di Giannino Piana
A proposito di maternità surrogata è stata avanzata dalla destra politica e da alcune aree reazionarie del mondo cattolico la proposta di dichiararla “reato universale”. Cosa si deve pensare?
Personalmente la ritengo una proposta stravagante. E non solo per le ragioni da molti giustamente addotte circa le ricadute negative sui bambini – anche laddove ad essi venisse riconosciuto (non è così nel nostro Paese) il diritto ad avere una coppia genitoriale, e dunque i diritti propri di ogni bambino – ma anche perché si violerebbe in questo modo l’autonomia dei singoli Stati, che devono poter intervenire a darsi la legislazione che ritengono più conforme alle istanze della loro cittadinanza.
Certo il motivo principale del “no” è la situazione dei bambini, che non potrebbero che risentire negativamente, anche in presenza – come ho detto – della parità dei diritti, della condizione monogenitoriale come di una sorta di marchio psicologicamente disturbante, nello sviluppo della personalità.
Sempre a proposito della maternità surrogata diverse sono le motivazioni del ricorso e diverse le modalità con le quali si procede alla sua messa in atto. Non si può non distinguere nettamente il rapporto monetario dalla donazione gratuita di chi si sottopone a essa per altruismo. Sono due situazioni non paragonabili. È possibile, secondo te, ipotizzare un dispositivo legislativo, che salvaguardi la possibilità della prestazione a titolo gratuito, continuando a condannare anche penalmente il rapporto monetario?
La diversità delle due fattispecie evidenziate è fuori discussione e, di conseguenza, anche diversa la valutazione morale. Ho invece seri dubbi sulla possibilità di una legge che riesca a contenere il fenomeno entro i limiti da te definiti. D’altra parte, la gravità del rapporto monetario che, oltre a costituire una strumentalizzazione del corpo della donna ridotta a mera incubatrice, introduce e legittima una nuova (pesante) forma di schiavitù alla quale vengono sottomesse donne che accettano di sottoporsi a questa pratica per affrontare situazioni di povertà nelle quali in gioco vi è la sopravvivenza propria e della propria famiglia. La gravità di quest’ultima modalità di esercizio della maternità surrogata è costituita dal fatto che essa rappresenti quantitativamente la fetta di gran lunga più consistente del ricorso ad essa, e che occorre allora una particolare cautela nell’introdurre un dispositivo legislativo, sia pure limitato al caso in cui l’offerta della prestazione da parte della donna è gratuita, ma si può temere che esso possa avere ripercussioni di maggiore tolleranza anche nel caso del rapporto monetario. Al riguardo non è inutile ricordare – come già affermava, a suo tempo, Aristotele – che la legge è, per sua natura, limitata “vale nella pluralità dei casi, non nella totalità”. Il fatto che si dia una minoranza di soggetti che da essa non ricevono (e non possono ricevere) una risposta positiva alle loro legittime esigenze e che si sentano di conseguenza penalizzati, non giustifica l’introduzione del dispositivo cui si è fatto riferimento. Il primato va riservato nel caso qui in esame alla tutela delle categorie più deboli, alle quali va data un’assoluta precedenza. D’altra parte – ma questo è un giudizio del tutto mio personale (anche se ha in realtà il consenso di molti) – la maternità surrogata non manca di suscitare per sé stessa, anche laddove avviene per altruismo, qualche perplessità. Anche in questi casi infatti non è esclusa del tutto la strumentalizzazione del corpo femminile. Inoltre, non è senza significato la distinzione tra l’offerta di sottoporsi alla maternità surrogata per aiutare parenti o amici e l’offerta di farlo gratuitamente (sia pure con il pagamento degli oneri della prestazione) quando ci si rivolge a coppie monogenitoriali sconosciute e con le quali non vi sarà, nella maggior parte dei casi, un rapporto continuativo. Aggiungerei, in conclusione, che se è vero che l’introduzione del “reato mondiale” comporta gravi conseguenze negative per il bambino, conseguenze analoghe sussistono anche in ogni forma di maternità surrogata. Accanto infatti a chi sostiene – sono gli esperti di “psicologia prenatale” – che il bambino percepirebbe come un fatto traumatico il passaggio dall’utero che lo ha generato alla coppia che lo ha voluto. Vi è, infine, chi rileva (e non senza ragioni) a proposito di coppie monogenitoriali femminili che la duplice figura materna o (qualche volta, anche se raramente) persino tripla, quando alla madre che lo ha voluto e a quella che lo ha portato in seno fino alla nascita si aggiunge la madre biologica (colei che ha donato l’ovulo) come questa esperienza non possa non influire sullo sviluppo della personalità del bambino.
Una seria obiezione alla rigidità del giudizio appena formulato, viene giustamente avanzata da chi ricorda, a proposito dello sfruttamento del corpo della donna, il fenomeno della prostituzione, che da quelle destre politiche e religiose che chiedono la condanna dell’utero in affitto anche attraverso la definizione di “reato universale” è, invece, considerata come accettabile, fino a chiedere regole più larghe per il suo esercizio. Che dire di questa contraddizione?
Sono del tutto d’accordo nel giudizio implicitamente espresso nella stessa domanda. La contraddizione sussiste e rivela la doppiezza di certe posizioni, spesso dovuta a motivi di semplice propaganda ideologica. Personalmente ritengo qui assai più grave dello stesso utero in affitto la strumentalizzazione della donna ridotta a “oggetto” per un fine del tutto ignobile come la soddisfazione dell’istinto sessuale maschile. Ho tuttavia qualche dubbio sulla possibilità che si possa giungere sul terreno legislativo a una forma di proibizionismo assoluto. E questo soprattutto per l’entità quantitativa del fenomeno e per la sua universalità. La presenza di esso in tutte le culture – da quelle più antiche a quella attuale – rende impossibile il controllo e rischia che la legge manchi di un fondamentale requisito, quello dell’efficacia. Requisito in assenza del quale ogni intervento legislativo risulta del tutto inutile.