterie, finché durano. L’acqua è filtrata. Il pane si trova a qualche chilometro di distanza. Nzila, la località della missione, è a chilometri dalla città, quindi, per risparmiare il carburante, gli acquisti, le commissioni, riparazioni alla macchina, visite alla clinica, visite a parroci ecc., vengono fatte tutte in una volta, rendendo le giornate sotto il sole molto lunghe.
La giornata inizia alle 5.30 per ascoltare la messa alle 6. Non c’è un sacerdote, la messa viene ascoltata da una radiolina transistor con la sua piccola antenna; la comunione viene data da una suora. Se non sopraviene la stanchezza, il
rosario viene detto alla sera in casa o davanti a un grotto della Madonna.
Trovo, e posso parlare solo per me stesso, che fare delle bene non basta, c’è bisogno di nutrimento spirituale. Senza la comunione e il rosario, lo spirito di rinsecchisce e diventa povero come le strade di Bangui.
E il divertimento?
Beh, Monica si è dilettata ad attraversare il fiume Ubangi a nuoto, ignorando corrente e ippopotami per raggiungere la Repubblica Democratica del Congo sull’altra riva, seguita dai genitori in piroga. La luna e le rane di sera creano uno strano paradosso: silenzio con canto. Terapeutico. Nadia, suo mamma, fa dell’ottimo mangiare. C’è l’umorismo. La visita a matrimoni locali, ad allevamenti di pesci nella foresta, e colazione al bar locale, dove servono frittelle con caffè che è veramente ottimo.
Ora una mia riflessione, che parte da una domanda che mi è stata rivolta: perché non si sa tutto questo, ci viene nascosto?
Non penso; se si vuole si può sapere tutto su internet. Penso che sia perché l’Africa semplicemente non interessi. Siamo interessati molto di più alla nostra vita agiata, ricca, progredita, acculturata, sicura, democratica, piena di bellezza e di dignità. E penso che questo nostro interesse sia un bene.
Perché nell’indigenza, non c’è nobiltà, cultura, musica, teatro, letteratura, arte. C’è squallore e disperazione. Nello squallore non c’è dignità, nella sporcizia non c’è bellezza, nei rifiuti che coprono le strade non c’è salute, né nella polvere che si sedimenta sulle auto, sui tetti e sulle teste della gente. Non c’è nobiltà nella fame. Non ci si edifica prostituendosi per disperazione. Non c’è cultura mendicando un pezzo di pane per strada. Il mito del nobile primitivo incontaminato dal progresso e a contatto con la natura pura viene sfatato dal lavoro disumano, dai cenci che s’indossa, dalla carità da cui si dipende.
Noi facciamo bene a essere interessati alla nostra vita. Al nostro buon mangiare e buon bere, ai bei vestiti e belle scarpe, alle belle auto e buone strade, ai divertimenti raffinati, ai discorsi colti, all’ordine in cui viviamo, alla nostra cultura ed educazione, alle nostre industrie.
Mi dicono, poi, che i poveri ci sono anche nel nostro paese. Si. Ma è solo uscendo dall’Italia che si capiscono i nostri poveri. Diceva Don Gianfranco, quando si vede con i propri occhi lo scandalo della povertà, quando si tocca lo squallore più profondo, allora si capiscono meglio i nostri poveri.
In realtà, c’è tanta brava gente in Italia che s’interessa dei, e aiuta generosamente i poveri nel mondo. La mia conclusione è che, se si vuole, si può fare come loro, mantenendo la nostra bella vita.
Questa è l’ ultima newsletter, perché sabato 18 febbraio sarò in Italia.
Vi saluto tutti, a presto
Ugo