di Giuseppe Goisis   

In memoria del nostro amico carissimo Giuseppe Goisis, che da sempre con le sue riflessioni ha contribuito ad aprirci nuovi spazi e, nello stesso tempo, ad andare in profondità con grande sensibilità umana e cristiana, pubblichiamo il suo ultimo articolo presente nel numero di settembre 2022 Dio parla? Parole e desiderio di Dio. Con lui avevamo in programma altri contributi nella rivista e in convegni... Cercheremo di continuare la ricerca secondo il suo insegnamento. Grazie Pino!   

1. Tra fideismo e razionalismo 
Il Concilio Vaticano I, inaugurato a Roma nel dicembre 1869, ha prodotto due documenti:

il più noto è Pastor Aeternus e riguarda il tema dell’infallibilità; l’altro s’intitola Dei Filius e concerne anche il rapporto tra fede e ragione; il razionalismo, caratteristico di certi filoni del pensiero “moderno”, è riprovato con fermezza, ma anche il fideismo è risolutamente condannato, affermando invece che, con il solo “lume naturale”, è possibile giungere alla conclusione dell’esistenza di Dio; poche righe più sotto, si sottolinea tuttavia come la natura di Dio abbia qualcosa di inconoscibile, sia propriamente un “mistero”1.
Come si può intuire, si presenta una situazione caratterizzata da una certa tensione, da una qualche instabilità, in quanto da un lato si pone la ragione come una specie di fondamento, ma dall’altro essa è giudicata incapace di operare lo slancio decisivo, addentrandoci nella dimensione del mistero.
Alla base del secolarismo del nostro tempo, non sta solo l’appariscente fenomeno delle messe disertate, delle chiese vuote; c’è, piuttosto, la percezione dell’incompatibilità fra la mentalità dominante, di tipo tecnoscientifico e protesa al dominio sul mondo, e una visione, come quella cristiana, che privilegia, viceversa, lo scambio gratuito, il dono, e dunque l’essere-per-l’altro.
Un acuto pensatore come René Girard, che ha indagato per tutto il corso della sua esistenza il tema del sacrificio, ha ben messo in evidenza il rovesciamento che il cristianesimo comporta di questo stesso tema: non più l’uomo che muore per Dio e per la sua grandezza, come accadeva davanti a idoli come Baal e Moloch, ma Dio che muore per l’uomo, non un Dio remoto e infinitamente Altro, ma un Dio così vicino all’umanità da assumere la sua carne e le sue sventure. Se ci si concentra su questo essenziale capovolgimento, difficilmente si smette di meravigliarsi e di stupirsi, anche perché non si tratta di un elemento accessorio, ma del perno stesso della testimonianza ecclesiale2.
Di fronte a una tale radicalità, è molto più agevole scuotere il capo e trincerarsi nello scetticismo, piuttosto che imboccare la via di un’ardua imitazione, di una complessa testimonianza che implica, pena l’ipocrisia e l’inganno, un servizio quotidiano al prossimo, a qualsiasi essere umano s’incontri, non trascurando neppure il nemico più feroce.
Non si tratta solo del prevalere di un clima relativistico e scettico di massa; ci sono correnti culturali e filosofiche ben precise: si pensi solo al Post-umanesimo, che si concentra tutto sul potenziamento dell’umano mediante la tecnica, non trascurando gli interventi più drastici sulla corporeità3.
Aggiungo un sintetico riferimento al fenomeno del Post-teismo, le cui idee vengono diffuse in Italia anche da un editore vivace come Gabrielli di Verona4. Fra i vari aspetti discutibili, il tentativo, piuttosto caratteristico dell’orientamento post-teista, di separare Dio da Gesù, il Figlio, ridotto alla dimensione della pura umanità; un tale tentativo implica lo sforzo, assai problematico, di espungere quelle parti dei Vangeli nelle quali Gesù Cristo afferma di essere una sola cosa col Padre (“Io e il Padre siamo una cosa sola”: Gv 10,30).
Ma la ricerca di demitizzare l’onnipotenza divina, facendo tremare l’immagine di un onnipotente Pantocratore, si collega anche alla via teoretica, prima fenomenologica, imboccata da J.L. Marion: il suo sforzo di concepire Dieu sans l’être ha ricevuto dapprima vasti consensi, riconoscimenti autorevoli, con accenti perfino entusiastici; più di recente, si sono levate critiche, piuttosto circostanziate e approfondite, e lo stesso Autore sembra impegnato in una ricerca autocritica, in particolare protesa a una più equanime valutazione delle “vie” di Tommaso d’Aquino5.

L’amore per la bellezza conduce a Dio?
Dicevano i più dotti rabbini, muniti anche della sapienza del cuore, che la Torah, e ogni parola proveniente da Dio, usava, comunque, il linguaggio degli uomini. Si tratta dunque di un linguaggio che ha qualcosa di mitico, denso di metafore e di simboli, tale da unire l’incisività del simbolo all’espressività dei termini; Ricoeur, in diversi suoi scritti, mette l’accento su questo grande “forse” che riguarda la comunicazione tra Dio e l’uomo, che non possiede l’esattezza e la risolubilità di una comunicazione more geometrico6.
Perché un conto è parlare di Dio, con il rischio immanente di ridurlo a una res, a un idolo superstizioso, frutto delle nostre proiezioni come intuito, seguendo diversi sentieri, sia da Feuerbach, sia da Freud7; un conto è parlare con Dio, come tentano i mistici in particolare, sostenuti da una specie di certezza morale che Dio abiti in loro, e che essi possano inabissarsi nelle profondità del Divino (S. Giovanni della Croce: “Spero in una vita tanto alta che muoio di non morire”). Il mistico vede più profondamente, seguendo la sua “mente innamorata”; per lui, Dio è “tenebra luminosa”, per esprimersi con Dionigi l’Areopagita, il codificatore delle gerarchie angeliche, il cui influsso permea la stessa Divina Commedia dell’Alighieri.
Se Dio c’è, come penso e credo, è assai più grande di quanto stimiamo e abbiamo considerato nel passato, “grande” in ogni aspetto, a tal punto che la mente si smarrisce e si spaura; la vastità e la complicazione di quello che non conosciamo è immensa, in un certo modo ci schiaccia: la nostra galassia contiene milioni e milioni di stelle e le galassie sono miliardi, a quanto gli astronomi vengono constatando. Desiderio significa, appunto, nella sua radice: “dalle stelle”, “de sideribus”. Ed è una sorta di nostalgia che ci trascina verso Dio, che nell’esistenza ci fa trovare il coraggio della compassione, che ci ispira le parole più belle in una trama nella quale umanesimo e misticismo non si contrappongono affatto, ma si saldano armoniosamente dove l’impostazione dualistica tende ad attenuarsi, fino all’elisione8.
L’amore per la bellezza è quindi una via per accostarci all’Assoluto come nei secoli si è pensato e cercato? Occorre distinguere, tuttavia, la dimensione estetica dall’estetismo; nel secondo, come spesso evidenziato da Luigi Stefanini, vive un palese autocompiacimento, una segreta spina che rinvia al narcisismo e, dunque, può far ripiombare in quell’idolatria che blocca ogni sentiero verso il Divino.
Ci ha provato un grande testo di Chateaubriand, che ha ispirato la generazione del Romanticismo europeo: Il genio del cristianesimo (1802), ci ha provato John Ruskin, l’autore di The stones of Venice (1851), ha ritentato JorisKarl Huysmans con À rebours (1884), ma il loro contributo, mi sembra, si è fermato a un certo spirito apologetico presso gli ambiti artistici e intellettuali, senza approfondire veramente le relazioni col Divino9.
Dunque, è più una questione di gusto, con aspetti che sfiorano la storia degli usi e perfino delle mode; non si tratta tanto dell’incontestabile realtà secondo la quale anche il Romanticismo ha avuto i suoi esponenti atei, come Shelley, o antiteisti, come Proudhon; non è in questione solo l’impostazione, fra utopica e trasognata, di grandi scrittori come Novalis, capaci di rimettere in auge l’architettura gotica o il canto gregoriano. Il problema si colloca, secondo me, a una maggior profondità: come ha ben messo in evidenzia S. Kierkegaard, non si può confondere la vita estetica con le modalità d’esistenza caratteristiche dell’etica e della religione. Una confusione indebita fra tali stili di vita implica opzioni radicalmente diverse.
Aggiungo che dietro a tale confusione può celarsi un malinteso spirito apologetico; proprio lo stesso Kierkegaard, nel suo pamphlet L’ora (1855), ha mostrato la vanità, perfino l’empietà connessa al voler difendere Dio dai suoi accusatori, facendolo in faccia allo stesso Assoluto, dimenticando che non è un idolo tremante, che abbia bisogno del nostro soccorso, perfino della nostra salvezza...

L’istanza di esperire
In un certo modo, le varie prove dell’esistenza di Dio (meglio “vie”, come lo stesso Tommaso d’Aquino le chiama presentandole prima nella Summa contra Gentes, in un modo più accurato nella Summa Theologica) partono dall’istanza di far posto in modo adeguato all’esperienza (anche se non manca il filone che si snoda a partire dalla cosiddetta “prova ideologica” di Anselmo d’Aosta, ruotante attorno alla presenza originaria dell’idea di Dio entro la mente umana)10.
A questo punto, intendo sottolineare come ci sia bisogno di esercitare, nei confronti di ogni credenza, un controllo critico: questa l’insostituibilità della filosofia, capace di realizzare una vera e propria deterrenza critica nei confronti di ogni paccottiglia sensazionalistica, di tutte le mitologie trash; sì, la filosofia autentica, sia nel suo momento dianoetico, sia in quello noetico, è la custode della funzione critica della ragione; non intendo riferirmi alla ragione calcolante, che gode di buona salute in quanto connessa all’imponente sviluppo dell’impostazione tecno-scientifica: alludo invece alla ragione teoretica, a quel noûs che Platone descrive sinteticamente nella Lettera VII.
Beninteso, la questione riguarda anche la teologia, che è venuta via via liberandosi da un eccessivo meccanicismo e, per certi aspetti, intellettualismo; la trasformazione si può fare iniziare dall’opera di Henri De Lubac Sulle vie di Dio, nella quale una vastissima conoscenza è messa al servizio di un’intuizione sostanzialmente mistica11. Anche per De Lubac l’esperienza conta, e tanto; dall’esperienza, assunta nel senso più lato, si procede a elevarsi verso un ragionamento ben concatenato, che può condurre “à la trace de Dieu”.
Il filosofo esistenzialista Gabriel Marcel spiega puntualmente tale metamorfosi dell’impostazione: non è decisiva soltanto la questione dell’esistenza di Dio, ma soprattutto quella della presenza di Dio: è la presenza che dà slancio allo spirito umano, orientandolo, limpidamente, verso l’Infinito.
Proprio quando esce l’Enciclica di Leone XIII Aeterni Patris (1879), che invita a riprendere in mano e anche a valorizzare la vasta opera di Tommaso d’Aquino, si delineano fermenti diversi di pensiero, in parte confluiti in quel movimento complesso che è stato sintetizzato (e condannato da Pio X) come: “modernismo”; tale movimento trova il suo punto di partenza nella constatazione del gap, con aspetti davvero vistosi, tra la cultura d’ispirazione cristiana, cattolica in particolare, e la riflessione caratterizzante la “modernità”. Un esponente di punta del “modernismo” è Alfred Loisy, spregiudicato rilettore della Scrittura, dotato di un acuto senso, quasi palpabile, del Divino, anche per certi suoi ingegnosi innesti con metodologie del Positivismo e del Pragmatismo.
Ma spicca soprattutto Maurice Blondel, con le sue profonde analisi del tema dell’azione; si tratta di una vera e propria svolta, ma l’influsso di Blondel viene in parte “bloccato” dalle accuse di essere coinvolto nell’ambito del “modernismo”, sospetti peraltro infondati, se lo si legge con attenzione e nella sua interezza. E tuttavia la sorgente prima di una ripartenza sulla questione di Dio è costituita dall’opera del grande filosofo Henri Bergson, in particolare considerando Les deux sources de la morale et de la religion (1932): si tratta di un’opera che riguarda la sua maturità e che segna il distacco più netto dal Positivismo12. Oscillante tra la grande tradizione d’Israele e l’amore per Plotino (difficile conciliazione!), Bergson rivaluta l’esperienza mistica rispetto al discredito in cui l’aveva piombata il Positivismo. Le sue considerazioni costituiscono un primo tentativo di fenomenologia integrale dell’esperienza mistica, descritta con un’intensità, un’accuratezza e una fedeltà ai documenti raramente conseguite. Difficile scartare tutto come un inganno, o anche un autoinganno, anche perché le testimonianze delle più eminenti personalità mistiche coincidono in maniera impressionante...
Infine, per questo mutamento del clima culturale e filosofico, vorrei rammentare l’apporto del Neospiritualismo, che valorizza il principio di interiorità nella riflessione, per volgersi, in un secondo momento, sulle orme di un Dio velato di mistero. Il problema del Neospiritualismo consiste però nel concedersi totalmente al primato della soggettività, scivolando talora in una specie di intimismo impressionistico, a differenza del più robusto Spiritualismo ottocentesco, culminante nella notevole personalità teoretica di Antonio Rosmini.
Insisto, in conclusione, sulla necessità di rimanere fedeli agli orientamenti della ragione; uno studioso di politica, Mark Lilla, ha parlato, a proposito del nostro tempo, di naufragio della ragione, di un emozionalismo viscerale, che sembra decostruire ogni saldo confine e ogni definizione sotto la sferza delle emozioni più incontenibili13; ciascuno può intuire a quali gravi conseguenze, talora irrimediabili, possa condurre quest’ondata di irrazionalismo.
Io stesso un tempo non me ne rendevo conto, e debbo gratitudine a Francesca Rivetti per avermi fatto intendere tale rischio, fornendomi anche una formula preziosa per riferirmi al Divino senza appiattirlo, o reificarlo: “Dio Amore vivente” 14.

Note

1) “Neque solum fides et ratio inter se dissidere numquam possunt, sed opem quoque sibi mutuam ferunt, cum recta ratio fidei fundamenta demonstret”: Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion symbolorum, Herder, Friburgo-Roma 1976, p. 592 (si tratta della Sess. III, cap. IV della Costituzione Dei Filius. 
2) Sul punto, importanti considerazioni in B. Maggioni-E. Prato, Il Dio capovolto, Cittadella Editrice, Assisi 2020. 
3) T. Tosolini, A nostra immagine, EMI, Bologna 2022. 
4) Si consideri in particolare P. Gamberini, Deus duepuntozero, Gabrielli, Verona 2022. 
5) J.-L. Marion, Dio senza essere (1982), Jaca Book, Milano 2018. Negli ultimi anni, proprio in Francia e con epicentro a Parigi, si è sviluppata un’articolata discussione sul rapporto tra le scienze e il Divino, culminata nella sintesi: F. Euvé-E. Klein, La science, l’épreuve de Dieu, Salvator, Paris 2022. 
6) P. De Benedetti, Quale Dio?, Morcelliana, Brescia 1996, pp. 28-49. 
7) Dall’animista, che tende a praticare una religione intrisa di magia, a un certo devozionalismo, che conta su pratiche meccaniche e ripetitive, la riduzione del Divino, che ha le caratteristiche di un sublime nomadismo, a una piatta idolatria è il rischio dei rischi, non solo una deriva comune, ma anche tortuosa, dalla quale non è facile emanciparsi, maturando. 
8) J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medioevo, Sansoni, Firenze 2002. 
9) R. Chateaubriand, Essai sur les révolutions-Génie du Christianisme (1802), Gallimard-La Pléiade, Paris 2003, pp. 1044-1054. Le pagine indicate fanno consistere il “genio del cristianesimo” nella sintesi fra bellezza ed educazione, sintesi che avrebbe il potere di elevare l’umanità. 
10) Un’eccellente sintesi in E. Berti, Le prove dell’esistenza di Dio nella filosofia, con Nota di L. Grecchi, Morcelliana Scholé, Brescia 2022. Berti, uno dei maggiori studiosi di Aristotele nel mondo, è da poco scomparso. Cfr anche E. Gilson, Tre lezioni sul problema dell’esistenza di Dio, Armando, Roma 2013. 
11) H. De Lubac, Sulle vie di Dio (1956), Jaca Book, Milano 2008 (si tratta del I volume dell’Opera Omnia). 
12) H. Bergson, “Les deux sources de la morale et de la religion” (1932), in Oeuvres, PUF, Paris 1970, pp. 1201-1247. 
13) M. Lilla, Il naufragio della ragione, Marsilio, Venezia 2019. 
14) F. Rivetti Barbò, Dio amore vivente. Lineamenti di teologia filosofica, Jaca Book, Milano 1998. Significativa la convergenza fra tale punto d’approdo e momenti salienti dell’Evangelo: cfr. M.-D. Goutierre, Dio è luce, Dio è amore. Lettura teologica della Prima Lettera di San Giovanni, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2022.

Esodo n. 3/2022, Dio parla? Parole e desiderio di Dio, pp.46-51