di Giorgio Scatto

Uno dei problemi messi in risalto in questo tempo di pandemia è  che le famiglie non fanno più figli. Conosco alcune coppie che sono preoccupate per il motivo di non poter avere bambini. Ma altre non ne vogliono affatto. Recentemente è stato coniato per loro l'acronimo dink (dall'inglese double income no kids, doppio stipendio, niente figli). I dink sono oggetto di campagne pubblicitarie ad hoc da parte delle grandi multinazionali, soprattutto per i beni di lusso e i grandi viaggi. Per contro, assistiamo alla lotta di coppie omosessuali per poter avere il diritto di adottare figli.

Alcuni sociologi hanno coniato il termine 'inverno demografico' per descrivere l'invecchiamento costante e progressivo della popolazione in tutti i Paesi occidentali, dovuto alla diminuzione della natalità. Nel 2020 ci sono state in Italia 404.104 nuove nascite, a fronte di 746.146 morti, con un saldo negativo di 342.042 persone: è come se in un anno fosse sparita un'intera città come Firenze. Il crollo delle nascite peserà nel futuro su tutta la piramide demografica, sulla consistenza della popolazione attiva, sul numero degli adulti di domani che avranno il compito di sostenere il sistema produttivo e i carichi di cura a ranghi estremamente ridotti. Nel nostro Paese è urgente che tutte le istituzioni pensino, forse per la prima volta in termini globali e così pressanti, a una vera e coraggiosa politica per la famiglia.

Ma proviamo a vedere, se pur nel poco spazio di questo articolo, cosa dice la Bibbia riguardo al tema del generare figli.

La Bibbia fa del generare uno dei primi luoghi dell'esperienza e della rivelazione di Dio, e parla in modo privilegiato a chi è impegnato in questa realtà.
L'ebraico biblico non conosce la parola 'storia', conosce invece la parola 'generazioni' (toledòt): «Questo è il libro delle generazioni di Adamo. Nel giorno in cui Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati» (Gen 5,1-32). Tutta la storia dei patriarchi vissuti prima del diluvio è narrata nel libro della Genesi come un racconto di generazioni, da Adamo a Set, da Matusalemme a Noè. Se veniamo al Nuovo Testamento, Matteo inizia il suo Vangelo con una serie ininterrotta di generazioni, da Abramo a Davide e dalla deportazione a Babilonia fino alla generazione di Cristo, costruendo una straordinaria architettura del tempo. Luca procede in senso inverso, da Giuseppe, che dà la paternità legale a Gesù, fino a Giacobbe, Isacco e Abramo, per spingersi fino ad Adamo, figlio di Dio. Dunque, per la Bibbia, tutta la storia, dal suo inizio fino al suo compimento, è solo una storia di generazioni, è una narrazione della vita. Non poteva essere diversamente, se Dio stesso ha detto all'uomo, quando lo creò: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra» (Gen 1,28).

L'avventura del generare è benedetta da Dio, poiché è Dio stesso che ci fa visita attraverso il dono di un figlio. Spesso, come accadde per Anna, la madre di Samuele, il figlio è chiesto con lacrime e insistenti preghiere; o come avvenne per Elisabetta, madre di Giovanni, il figlio può arrivare quando si è molto avanti negli anni e ormai rassegnati alla sterilità. Al contrario, l'irrompere della vita può scaldare il grembo di una donna, come accadde a Maria, anche quando si è appena adolescenti. 
Una nuova nascita, attesa o inaspettata, è sempre letta nella Scrittura come l'irruzione di Dio nella storia, e segno della sua fedeltà alle promesse. Quando tutto sembrava perduto e la fine ormai imminente, il profeta dice al sovrano: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Questo testo antico sarà ripreso poi da Matteo, per affermare che la piena realizzazione della promessa avviene nella nascita di un altro bimbo, dal grembo verginale di Maria. Verginità, per dire di un dono assoluto e totalmente posto sotto il segno imprevedibile della grazia di Dio.

Ogni figlio che nasce rivela in chi l'ha generato delle riserve di bontà di cui non  era consapevole, di cui non  si credeva capace, e spinge alla fede e alla speranza. «Come avverrà questo?», chiede Maria all'angelo. In qualche modo un parto allunga la vita dei genitori e la riempie di significato. 
«Che sarà mai questo bambino?» si domandavano gli abitanti di tutta la regione della Giudea, all'udire Zaccaria che parlava benedicendo Dio per la nascita di Giovanni. Certamente è capitato anche a molti di noi di udire quello che udì questo vecchio sacerdote all'annuncio dell'angelo:«Tua moglie ti darà un figlio. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore» (Lc 1,13-15). Sono parole, esperienze e speranze comuni a molti. Ma poi l'angelo continua: «Sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli di Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto» (Lc 15-17). Sono prospettive niente affatto comuni che, oggi soprattutto, non si affacciano nemmeno all'orizzonte delle attese e delle speranze di un genitore. Vorrei invece sottolineare qualcosa che dovrebbe nutrire il desiderio di chi mette al mondo un figlio: non solo l'aspettativa di una vita bella e impegnata - grande - ma anche la certezza che ogni vita, per essere degna, deve essere abitata dallo Spirito Santo e ricevere una grazia e un  compito fondamentale, quello di una urgente riconciliazione. Si dice infatti: «Gli sarà data la potenza di Elia per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti». Un figlio come dono e promessa di riconciliazione!

Anche oggi è importante operare una tempestiva riconciliazione tra generazioni, che contesti apertamente quella "segregazione generazionale" che ammorba le relazioni fra adulti e giovani, quasi che non si abbia più nulla da comunicare. Colpisce invece come, nel Vangelo, questo compito di riconciliazione non sia affidato principalmente a un progetto educativo, all'insegnamento dei maestri, o all'autorità paterna, ma all'opera preveniente dello Spirito che agisce in Giovanni, un figlio venuto dall'impossibile, quando ormai i genitori erano vecchi.
Ogni volta che nasce un figlio impariamo ad affidarlo a Dio nell'incognita della vita; impariamo a credere che, come per Ismaele e Isacco nei momenti critici, ci saranno anche per lui degli angeli nel deserto. 
«Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80). Nel deserto anche il piccolo Giovanni è cresciuto e si è fortificato nello spirito. L'opera di riconciliazione è a lungo preparata nel deserto. Quasi che nel deserto attuale dei sentimenti, nella rarefazione delle relazioni e nella mancanza  di progetti  sul futuro, si debba attendere con pazienza e lungimiranza, con fiducia e fede resistente, un nuovo inizio, una nuova creazione, affinché le cose possano cambiare. 

«Dio creò l'uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn1,27-28). Dove c'è Dio c'è fecondità, e anche il deserto può tornare a fiorire, come in una nuova primavera. Leggo nella Nuova Riveduta, una traduzione evangelica della Bibbia, fatta sull'antica versione di Diodati (1607): «Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine si rallegrerà e gioirà come una rosa» (Is 35,1-2). Sì, anche la solitudine dei grembi sterili, potrà essere accarezzata dal profumo di una nuova primavera, e ascoltare il canto dell'acqua che danza tra le rocce. 
«Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio» (Is 60, 4). Qui non sono più i figli a dover ricondurre i padri, ma saranno le madri ad accogliere e portare in braccio i figli, che vengono da lontano. C'è dunque in queste pagine profetiche una prospettiva di armonia tra generazioni, che oggi non sperimentiamo, ma che è promessa, e verso la quale vogliamo incamminarci.

Il gesuita Jean Pierre Sonnet nel suo libro "Generare è creare", edito nel 2014 da Vita e Pensiero, afferma che l'avventura di generare è benedetta da Dio, ma è anche temibile, perché è qualcosa che va molto al di là del prolungamento della specie: si tratta di accogliere una visita. Il piccolo visitatore ci guarda e, crescendo, ci farà le domande più difficili. Ricordate la celebrazione di Pesah , la pasqua ebraica? «Quando tuo figlio ti chiederà: "Che cosa significa questo?", tu gli risponderai: "Con la potenza della sua mano il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto dove eravamo schiavi" (Es 13,14). Paradossalmente è dalla domanda del figlio che sorge la parola paterna. Il figlio chiede al padre di dire la cosa più vera, più essenziale della sua esperienza di vita, e lo mette così in condizione di essere padre. Generare non significa solo mettere al mondo biologicamente, ma narrare, in un atto sacro portatore di una fecondità segreta.

La Bibbia è una teologia narrativa, una storia della salvezza attraverso il racconto, che parla come Dio si è fatto presente nella trama, quasi sempre nascosta, della storia, senza mai arretrare di fronte ai fallimenti, ai rifiuti, agli insuccessi, ma trovando con audacia incrollabile e con infinita misericordia un varco sempre nuovo per incontrare gli uomini. Dio parla, a volte attraverso il soffio silenzioso di una brezza mattutina, altre volte con il rombo di un vento impetuoso che scuote tutta la casa. Così, attraverso le domande dei figli, occorre restituire la fiducia ai molti padri e alle molte madri che in questo tempo rassegnato si scoprono privi di parole e di racconti da dire ai figli. I padri devono imparare nuovamente a dire parole vere e audaci, capaci di generare la vita nei figli. Saranno i figli che reclameranno ai genitori il misterioso appuntamento tra generazioni. Proprio ieri, mentre preparavo questi appunti, una mamma mi diceva come suo figlio ventenne avesse convinto il padre, un tempo un famoso velocista su strada  che ha partecipato a cinque giri d'Italia, a dedicargli del tempo ogni settimana, perché gli parlasse di lui e della sua vita. E così hanno inventato un piccolo giro ciclistico dei colli, a tappe, tessuto di racconti e narrazioni: un figlio ha generato un padre. Sono i più giovani che possiedono l'arte di far ritornare alla vita i loro genitori assenti; possiamo dire che ancora e sempre Dio visita il suo popolo attraverso la generazione che viene. Sarà importante cogliere la domanda, che spesso è solo un timido sussurro, e avere il coraggio di dire le parole giuste. Quelle che hanno il potere di edificare un'intera vita adulta.

 «Come frecce in mano ad un guerriero 
sono i figli avuti in giovinezza.
Beato l'uomo che ne ha piena la faretra 
non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta
a trattare con i propri nemici.» 
(Salmo 126/127)