SIMONE WEIL: EUROPA ISLAM di Carlo Bolpin

Fin dall’inizio ESODO ha cercato di capire la radice dei problemi attuali e di inquadrarli storicamente. Non si capisce infatti l’oggi senza l’analisi storica di lunga durata oltre lo sguardo sulla immediata situazione, che porta a semplificazioni, forse con un certa presa comunicativa ma con il rischio di deviare dalla comprensione e dall’azione efficace.

Nella direzione di questa visione complessiva e problematica va il prossimo numero della rivista ESODO sul rapporto tra IS, Stato islamico, la pluralità di ISLAM. Si intende anche prendere coscienza delle responsabilità dei Paesi occidentali per non continuare a commettere gli errori del passato. Molti opinionisti si stupiscono ora dell’esplosione della violenza in Medio Oriente dopo un periodo di “tranquillità”, vista però solo dallo strabismo europeo, che non vede come la pace in Europa dal dopoguerra sia frutto dell’esportazione delle guerre negli altri continenti. Non vedeva e non vede la drammatica realtà di oppressione, di povertà e di frustrazione dei popoli di queste aree.

Continua a non vedere la strutturalità –almeno da decenni- delle migrazioni di massa, le nostre complicità, la vendita delle armi, i legami economici e politici con i governi che sostengono i terroristi. Solo ora, quando siamo vittime della violenza barbara dentro le nostre città, scopriamo stupiti all’improvviso che “siamo in guerra”. Si continua così a ragionare con i paradigmi politici e militari “neocoloniali” che, combinati con gli effetti perversi della globalizzazione, hanno portato al “caos” attuale, di fronte al quale i leader europei si mostrano impotenti e disorientati. Se la politica è l’arte e la scienza del compromesso, devono essere chiari gli obiettivi e i costi, i modi per governarli. Invece i Paesi europei mantengono questa politica “neocoloniale” senza nemmeno la capacità di governarne i tragici effetti. Ma come è possibile affrontare razionalmente l’oggi con gli stessi paradigmi che hanno causato l’attuale disastro? Ciascun popolo deve fare i conti con la propria storia e carpire le proprie responsabilità storiche significa cercare di non continuare nell’errore e di correggere le politiche sbagliate. Questa è una delle lezioni di un breve saggio di Simone Weil, che continua a colpirmi per la potenza dell’analisi anticipatrice, “La questione coloniale e il destino del popolo francese”, in “Sul colonialismo. Verso un incontro tra Occidente e Oriente”, Ed Medusa, con presentazione di Domenico Canciani. Una nuova traduzione è contenuta in “SW, “Una Costituente per l’Europa. Scritti londinesi”, D. Canciani e M. A. Vito, Castelvecchi. Simone scrive questa riflessione nel 1943, in piena occupazione nazista della Francia. L’accusa è precisa ai cristiani, che vedono nella colonizzazione un quadro favorevole alle missioni snaturando così il messaggio di Cristo.

L’accusa è decisa anche verso i “laici” che non riconoscono di aver privato della libertà altri popoli. Di grande attualità è la sua riflessione conseguente. Grave è l’errore di pensare che la colonizzazione diffonda la “fede laica” della libertà, che non può essere imposta. Il colonialismo produce infatti una influenza “delle idee del 1789” debole e passeggera, mentre forte e duratura è la diffusione “del veleno dello scetticismo”. Scrive: “A contatto nostro si fabbrica una specie d’uomini che non crede a nulla. Se tutto ciò continua ne subiremo un giorno il contraccolpo” con una brutalità mai vista. La riflessione punta al cuore del problema, senza sconti. Il male della servitù coloniale è lo stesso che la Germania avrebbe potuto far subire all’Europa: lo “sradicamento”, la spogliazione del passato senza dare un presente che non sia appunto la servitù. Straordinario è quanto scrive. “Abbiamo inflitto agli altri quanto la Germania avrebbe voluto infliggerci”: abbiamo tolto loro “tutta la gioia di vivere”. Di conseguenza o gli “indigeni” rimarranno attaccati alla loro tradizione e reagiranno contro una cultura estranea o “adottano lealmente questi principi (intende quelli della Francia dell’illuminismo) e si ribellano per non averne beneficiato”.

Questa analisi anticipa quella attuale dei più attenti studiosi sul nihilismo e l’islamizzazione del radicalismo, come “ultima utopia” di chi decide la “bella morte” per rabbia, risentimento e odio. È sradicato, senza terra e patria, vive la negazione di quei diritti promessi e dichiarati universali; percepisce come estranei e mortificanti i luoghi presentati, dai mass media e dalla classe dirigente, come simbolo dell’Occidente (aereoporti, discoteche, supermercati…), i non-luoghi del non-senso, della solitudine di massa. Penso a quanto scrivono oggi molti esperti in merito alla cosiddetta integrazione e alla demagogia sulla “cultura” e sulla formazione senza porsi il problema di quale sia la proposta culturale per dare senso alla convivenza civile e quale sia il modello di società in cui si chiede di integrarsi. Dovremmo avere la stessa lucidità nel fare i conti con la nostra storia che ha Weil. Alla France libre non concede alibi. Va alla radice della stessa lotta di liberazione dal nazismo, che deve “pensare” la colonizzazione in quanto questa “ha la stessa legittimità dell’analoga pretesa di Hitler sull’Europa centrale”.

Esiste una stretta e diretta analogia tra i procedimenti delle conquiste coloniali e quelli hitleriani, che applicano al continente europeo i metodi e gli argomenti della conquista coloniale Da questo nesso deriva che la lotta contro il nazismo per la libertà dei francesi esige la libertà degli altri popoli oppressi dai francesi. Nessun idealismo astratto di SW, ma la lucida constatazione che la Francia ha perso la sua “forza” e allora, con parole illuminanti, afferma: “Se è la forza che decide, la Francia ha perso la sua; se, invece, è il diritto, la Francia non ha mai avuto quello di disporre del destino delle popolazioni non francesi”. Voler mantenere le colonie, non solo senza averne diritto ma senza neppure la forza, è un errore gravissimo con conseguenze drammatiche per la stessa Francia. Mi sembra chiaro che questo vale oggi per l’intera Europa. Perse le colonie per le lotte di liberazione dei popoli oppressi, si vuole continuare la politica neocoloniale senza che i paesi europei abbiamo più nemmeno la forza di gestire questa politica, di governarne le conseguenze, i disastri attuali. Si pretende di avere diritto sugli altri popoli in nome di un ruolo centrale, che non c’è più, nella costruzione della civiltà dei diritti umani universali, oggi negata dall’Europa. “L’assuefazione crescente” alla crudeltà e alla “manipolazione più brutale della materia umana” ci ha tolto anche la sola possibilità di pensare di avere la missione di “insegnare a vivere all’umanità intera”.

Così scrive la Weil che trae la lezione: se si privano i popoli delle loro tradizioni si toglie loro “l’anima” e li si riduce allo stato di “materia umana”, tanto peggio quando non si ha una nuova anima da proporre. Il nodo di fondo è che l’Europa stessa, proprio durante la lotta di liberazione dal nazifascismo, sta perdendo – scrive ancora- la sua anima, la sua radice. La prova decisiva starà proprio nella liberazione di quei popoli che i francesi stanno opprimendo. Altrimenti sarà vana la stessa lotta al nazifascismo. I due processi di liberazione sono strettamente legati. Mi sembra colto il nodo non risolto ancora oggi: dal dopoguerra i paesi europei hanno mantenuto rapporti di oppressione e di sfruttamento senza cogliere il nesso tra la propria liberazione e quella degli altri popoli. E si chiudono in muri negando l’universalità dei diritti umani. Un ulteriore pericolo per l’Europa viene previsto da SW per il dopoguerra: l’americanizzazione –una cultura tutta centrata sul presente- che minaccia il nostro passato. Perderemmo infatti “quella parte di noi stessi che è più vicina all’Oriente”, dal quale ci viene gran parte del nostro passato, in particolare all’Oriente arabo-musulmano. SW mostra, in questo testo in modo sintetico e in altri in modo più approfondito, l’origine orientale della nostra civiltà, dalla Grecia al cristianesimo, e come la cultura orientale abbia fecondato la civiltà europea nel Medio Evo e nel Rinascimento. Per “rimanere spiritualmente viva” l’Europa ha quindi bisogno di rinnovare contatti reali con l’Oriente, in modo nuovo, vero e profondo. Se perdiamo questa occasione sprofonderemo nell’impotenza e nel nulla. La condizione è rientrare in comunicazione con il nostro passato trovando in ciò lo stimolo per un’amicizia reale con ciò che in Oriente rimane delle comuni radici. Le diverse forme di neocolonizzazione e l’americanizzazione impediscono questi rapporti, con il rischio mortale per l’intera specie umana della perdita del passato, che equivale alla perdita del soprannaturale. Ma un nuovo umanesimo non può nascere sulla perdita del soprannaturale, depositato nei tesori spirituali del passato, in cui si possono trovare, scrive Canciani nella citata presentazione, “tracce di rari momenti un cui la forza non ha dominato, la giustizia ha regnato, bagliori di civiltà, di santità hanno illuminato le tenebre”. In queste esperienze dell’ascolto del divino occorre ritrovare la radice spirituale, non per nostalgia ma per capire il presente e per proiettarsi nel futuro. In SW non c’è separazione tra questa lettura “mistica” e l’analisi delle condizioni materiali. I due momenti sono strettamente legati. La mistica, vivere lo sguardo soprannaturale di Dio sul mondo, non è una fuga per la delusione dell’impegno politico, ma costituisce proprio il modo per vedere, come l’Angelo di Benjamin, le macerie della storia con una vista lunga e profonda, radicalmente diversa da quella della “forza” che espropria la propria e l’altrui libertà. La politica, rigenerata continuamente dalla compassione, nasce dalla cura e dalla prossimità nei confronti dell’altro, verso il quale abbiamo doveri che vengono prima della rivendicazione dei nostri diritti. Premessa della politica è quindi il “coraggio soprannaturale” che permette di riconoscere la forza e di “rifiutarla con disgusto e disprezzo”. Altrimenti la politica è impotente ( G Goisis, “Un terribile amore per la pace”e Domenico Canciani, “

Dallo sradicamento verso una civiltà nuova”, in “La lezione di S. Weil”, a cura de Le vicine di casa). Il legame tra i due momenti, mistica e politica, che le permettono di non cadere in forme di spiritualismo intimista e di azione individuale, deriva dalla sua convinzione sulla centralità della soggettività, della libertà del soggetto nella sua dimensione integrale, materiale e soprannaturale. Senza quest’ultima la libertà è negata, il soggetto è ridotto a cosa sotto il dominio della “forza”, è sradicato. Questa condizione umana viene quindi analizzata da SW in tutte le situazioni di oppressione e di liberazione (interne al soggetto, in fabbrica, nelle organizzazioni statuali, politiche e sindacali, nelle religioni e nelle chiese).. SW arriva ad alte vette di riflessione e di esperienza mistica e nello stesso tempo all’elaborazione di analisi e di programmi politici di grande attualità anche ora. La domanda che lei si poneva con grande realismo era se c’era ancora tempo o se l’Europa sarebbe stata travolta dall’illusione della vecchia forza combinata con l’americanizzazione vincente. Pensava che la lentezza della decadenza dell’Europa rendesse ancora possibile recuperare la tradizione passata nell’incontro con le civiltà dell’Oriente. Temeva però che tra Europa e Oriente, in particolare arabomusulmano, si combinassero non le virtù e i tesori spirituali ma i vizi degli uni e degli altri. Mi sembra oggi sia avvenuto questo, in una società senza “anima”, che sta perdendo la ragione e le radici, in cui le parole del “divino” e dello stesso “umano” risultano incomprensibili. Carlo Bolpin

NOTA BIBLIOGRAFICA Oltre ai testi citati e a quelli pù noti, alcuni brevi saggi si trovano in - SW, “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”, ADELPHI - SW, “Incontri libertari”, a cura di Maurizio Zani, ed elèuthera - SW, “La persona e il sacro”, ADELPHI - SW, “Lettera a un religioso”, ADELPHI

scrive Carlo Bolpin - L’intervento che ci è arrivato e che viene pubblicato esprime posizioni alternative a quelle contenute nella recensione del saggio di Simone Weil. In attesa di altri contributi per ora consiglio la lettura dell’ultimo numero della rivista ESODO “Religioni e fondamentalismi. L’Islam e gli altri” che mostra la complessità degli Islam e dei diversi fondamentalismi e offre strumenti critici delle semplificazioni e dei diffusi luoghi comuni. Una doverosa precisazione riguarda l’ultima affermazione relativa all’Imam di Marghera , di cui ovviamente è totalmente responsabile l’autore, che avrebbe dovuto indicare la fonte: dove avrebbe scritto o detto quanto riferisce Marchiori. E’ questa una minima regola di correttezza. Inoltre conosco l’Imam e so che il suo pensiero non è quello. Si veda l’intervista pubblicata in ESODO n 1, 2016 “Percorsi di Misericordia”

scrive Piergiorgio Marchiori - Siete indubitabilmente bravi e perseveranti ma siete pure sfortunati con questo argomento: perché il momento è particolare e inidoneo a tali considerazioni malgrado le profezie Weil
E probabilmente la Fallacci aveva anche lei tante ragioni a pensare e dire che:
l'islam buono non esiste, se mai quello ingenuo è acquiescente. 
e come mai che , come vediamo, i terroristi sono tutti islamici ?
e che nelle moschee non mancano iman itineranti fondamentalisti 
e che dissimulano per fede la estrema violenza contenuta nelle Sure del buon Maometto con le sue 19 guerre di religione
e che sognano la mezzaluna a Roma (e sono a buon punto)
e che i fatti recenti parlano chiaro di quali siano le loro intenzioni e il loro ancestrale rancore nei nostri confronti
e che la TK, con 1/2 popolazione sotto i 26 anni non può sapere quello che farà:
    per tale motivo sono temibili anche senza le 50 atomiche Nato sequestrate dal protervo Erdogan ( esplicito ammiratore di Hitler) che ora ha i pieni poteri per imporre quella SHARIA che da tempo sogna e persegue, portandola in Europa con l'improvvido ingresso causa i nostri masochistici interessi
e che noi abbiamo popolazione vecchia come la nostra inidonea Costituzione le persone imbelli e senza fede ma i cui cristiani di spicco sono vieppiù perplessi e increduli alle dichiarazioni pontificie, per non dire che i presenti clandestini (94% , contro 6 aventi diritto di rifugiati) non mancano quotidianamente di esprimere quello che pensano nei nostri confronti...
e non mi sento colpevole degli innegabili errori commessi da chi è più evoluto nei secoli scorsi , per non dire che l'Africa triplicando la sua popolazione in 20 anni non ha il diritto di annientarci, A meno che non desiderino solo la bella vita come i barbari nella Roma di fine impero.
e che in ogni cosa ci vogliono regole severe, specie con mali estremi
Per TUTTO questo, e se non bastasse non manca dell'altro per chi ne vuole di più, è come se già fossimo in guerra, anzi siamo in pericolo concreto sentendo anche il responsabile della moschea di Marghera a dire che i veri martiri sono quelli , I LORO KAMIKAZE, e non i nostri perditempo come Kolbe &C....
Ma Dio come protegge la sua Chiesa ?

 

scrive Vincenzo Guanci - Caro Carlo,

avevo letto il tuo intervento su Europa e Islam a suo tempo sulla rivista e ho pensato alla tua richiesta di intervento per esodonline. Devo purtroppo dirti che non riesco ad imbastire un intervento decente su questi temi che vada oltre la chiacchierata  tra amici come quella dell’altra sera. Il fatto è che non conosco per niente Simone Weil, non ho mai letto un suo libro né un libro su di lei!

Il suo discorso sul colonialismo riportato da te mi appare di tutta evidenza, da un lato: se combattiamo l’oppressione nazista dobbiamo combattere l’oppressione coloniale,  e piuttosto superficiale, dall’altro: voler mantenere le colonie è un errore per la Francia (vero, l’aveva capito anche De Gaulle...).

Il discorso sull’Europa, poi, non credo possa ridursi ad un neocolonialismo “senza averne più la forza”. Non capisco cosa voglia dire. Che la guerra a Gheddafi sia stato un errore di strategia politica è ormai ammesso da tutti; ma che c’entra il neocolonialismo? Con Gheddafi il popolo libico stava bene perché era libero e indipendente?

“Pretendere di avere diritto sugli altri popoli in nome...” è certamente sbagliato ai sensi della Carta dell’ONU e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.

Il fatto è che tali diritti sono presenti “sulla carta”  da meno di un secolo (praticamente “stamattina” storicamente parlando) e per secoli, per mezzo millennio, dalla scoperta dell’America, noi nazionalisti europei abbiamo pensato che gli altri, “tutti gli altri”, siano selvaggi da civilizzare. E in effetti, personalmente faccio fatica a considerarmi concittadino del mondo con Gheddafi, Saddam Hussein, Al Sisi, Orban, ecc. ecc.

E poi.

Cosa c’entra il colonialismo e il neocolonialismo con l’Islam? con l’Is? con la guerra civile in Siria? con la guerra israelo-palestinese? Il terrorismo dell’Is è una “guerra di liberazione”? Liberazione dall’oppressione yankee, europea, e cristiana? E anche l’ Arabia Saudita è una colonia, o forse una “neocolonia” asservita agli americani? E l’Iran? 

E’ tutta colpa degli Stati europei e degli Stati Uniti? Il mondo non è in pace per le mire imperialiste occidentali? E allora la Cina? e la Russia? Mi pare tutto enormemente  complesso e complicato....Forse sono io che non ho capito niente e la faccio più difficile di quello che è.

Certamente non sono in grado di mettere ordine tra queste quattro chiacchiere in modo decente per intervenire su esodonline. 

Ti ringrazio, comunque, per aver pensato a me. Un caro saluto

Enzo

 

scrive Gianandrea Piccioli - La recensione di Carlo Bolpin al saggio di Simone Weil mostra l’attualità delle sue analisi per il dibattito odierno circa il problema dei migranti, l’accoglienza, le radici del fenomeno. Mi sembra che in proposito tutto sia ormai stato detto: analisi economica, premesse storiche, peccati originali dell’Occidente a partire dal colonialismo (il nostro particolarmente schifoso: vedi Graziani in Libia ed Etiopia) e continuando via via fino alle recenti guerre per esportare con le bombe la cosiddetta democrazia. Nessuno di noi può tirarsi fuori: come la libertà anche la responsabilità (morale e sociale) è indivisibile, personalmente possiamo anche essere incolpevoli ma già solo il silenzio o il non provare vergogna per quello che succede intorno a noi e per le nostre omissioni ci rende complici. Il saggio di Simone Weil sul colonialismo è illuminante, anche nella parte in cui deplora la resa dell’Europa alla cultura americana: processo che nasce con lo sviluppo capitalistico (e “il fatale ciclo produzione – profitto – consumo” di cui parla Cardini, certo non un trinariciuto comunista, nel saggio da voi ripreso in rete) e trionferà con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda, la Nato (per inciso: c’erano accordi precisi con Gorbaciov per sciogliere l’Alleanza Atlantica una volta smantellato il sistema sovietico per contrastare il quale la Nato stessa era nata… lo testimoniano anche Kissinger e l’ambasciatore Romano, entrambi non ascrivibili a simpatie comuniste… Per non parlar del capo della CIA installatosi a Kiev per meglio organizzare i moti di piazza Maidan…). Ma ancor più illuminante è, sempre della Weil, la Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano. Importante innanzi tutto perché ribalta il discorso dai diritti agli obblighi, cioè al farci responsabili anche della libertà degli altri. E poi per l’impostazione laica del problema. Faccio solo alcune citazioni (il saggio è raccolto nel volume ottimamente curato da Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Simone Weil, Una costituente per l’Europa. Saggi londinesi, Castelvecchi 2013): Tutti gli esseri umani sono assolutamente identici nella misura in cui possono essere concepiti come costituiti da un’esigenza centrale di bene attorno alla quale si dispone un po’ di materia psichica e carnale. Ogni volta che, in conseguenza di atti o di omissioni da parte di altri uomini, la vita di un individuo è distrutta o mutilata da una ferita o da una privazione dell’anima o del corpo, in lui non è soltanto la sensibilità a subire il colpo, ma anche l’aspirazione al bene. Viene commesso in questo caso un sacrilegio verso ciò che di sacro l’uomo racchiude in sé. Per concepire concretamente l’obbligo verso gli esseri umani e suddividerlo in una pluralità di obblighi, è sufficiente concepire i bisogni terrestri del corpo e dell’anima umana. Ogni bisogno costituisce l’oggetto di un obbligo. (Sottolineatura mia.) È criminale tutto ciò che ha come effetto di sradicare un essere umano o d’impedirgli di mettere radici. Basterebbero queste poche frasi a farci sentire tutti responsabili, a partire dalle nostre viltà quotidiane e dalle nostre astensioni, anche politiche. Non occorre esser masochisti per provare sensi di colpa guardando negli occhi coloro del cui stato siamo anche solo indirettamente causa. Ci commuoviamo ancora vedendo la foto del bimbo ebreo che esce dal ghetto di Varsavia, tra le risa dei soldati nazisti, con un berretto più grande di lui e le mani alzate, e restiamo indifferenti alla foto di Petra Lazlo, la reporter ungherese che sgambetta il profugo in fuga col figlioletto in braccio? Dov’è la differenza? Chissà che cosa direbbe oggi Anna Maria Ortese, che in un’intervista ora raccolta in uno dei suoi libri più belli e importanti, Corpo Celeste, Adelphi 1997, scriveva: La Terra va diventando una fossa atroce per i deboli, i non aventi diritto. E abbiamo torto a identificare questa idea (di rifiuto di una legge per tutti, di una libertà per tutti, di rifiuto di una libertà come respiro di tutti), a identificarla con il vecchio nazismo. No, il nazismo – e il suo fiore malato, il culto della razza – è oggi un altro ed è universale, e in qualche modo, perché universale, invisibile. È la concezione della vita come privilegio della razza economica, dell’umanità come summa del valore economico, del valore economico come unica carta d’identità. Senza valore economico non vi è identità, né quindi riconoscimento, né quindi esenzione dal dominio e lo strazio esercitato dai forti sui deboli. Io sono extra moenia, però confesso che mi ha sconcertato leggere gli interventi suscitati dall’ articolo di Bolpin: ma “Esodo”, fin dal nome, non si richiama a un episodio biblico, l’esodo, appunto, degli ebrei dall’Egitto? E il cristianesimo non si sussume tutto nella parabola del Samaritano? Il quale era un infedele, allora come oggi tanto più benemerito di molti fedeli.