Rete dei Viandanti | Associazione Viandanti
Il IV Convegno nazionale della Rete Viandanti (Un Buon Pastore. Per un nuovo ministero ordinato. Bologna 30 settembre-1° ottobre 2023) vuole affidare ai battezzati e alle battezzate di buona volontà, alle comunità ecclesiali, a coloro che sono impegnati nei lavori Sinodali e a tutti i vescovi italiani alcune riflessioni – in forma sintetica ed essenziale e come espressione del suo sensus Ecclesiae –, in particolare riguardo alle sfide e alle urgenze, che appaiono più evidenti, ai fini di un rinnovamento del Ministero Ordinato.
Abbiamo considerato tali interrogativi, che avvertiamo con l’urgenza che ci viene dalla nostra coscienza, sviluppando una riflessione che si è confrontata con il contesto attuale che si configura come profondo e radicale cambiamento d’epoca.
La Chiesa intera è chiamata a questo suo stesso cambiamento d’epoca. Mettiamoci perciò in ascolto dello Spirito o saremo come quei discepoli di Efeso che dissero all’apostolo Paolo: «Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo» (At 19, 2).
Abbiamo tenuto presente anche l’indicazione di papa Francesco secondo cui la Chiesa ha sempre bisogno di crescere nell'interpretazione della Parola rivelata senza che ciò implichi l'imposizione di un unico modo di esprimerla perché le diversità se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell'amore, fanno crescere la Chiesa.
Ci siamo confrontati con teologi e teologhe, esperti ed esperte di Sacra Scrittura, Diritto Canonico, Storia del Cristianesimo, presbiteri e fratelli e sorelle di altre Chiese cristiane, dopo che il tema aveva assunto rilievo da qualche anno negli incontri periodici con i gruppi aderenti alla Rete Viandanti e attraverso la preparazione con due seminari.
Scopo del convegno è stato l’approfondimento dell’orientamento di fondo che il presbitero dovrebbe assumere in una chiesa comunione e comunità di comunità. Senza riprendere le molto ampie e articolate motivazioni teologiche, né le analisi sulle necessità pastorali e neppure l’approfondimento storico sulle caratteristiche del cambiamento d’epoca – tutti aspetti che, ovviamente, diamo per presupposti – indichiamo alcune questioni che ci appaiono prioritarie e che indicano una svolta in un cammino ineludibile1.
1. Il posto e la fisionomia del presbitero
Si tratta di dare corpo ulteriore all’ecclesiologia del Popolo di Dio e dei diversi ministeri che lo Spirito suscita al suo interno. Accanto a quelli propri di tutti i christifideles, quello Ordinato deve spostare la centralità dalla dimensione sacerdotale [cristologica] (non annullabile) a quella del pastore [ecclesiologica], segno e strumento di cura e unità della comunità. Un passaggio poi dalla
esclusività teologica del munus sanctificandi e dalla invadenza formale del munus regendi, che l’ha soffocato di impegni cerimoniali e amministrativi, ad un più significativo equilibrio del munus congregandi, centrato sul radunare e pascere il gregge di Dio, nel quale la riscoperta profezia della parola, la regalità umile del governo e la sacerdotalità come presidenza del culto comune trovano nuova forza. È quanto esprimiamo con la dizione “un buon pastore”.
Attorno a questo ruotano esigenze impellenti: la riforma dei seminari, la formazione, la selezione, la vocazione alla cura, alla custodia e all’unità dei fedeli. Salva la specifica funzione di consacrazione eucaristica, che presiede a nome della comunità, occorrerà dar corpo al superamento delle barriere tra clero e laicato e mettere meglio a frutto la ricchezza dei molteplici carismi presenti nella comunità. Ci pare necessario e ormai indilazionabile che si avvii una riflessione sulla struttura sacramentale della Chiesa: un percorso che possa auspicabilmente portare alla definizione di nuove forme di ministeri e uffici, verso una Chiesa tutta ministeriale, improntata alla sorellanza e alla fratellanza.
Ciò richiede di ridisegnare la fisionomia giuridica canonica delle comunità, l’organizzazione della potestas, i ruoli e i compiti consultivi e deliberativi attribuiti alle soggettività pastorali in comunione con il vescovo.
2. Apertura di tutti i ministeri alle donne
Convinti di esprimere la sensibilità di molti altri battezzati e battezzate, riteniamo che limitare al solo ministro maschio la presidenza della liturgia eucaristica sia incomprensibile e di incerta fondazione scritturistica. Il Concilio Vaticano II ha tracciato la strada per ripensare la pluralità dei ministeria nell’alveo di un unico Ordine sacro. Il fondamento su cui poggia la Chiesa è l’annuncio del
Vangelo di Gesù Cristo e la forma che essa adotta deve porsi al servizio di tale aspirazione.
L’esclusione delle donne dal ministero sacramentale non ci appare né giustificata in modo comprensibile dalla ragione né in linea con i racconti tramandati dell’agire di Dio. Vi sono donne che avvertono la chiamata e in cui la percezione e l’esperienza altrui scorgono carismi raccomandabili anche per l’assunzione di funzioni direttive nell’ambito del ministero sacramentale. Le argomentazioni teologiche finora espresse nei documenti magisteriali esistenti ci sembrano fortemente condizionate da paradigmi culturali superati e devono quindi essere sottoposte a una revisione critica evangelica nel contesto della Chiesa universale, revisione per la quale si deve ricercare anche la necessaria competenza scientifica.
Ci pare altresì utile un confronto nell’ambito del dialogo ecumenico.
Anche in Italia, negli ultimi decenni, si è sviluppato un dibattito (teologico, filosofico e socio-scientifico) sulle questioni dell’equità di genere e della partecipazione delle donne in tutti gli ambiti della vita ecclesiale. Il contributo di tante teologhe è stato originale e creativo: un innegabile e positivo segno dei tempi. Ci si aspettano ora ricadute concrete nelle nostre comunità. Si auspica, pertanto,
che al sensus fidelium di tutto il Popolo di Dio, e in particolare a quello delle donne, si voglia donare sempre più spazio. In sintonia con molti altri e molte altre, siamo decisamente favorevoli all’apertura di tutti i ministeri anche alle donne.
Ci aspettiamo che i vescovi italiani, come primo passo, si facciano sostenitori presso la Santa Sede dell’ammissione delle donne al diaconato.
3. Superamento del celibato ecclesiastico obbligatorio
L’unica sequela di Gesù è testimoniata, in modo adeguato, tanto dal celibato quanto dal matrimonio sacramentale, che simboleggia l’amore e la fedeltà indissolubile di Dio verso il suo Popolo, come già affermato nella Lettera agli Efesini (Ef 5,31s). Al più tardi a partire dal Concilio Vaticano II non si può più sostenere responsabilmente una supremazia dello stile di vita celibatario. I celibi possono infatti essere una ricchezza per i coniugi e viceversa. Le vocazioni, nella loro ampia varietà, hanno bisogno le une delle altre e si sostengono vicendevolmente.
Aprire il presbiterio a entrambi questi stati può significare un arricchimento complessivo della testimonianza di vita. Così come il celibato ecclesiastico vanta una lunga, benché discontinua, tradizione all’interno della Chiesa, lo stesso è vero per l’opzione e la realtà dei sacerdoti sposati. In base alla testimonianza della Parola di Dio (1 Tim 3 e altri), i ministri sposati rappresentano una realtà benefica: ciò è ancora valido non solo nelle Chiese ortodosse, ma anche in quelle cattoliche di rito orientale. Nell’ottica della fisionomia del pastore, in una comunità tutta ministeriale, anche la gestione del ruolo familiare può trovare facilitazione. Insieme, può far risaltare la volontaria scelta celibataria per il servizio comunitario.
Alla luce delle trasformazioni culturali, spirituali, antropologiche, emergenti nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, chiediamo a) il superamento del celibato ecclesiastico obbligatorio riconsiderando caso per caso le situazioni critiche in atto e effettuando, con opportuno discernimento, l’accompagnamento vocazionale dei candidati al ministero;
b) l’introduzione dell’ordinazione di viri probati;
c) il riesame caso per caso, con opportuno discernimento, della situazione dei presbiteri sospesi e dispensati, perché sposati, che volessero riprendere l’esercizio del ministero.
4. Discernere i ruoli comunitari affidati a presbiteri e laici
Occorre valutare competenze, capacità e abilità richieste dai diversi ruoli pastorali, in modo da non attribuirli solo per acquisizione di un “titolo ministeriale” astrattamente inteso. Al contempo, ci pare di avvertire un’eccessiva “creatività” che disegna ministeri la cui funzione risponde più a bisogni contingenti – e in quanto tali affrontabili pastoralmente – che a elementi costitutivi della vita comunitaria. Ben vengano comunque nuovi ministeri riconosciuti e istituiti, adeguatamente formati. Accanto, il riconoscimento di semplici carismi personali che possano rispondere ai bisogni del corpo ecclesiale.
Ad esempio, anche al fine di assicurare l’importanza e la qualità della predicazione – un nervo scoperto ricorrente anche nella consultazione sinodale – si può prevedere l’affidamento dell’omelia, nelle celebrazioni eucaristiche della domenica e dei giorni festivi, a fedeli qualificati dal punto di vista teologico e spirituale, presbiteri o laici che siano. Un ispirato regolamento sulla predicazione
definirebbe criteri più precisi per il conferimento della facoltà di predicare. In linea con l’Apostolo: “Quando vi radunate, uno ha un salmo, un altro ha un insegnamento; uno ha una rivelazione, uno ha il dono delle lingue, un altro ha quello di interpretarle: tutto avvenga per l'edificazione” (1Cor 14,26).
Nota
1) Nella stesura del testo abbiamo tenuto presente: Lumen Gentium 12; Evangelii Gaudium 40, 132; Laudato si' 17; Gaudete et exultate 39; Fidem servare 2; la Lettera del Santo Padre al nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, Víctor Manuel Fernández, del 1° luglio 2023; i recenti documenti della Commissione Teologica Internazionale; i lavori del Cammino sinodale della Chiesa tedesca.
Queste proposte – che sorgono dalla preghiera e dalla riflessione, approfondite nel nostro Convegno e adeguatamente riformulate – vogliono essere il frutto tanto dell’ascolto umile dello Spirito quanto di uno sguardo amorevole alla Chiesa reale. Sono un auspicio, una richiesta accorata, un appello.