Città laica, terra di frontiera e di sofferti confini, principale porta della Rotta balcanica, cerniera con Nord ed Est Europa, al medesimo tempo porto di mare, crocevia di popoli e culture, e storico laboratorio di convivenza di differenze religiose e culturali: sono i motivi che hanno portato a scegliere la città di Trieste per la 50a edizione delle Giornate sociali dei cattolici in Italia, che si è tenuta a inizio dello scorso mese di maggio alla presenza del pontefice e del presidente della Repubblica.
Il centro storico con le sue piazze, strade pedonali e centri congressi è diventato un salotto, luogo d’incontro, di dialogo e confronto sulla democrazia, oggi particolarmente sofferente a causa della crisi di partecipazione e di una società sempre più polarizzata.
Eppure, come ha affermato Mattarella, «al cuore della democrazia ci sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità». E proprio per questo – ha affermato il presidente della CEI, card. Zuppi, anche alla luce della preoccupante crescita della povertà assoluta (un italiano su dieci!) – la democrazia necessita di divenire «migliore e più inclusiva».
«Il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura», ci ricordava un anno fa da Marsiglia il vescovo di Roma. E da Trieste ha voluto ribadire che il vero “cancro della democrazia” è l’indifferenza, quell’indifferenza che l’amico Pierluigi Di Piazza, prete degli ultimi e profeta del nostro tempo, ci ricordava essere il suo unico nemico. Così in un recentissimo scritto la definisce Enzo Bianchi: «male radicale che in realtà non è solo omissione, ma è complicità con chi opera il male. Chi si gira dall’altra parte se vede una vittima sofferente è colpevole come chi ha colpito quella vittima e può essere un assassino se non fa nulla e non si prende cura fino a lasciar morire quell’essere umano» (in Fraternità, Ed. Einaudi, Torino 2024, p. 52).
La bella intuizione di questa edizione delle Giornate sociali è stata dunque la capacità di dare visibilità a un poliedrico mondo che, non senza fatica e spesso sotto traccia, continua a credere nella partecipazione “attiva” e “creativa” secondo i principi di sussidiarietà e solidarietà, e opera in contrasto alla cultura dello scarto, offrendo tempo, energie, risorse, amicizia e condivisione. Lo sapevamo, ma in un tempo buio come quello che stiamo vivendo, dove prevale spesso l’individualismo esasperato e menefreghista, con tante vite abbandonate e lo scarto dei non omologati (fragili, poveri, emarginati, profughi, disabili,…), dovevamo vederlo con i nostri occhi e sentirlo narrare dalla concretezza di centinaia di esperienze che da tutta la penisola sono accorse all’estremo Nord-Est per testimoniare come una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità sia davvero possibile da parte di tutti, dalle singole famiglie alle comunità ecclesiali, dall’associazionismo al più piccolo ente del terzo settore.
La grande sfida per una viva democrazia sta, dunque, ancora nell’“etica del volto” che il vescovo di Trieste, Enrico Trevisi, ha ben incarnato nel saluto conclusivo delle Giornate, facendo memoria dei fragili chiamando alcuni per nome, perché il conoscere “di persona” è l’unico antidoto al rischio di ideologizzare persone e popoli, religioni e culture. Saper riconoscere il nome significa mettere al centro la persona, ri-conoscere la sua storia; significa lottare perché sia considerata nella sua dignità, divenire partecipi del suo cammino di liberazione. È questa l’arte di restare umani.
Nelle Giornate sociali tutto questo ce l’ha ricordato anche un simbolo che nel capoluogo giuliano, a cent’anni dalla nascita di Franco Basaglia, è perenne memoria della rivoluzione che ha portato alla Legge 180 e alla restituzione di dignità alla malattia mentale, nel considerare il malato come una persona da accogliere, ascoltare, comprendere, aiutare, e non da recludere. Si tratta del cavallo di cartapesta che ha “nitrito” anche a papa Francesco al suo arrivo a Trieste.
È la medesima strada che il vescovo di Roma indica alle diverse anime del cattolicesimo, che potranno ritrovare un fecondo dialogo nella misura in cui faranno riferimento alle stesse bussole: come cristiani, al Vangelo e, come cittadini, alla Costituzione.