di Gianfranco Bettin
Non penso che ci sia nessuno davvero indifferente all’ambiente. Tra gli atteggiamenti opposti, quello predatorio o dissipativo e quello rispettoso, e nell’intera gamma intermedia, salvo casi patologici, l’indifferenza non credo sia possibile.
Forse si può parlare di ottusità o, nel senso etimologico, di idiozia: di qualcuno, cioè, talmente “individuo privato”, talmente autoreferenziale, diremmo oggi, da rendersi rozzamente incapace di vedere al di là di se stesso - del proprio naso, della propria corta vista.
Se i nemici peggiori dell’ambiente e del genere umano, di tutto il vivente, sono i predatori - e il sistema di estrazione, produzione, accumulazione e consumo che hanno creato (e che, nella storia, ha superato la distinzione stessa tra capitalismo e socialismo reali, quanto a impatto distruttivo sull’ambiente) - i migliori alleati di costoro sono, appunto, gli ottusi e gli “idioti”, complici volenterosi o incoscienti, non fa molta differenza. O meglio, ciò che rende diversi i primi, coloro che da un tale sistema ricavano ricchezze e potere, è che, appunto, costoro, almeno nella contingenza, nel loro tempo
storico e biologico, ci guadagnano, sia pure a scapito degli altri e dell’ambiente.
E’, anche questo, un calcolo in effetti sempre più azzardato e sempre meno conveniente, alla fine. Soprattutto con l’acuirsi della crisi climatica e dei suoi effetti globali e onnipervasivi anche chi pensava di essere al riparo dagli effetti peggiori della catastrofe ambientale incipiente deve rifare i propri conti.
L’alleanza più distruttiva e pericolosa tra tutte è proprio quella tra chi si ostina a cercare di guadagnare con lo sfruttamento intensivo dell’ambiente e delle sue risorse malgrado il punto critico in cui siamo e chi si illude di potersi cibare delle briciole lasciate da costoro. Certo, a volte sono briciole sul momento sazianti, come per i partecipi del grande banchetto nel nord del mondo soprattutto. E’ il modo in cui si tengono legati al carro dei predatori gli opportunisti di minor calibro. Tutti insieme, rappresentano il blocco e il modello sociale ed economico, con la tipologia umana che lo incarna, che sta conducendo ai limiti il nostro pianeta. L’ottusità, quella tale “idiozia”, fatte sistema.
A lungo si è pensato che le risorse fossero inesauribili e l’ambiente così esteso e ricco e autorigenerante da potercene permettere ogni uso e anche abuso. I tempi storici - i nostri - e i tempi biologi erano così asimmetrici e il loro rapporto così sbilanciato verso i secondi - i miliardi di anni che ha avuto la Terra per produrre l’ambiente in cui siamo - da lasciare l’illusione di avere a disposizione ricchezze inesauribili e un ambiente invulnerabile.
A lungo, nemmeno l’era industriale ha mutato davvero in profondità questo modo di vedere le cose, incapace di cogliere il corto circuito sempre più stringente e pericoloso che andava chiudendosi tra storia (e attività) umana e storia naturale, con la prima sempre più aggressiva (fino a designare, con la propria incidenza, un’intera nuova era: l’Antropocene). E’ solo negli ultimi decenni, un’inezia sulla scala della storia naturale e non molto nemmeno su quella umana, che una coscienza maggiore della crisi ambientale e poi climatica si è fatta strada. Resta, tuttavia, una coscienza espressione di una minoranza,
quanto meno a livello delle parti decisive delle varie società e delle istituzioni e dei poteri prevalenti.
Secondo Alex Langer, uno dei padri dell’ecologia politica italiana ed europea, solo una diffusa e profonda conversione ecologica potrebbe cambiare questo stato di cose e solo una consapevolezza di quanto necessaria ma anche desiderabile sia questa conversione può produrre la svolta che servirebbe oggi all’umanità. Ma non l’indifferenza, bensì la complicità, anche di basse pretese ma sentite come irrinunciabili in questo sistema e i grandi interessi che ancora operano voraci e feroci, concorrono, con ogni mezzo, a impedire la scelta, il cambiamento necessario, la “conversione”.
Nell’accelerare della crisi, tuttavia, rischia di non esserci oggi il tempo necessario affinché maturi ovunque una tale “conversione”.
E’ piuttosto lo scontro politico, sociale e culturale a porsi, oggi, come lo strumento decisivo in una crisi che sta intrecciando sempre più l’elemento storico e quello biologico (un “bios” che ormai è davvero quello di tutto il vivente).