di Carlo Bolpin - Il confronto sul tema del n. 4-2015 di ESODO “DIO NON NECESSARIO?” è continuato con alcuni interventi in esodonline, in due incontri pubblici e in alcuni scambi tra amici. Non intendo ora fare il punto né tantomeno dare la mia risposta ai tanti interrogativi emersi, ma vorrei rilanciare l’approfondimento individuando alcune questioni di fondo. La forma di “tesi” ha la pretesa di provocare e aprire, non quindi di chiudere.
LA PRIMA TESI riguarda il venir meno del nesso tra il bisogno del divino e il bisogno di senso, che caratterizza le forme tradizionali di religione e di spiritualità: Dio come spiegazione dell’origine e della finalità del mondo e della vita. Dio, variamente inteso tra trascendenza e immanenza, soddisfa la ricerca di dare senso all’esistenza. Ora Dio non è più ipotesi necessaria a dare senso. Dalla natura, dalla storia, dalla bellezza non si va a Dio come loro fondamento. Nemmeno dalla propria interiorità: ci si perde nel vuoto, nel nulla di senso. Non è più sostenibile l’idea di Dio come causa incausata, Ragione Prima dell’ordine del mondo, Sommo Artefice Ingegnere dell’universo, Regolatore della storia e Legislatore. Non sono più razionali queste raffigurazioni di Dio: il cosmo e la storia non sono razionali, non seguono logiche della necessità, dell’ordine finalistico, in cui le catastrofi naturali o prodotte dall’uomo e che provocano dolori e disordini, trovano un senso in quanto creative di nuova vita.
Non solo dal Male deriverebbe il Bene, ma tutto sarebbero Bene in sé. Tali visioni risultano insignificanti. Le scienze mostrano che non esiste un disegno intelligente, una direzione all’evoluzione del cosmo e all’apparire dell’intelligenza umana, che sono invece frutto del caso, delle probabilità. Il cosmo, e in esso l’uomo, non è un meccanismo perfetto ma è frutto di accidenti e incidenti, che si autoriproduce per catastrofi e per dispersione. La modernità ha tolto significato normativo, etico ed estetico, alla natura che è rappresentata come una potenza estranea da usare e manipolare fino in fondo per mio piacere, per i fini che autonomamente mi do e che reclamo come miei diritti. Questa immagine della natura e della sua potenza può affascinare in quanto orribile, terribile, oppure può dare un senso panico del mistero, che spinge alla ricerca di immergersi nel Tutto inspiegabile che interroga e soddisfa il bisogno di senso, pur in un modo indicibile, appunto come mistero.
Oppure questo disegno viene secolarizzato e soddisfa il bisogno di senso in un orizzonte totalmente immanente, tutto dentro l’esperienza terrena del progresso fino alla pienezza della felicità umana e cosmica: tutto è salvato, redento da questo progresso in cui trovano significato i dolori delle esistenze umane (e non solo) concrete, “sacrificate” per un fine collettivo. Gli umiliati e offesi, le immani sofferenze di interi popoli, per le catastrofi naturali e per le azioni umani, trovano significato in nome della “vita” e della sua evoluzione. Non c’è il male ma tutto è Bene in quanto anche il male, il dolore fanno parte di questa vita che è in sé Bene anche se a caro prezzo.
È una Teodicea secolarizzata. Ma da dove viene questa evoluzione positiva verso un fine, da dove questo disegno intelligente? È una divinizzazione, una sacralizzazione della vita, della natura e della storia, che avrebbero leggi interne necessarie verso il Bene: il “mistero” come soluzione, oppure miracolisticamente dalla casualità deriverebbe una necessità con un orientamento al lieto buon fine. Alternativa all’idea di questo disegno cosmico, una nuova antropologia trova un senso nell’etica personale, nel compito di consegnare a nuove generazioni un mondo migliore. Certamente la fratellanza, la solidarietà, la giustizia … danno senso alla singola esistenza, ma rimane il problema se si pensa che l’umanità finirà e che, forse, continuerà il cosmo, il rinnovarsi continuo attraverso catastrofi, senza alcuna coscienza che ponga il problema del senso della vita e del gemere del cosmo. Il bisogno di senso allora è risolto nella coscienza del proprio dovere individuale dentro il dramma collettivo e cosmico senza senso.
La SECONDA TESI è che quindi nemmeno la modernità, caratterizzata dal raggiungimento dell’autonomia del soggetto, riesce a dare senso, anzi è sotto scacco. Siamo nel disincanto. La condizione umana appare caratterizzata dal non senso. Ciascuno lo trova in sé, nel proprio orizzonte limitato individuale, puramente soggettivo senza nulla di esterno che dia senso. Si tende oggi a considerare la pienezza del senso fuori dell’orizzonte di totalità, sia o no di carattere divino, come costruzione autonoma di sé, del proprio sapere, della propria vita. L’orizzonte del senso è quindi la propria soggettività autonoma, assoluta, sciolta da ogni legame. Ciascuno costruisce la propria storia, si dà i criteri e gli obiettivi della propria realizzazione, di ciò per cui vale vivere, della bellezza del vissuto. È l’esito del”sono in quanto penso, voglio, desidero, posseggo …”. L’io è assoluto, sciolto da legami e relazioni, subordinati all’io.
Questo modo di superare il disincanto appare insoddisfacente, porta ad una solitudine di massa, ad una insensatezza, ad un vuoto, che viene riempito da quelle tendenze, che hanno tentato Gesù e che sono descritte da Dostoevskij: il mistero, il miracolo, l’autorità. Oggi forte ritorno più che al divino è a varie forme di sacro e di mistero, oppure al fondamentalismo anche violento, in cui si trova senso identità, volontà di vivere. Ma così Dio, meglio il “divino” indicibile, è piegato ai bisogni umani come vengono immaginati, costruiti dagli uomini. L’uomo ha bisogno di un fondamento assoluto, sciolto dalle contingenze, dalle precarietà. Non riesce a gestire la propria autonoma soggettività. Rifiuta la presa di coscienza che siamo un piccolo misero frammento di un universo radicalmente indifferente al dolore di ciò che esiste, del gemere del mondo stesso, senza un disegno e un fine. Se Dio non può essere più principio e fine di tutto questo, Dio – o le varie forme del divino- diventa il mistero di questo mondo, funzionale al nostro bisogno antropocentrico, di essere un microcosmo che contiene tutto l’infinito cosmo e che deve avere necessariamente un senso.
Così si rimane nell’idea del Dio Tappabuchi per non accettare il proprio limite, la propria precarietà, il non senso. La TERZA TESI pone il problema di liberarsi dal bisogno di senso, non necessario all’uomo adulto capace di vivere la radicale precarietà, la storia e la propria vita senza un disegno e un fine. Padre Turoldo ha scritto (e detto meravigliosamente in poesia) che Qohelet rappresenta l’ateismo interno alla Bibbia ed è più vicino al Cristo in croce che l’adoratore del divino indifferente, massimamente lontano dal Dio biblico. Per Turoldo è dentro la consapevolezza della vanità senza illusioni e alibi che irrompe l’impronunciabile ma misericordioso Tetragramma YHWH che patisce il Nulla. Qohelet è l’ateo, interno alla Scrittura, che porta senza rimedi nel fondo dell’abisso del Nulla: “fratello ateo/ attraversiamo assieme il deserto … liberi e nudi verso il nudo Essere”. Per lui tutto avviene sotto il sole. Non ha bisogno di maschere, alibi, idoli. Ateismo e cristianesimo sono più vicini rispetto a visioni di un qualche Mistero cosmico interiorizzato, indifferente al dramma del cosmo e della storia. Vale per la ricerca di senso quanto scrive Simone Weil per l’amicizia: occorre imparare a respingere il loro desiderio, tanto più il loro bisogno: sono fatte della stessa pasta, sono una grazia, una gioia gratuita. Occorre perdere il senso per riceverlo come dono, grazia. L’Amore gratuito è il terreno dell’incontro delle domande su Dio, esperienza della compassione reciproca dell’essere per gli altri qui ed ora. La ricchezza plurale di significati dell’esistenza si ha ora e qui nelle esperienze della gratuità dell’amore, nel condividere le gioie e guarire le sofferenze, nell’attenzione per relazioni accoglienti, con la tenerezza del sorriso e della carezza, nell’immedesimarsi nelle gioie e nel pianto degli altri.
L’ateismo attuale può quindi aiutare a liberarsi da immagini idolatriche, magiche, miracolistiche e così possiamo aiutare Dio stesso a liberarsi da queste immagini. Ancora Simone Weil, riprendendo Ivan Karamazov: “Nessun motivo, di qualsiasi genere, che mi venga offerto per compensare una lacrima di un bambino, può farmi accettare questa lacrima”. Paolo de Benedetti scrive: cerchiamo un Dio che non meni vanto di questo mondo. Dio ha bisogno dell’uomo per redimersi. Dio Amore è l’unica metafora che lo salva e che noi dobbiamo salvare, chiedendo conto a Dio e consolandolo dove abita il suo dolore. Dio amore diventa l’unica necessità come avviene in ogni esperienza dell’amore che prende e vincola, l’amare gratuito diventa necessario e proprio fine, diventa costruzione di senso dove non c’è. Il tempo acquista senso come “attesa di Dio” (Simone Weil): ma è Dio che attende “come un mendicante che se ne sta in piedi (…) silenzioso, davanti a qualcuno che forse gli darà un pezzo di pane”. “Il tempo è l’attesa di Dio che mendica il nostro amore” Nella Bibbia non troviamo l’ascesi verso Dio ma Dio che irrompe nella storia gratuitamente e liberamente chiama, si rivela come parola dicibile, come prassi di relazione, come problema, non come spiegazione, soluzione. Pone più problemi e inquietudini perché il male rimane tale e non è redimibile, non giustificabile.
Giobbe, che chiede conto, è elogiato da Dio che rifiuta invece i suoi amici. Rimangono le piaghe delle torture e le ferite della morte di Cristo. Oggi discorso difficile perché si rifiutano le porte strette: Cristo sta in croce ma nessuno gli fa più caso. Anche per i cristiani diventa emozione-spettacolo, affare-mercato- o paura-chiusura egoistica.
Mariolina Toniolo/Ugo Trivellato - Su invito di Carlo, proseguiamo la riflessione avviata da Esodo con il numero sul "Dio non necessario", a partire dalle "tesi" che sono state pubblicate. Siamo a disagio con la formulazione delle due prime tesi, pur comprendendone la "pretesa di provocare". Mentre ne condividiamo le premesse, ci riesce difficile vedere la necessità delle conseguenze che se ne traggono. Ci riconosciamo, sostanzialmente, soprattutto nella terza delle tesi esposte. La prima tesi. Non è più sostenibile l’idea di Dio onnipotente, onnisciente e misericordioso (detto prendendo una scorciatoia, andando a quello che ci pare l’essenziale). Leggiamo la riflessione come mossa dal riconoscimento di questa proposizione. Ma in nome di quali argomentazioni se ne fa discendere le affermazioni che allora "ci si perde nel vuoto, nel nulla di senso", o all’opposto che "tutto sarebbe bene in sé" – con le varianti di una “natura rappresentata come una potenza estranea da usare e manipolare fino in fondo per mio piacere, per i fini che autonomamente mi do e che reclamo come miei diritti” oppure di “un orizzonte totalmente immanente, tutto dentro l’esperienza terrena del progresso fino alla pienezza della felicità umana e cosmica”? Troviamo queste affermazioni ingiustificate. Dalla consapevolezza che l'idea del Dio della scolastica non è più sostenibile possono discendere, storicamente sono discese, continuano a discendere una pluralità di (ricerche di) risposte. Perché deformarle, quasi in chiave caricaturale? La parola-chiave per noi è ricerche di risposte, dopo aver denudato il mito.
Pensiamo non sia vero che “dalla casualità derivi una necessità”, sia quella del disegno cosmico sia quella dell'etica personale. Il titolo del libro di Jacques Monaud ne è una penetrante sintesi: Il caso e la necessità. E per le vicende umane dentro il caso (che per la natura è variazione darwiniana) si colloca lo spazio, costretto ma prezioso – e via via ampliato –, della libertà. Della molteplicità delle ricerche di senso degli uomini. La seconda tesi parrebbe essere una variante della prima. Perché “la modernità, caratterizzata dal raggiungimento dell’autonomia del soggetto, [sarebbe] sotto scacco”? Certo, parecchi uomini e donne “tendono oggi a considerare la pienezza del senso fuori dell’orizzonte di totalità, [...] come costruzione autonoma di sé, del proprio sapere, della propria vita”. Ma non tutti. Schiacciare i percorsi di ricerca di uomini e donne, moderni e non, in improprie dicotomie a nostro avviso è sbagliato. Non solo: se viene meno il nesso tra "bisogno del divino e bisogno di senso", non per questo viene necessariamente meno il bisogno di senso. Dio non appare più una spiegazione non solo dell'esistenza del cosmo, ma nemmeno del suo significato. E tuttavia il "Dio non necessario" può essere cercato, desiderato, amato più del Dio che dà il senso, "Dio non necessario" può essere cercato, desiderato, amato più del Dio che dà le risposte. e risposte. Solo, non ci si affretta a raccogliere risposte preconfezionate, nemmeno se autorevoli. Si cerca, sapendo che ogni risposta sarà provvisoria. Ma si pensa che valga la pena di cercare. Se nessuna via di ricerca è preclusa, questo non vuol dire che un risultato valga l'altro, indifferentemente. Se capiamo che non approderemo ad una risposta definitiva, comunque può valere la pena di continuare a cercare.
Certo, il dubbio sottolinea la nostra limitatezza e perciò non è confortevole. Nel dubbio ci si può fermare, smettendo di cercare perché scoraggiati, o anche accomodarsi, facendone un punto di arrivo, perché si è perso interesse nella ricerca. In questo caso spesso si passa dal dubbio ad un nuovo tipo di certezza, ugualmente dogmatica. Soprattutto, è importante non appiattire in un'unica posizione le molte ricerche di quanti, pur rifiutando l'idea di Dio, si pongono interrogativi molto seri sul senso da dare alla vita. Intraprendere una ricerca autonoma, senza dogmi, non significa affidarsi ad una "soggettività autonoma, assoluta, sciolta da ogni legame". Si può credere nell'esistenza della Verità e tuttavia pensare che sia sfuggente, conoscibile solo in misura molto parziale e provvisoria. Si può ricercare con passione la Verità, ma non chiamarla "Dio" perché la storia ha caricato questo nome di connotati che appaiono inaccettabili. Soprattutto, abbandonare l'idea del "Dio necessario" non significa rinunciare a credere in valori etici. Basta guardarci intorno e vediamo quanta ricerca in questo senso c'è da parte di persone dichiaratamente atee. Se poi si guarda alle principali tendenze che ci pare di scorgere oggi – quelle che le tesi collocano sotto le categorie delle “varie forme di sacro e di mistero, oppure [del] fondamentalismo anche violento”, non ci si può sottrarre a un'analisi storica.
La storia delle chiese cristiane – della chiesa cattolica in primis – e dell'imperialismo e del colonialismo darebbe conto, pensiamo, di parecchio di quel sacro e mistero e di quel fondamentalismo, in maniera più convincente e articolata. Troviamo decisamente più persuasiva la terza tesi, “il problema di liberarsi dal bisogno di senso, non necessario all’uomo adulto capace di vivere la radicale precarietà, la storia e la propria vita senza un disegno e un fine”. Citi Padre Turoldo e Simone Weil. Avresti potuto citare anche Dietrich Bonhoeffer. Ma perché restare nell’ambito di persone della – o approdate alla – sequela cristiana (nel caso della Weil mantenendo, peraltro, un esplicito distacco dalle forme istituzionali della religione)? Perché ignorare le riflessioni di pensatori di religioni altre rispetto alla tradizione cristiana? Soprattutto, perché ignorare le riflessioni di pensatori ‘laici’, anche atei, dall'illuminismo in poi e ben prima dell'illuminismo?
La citazione di Padre Turoldo è bella: “Fratello ateo/ attraversiamo assieme il deserto [...] liberi e nudi verso il nudo Essere”. Per me, richiede anche di emanciparsi da una sorta di recinto confessionale: quello cristiano, specificamente quello cattolico. È la religione nella quale siamo cresciuti. Dovremmo ripensarla in una prospettiva storica: per cercare di capire quanto ci ha dato e ci dà (e ha dato e dà a gran parte dell’umanità) nell'intraprendere le ricerche di senso; così come per cercare di capire quanto – con le sue certezze, il suo dogmatismo, il suo esclusivismo clericale, la sua compenetrazione col potere da Teodosio ad oggi – ci ha tenuto e ci tiene (e tiene una fetta non trascurabile dell’umanità), lontani dalle ricerche di senso di tutti gli uomini. Allora, forse, riusciremo ad ascoltare, con la stessa trepidazione, le parole di un fratello ateo: “Fratello cristiano/ attraversiamo assieme il deserto [...] liberi e nudi verso il nudo Essere”.