di Giannino Piana 

La persistenza della pandemia da Covid-19 pone problemi di carattere istituzionale. La questione di fondo è quella del possibile conflitto tra la libertà personale e l’intervento dello Stato a salvaguardare la salute dei cittadini. Quale giudizio si deve dare di tale situazione?

Non ho dubbi sulla necessità che lo Stato debba intervenire a tutelare la salute dei cittadini, che – come recita la nostra Carta costituzionale – è anche un bene sociale. La libertà di autodeterminazione personale va dunque subordinata al perseguimento del bene comune. Nel caso dell’odierna pandemia sottoporsi alla vaccinazione è allora un obbligo morale; in gioco non vi è infatti soltanto la propria salute, ma anche quella degli altri. Il numero dei morti registrati anche nel nostro Paese è un chiaro segnale dei rischi che si corrono e si fanno correre non sottoponendosi alla vaccinazione.

Bene ha fatto dunque il nostro governo a imporre severe restrizioni a chi non si è vaccinato. Detto questo, è tuttavia legittimo avanzare alcune riserve sulle modalità con cui sono stati assunti i provvedimenti governativi. La situazione di emergenza sanitaria imponeva certo di intervenire rapidamente. Ma non si può negare che soprattutto nella prima fase della pandemia si siano ampiamente scavalcate, attraverso l’adozione di decreti governativi, istituzioni fondamentali come il parlamento e si sia talora passati sopra a meccanismi e a regole che sono una garanzia per il corretto sviluppo della vita democratica. Si deve aggiungere che la moltiplicazione degli interventi e una certa confusione nel fornire le informazioni – questo anche in quest’ultima fase – hanno creato situazioni di disagio che forse si potevano evitare.    


Hanno allora qualche ragione i
no-vax nell’assumere un atteggiamento critico nei confronti di chi ci governa?

Il mondo dei non vaccinati è un mondo variegato, nel quale sussistono motivazioni di segno diverso. Vi è chi (e non sono pochi) rifiuta la vaccinazione per ragioni ideologiche, per un’ingiustificata diffidenza nei confronti nella scienza. Altri perché hanno paura degli effetti collaterali negativi registrati in alcuni (pochissimi) casi. Altri, infine, perché le modalità secondo cui sono stati assunti i provvedimenti governativi al riguardo rischiano di compromettere la libertà individuale e la stessa democrazia. Ovviamente le diverse motivazioni presentano livelli diversi di gravità. Il mancato ricorso alla vaccinazione deve in ogni caso essere sempre giudicato negativamente a causa della minaccia che rappresenta per il bene comune.


Non credi che l’obiezione di chi chiama in causa la libertà individuale abbia un serio fondamento? E, se non è così, per quale ragione?
         

L’importanza del rispetto della libertà individuale è fuori discussione. Ma questo non significa che non si debba porre alcuna limitazione al suo esercizio. Dietro l’assolutizzazione della libertà vi è una falsa (o quanto meno restrittiva) concezione della libertà stessa, frutto del rigido individualismo della cultura dominante. La libertà è, in questo caso, del tutto identificata con il “libero arbitrio”, con la “libertà da” che, se esasperata, conduce a un libertarismo selvaggio: quello dell’ideologia radicale per la quale criterio di valutazione delle scelte sono il diritto soggettivo: “vale ciò che vale per me”, e il principio del piacere: “vale per me ciò che mi piace”. La stessa formula largamente accettata come positiva: “la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro” è espressione di questa concezione. L’altro è, infatti, qui caso considerato un ostacolo alla piena espressione della mia libertà, e assume pertanto i connotati di rivale e persino di nemico. La vera libertà è “libertà per” che si realizza nella relazione positiva con l’altro, non concepito come esterno, e perciò come estraneo, ma – così vuole il concetto di “persona” – come un partner, come colui che mi appartiene, non nel senso del possesso ma nel senso della possibilità di realizzare con lui una forma di autentica comunicazione e di vera comunione.

 
E che dire dei rischi per la democrazia?

La questione è più seria, anche perché esiste oggi nel mondo una profonda crisi dei sistemi democratici; crisi che potrebbe essere aggravata dalle modalità con cui si affronta l’odierna emergenza della salute. Nonostante le riserve già avanzate su tali modalità, non mi sembra debba essere tuttavia questa la preoccupazione principale. L’impegno a sconfiggere la pandemia va senz’altro perseguito come prioritario, senza venir meno certo ad alcune fondamentali garanzie, che l’attuale governo non sembra abbia mancato di fornire.


Ma, al di là dell’emergenza sanitaria e oltre l’emergenza economica sulla quale molto si è detto, esistono, a tuo parere, altre emergenze?

Credo proprio di sì. Il prolungarsi della pandemia con le necessarie restrizioni che conosciamo fa emergere una terza forma di emergenza, l’emergenza sociale, che presenta aspetti di rilevante gravità. Essa coinvolge, in qualche misura, tutte le categorie di persone per la riduzione della possibilità di sviluppo delle relazioni interpersonali e sociali. Ma si fa sentire in particolare in tre categorie, che subiscono in modo più accentuato gli effetti negativi dell’isolamento: gli anziani, i malati e i giovani. Nei primi due casi – quello degli anziani e quello dei malati –  l’impossibilità di accesso dei parenti e degli amici alle case di riposo e agli ospedali crea situazioni di vera disumanità, persino di crudeltà. Nel secondo – quello dei giovani, specialmente degli adolescenti – il disagio è assai grave ed è destinato a lasciare purtroppo tracce profonde per l’avvenire. Lo testimonia – come si legge in molte recenti indagini – la moltiplicazione dei ricorsi degli adolescenti all’aiuto psicologico. In ambedue i casi si impone allora con urgenza la ricerca di soluzioni che consentano di uscire dall’attuale, preoccupante stato di cose. In gioco vi è la qualità della vita di anziani e malati e il futuro delle nuove generazioni.