Il solo Esserci è trasformare*
Di Paola Cavallari
Noi, ventidue donne facenti parte del Gruppo Costituente dell’Osservatorio interreligioso sulle violenza contro le donne siamo di religione: induista, buddista, ebraica, cristiana, musulmana.
La religione cristiana è rappresentata da: evangeliche (denominazione luterana, metodista, valdese, battista, avventista, pentecostale), cattoliche (con esponenti di Gruppi donne Comunità cristiane di base) e ortodosse ( declinazione romena).
Siamo un organismo cresciuto dal basso, da donne della base femminile delle comunità religiose. È nato sotto lo stimolo del documento Contro la violenza sulle donne: un appello alle chiese cristiane in Italia, firmato nel marzo 2015 da rappresentanti di dieci chiese cristiane: un atto significativo promosso dalle chiese evangeliche e originariamente dalle donne di quel mondo, cui riconosco un debito enorme.
Si è trattato quindi di uno spontaneo aggregarsi su questo solco, non per emanazione dall’alto, di istituzioni, ma per DESIDERIO di alcune, che del progetto dell’Osservatorio nutrivano sia necessità che passione. Il cuore si incardinava nel ROMPERE IL SILENZIO sulle responsabilità delle religioni in merito alle violenze sulle donne: TUTTE LE RELIGIONI, NESSUNA ESCLUSA.
E abbiamo parlato di violenze al plurale, perché i torti verso le donne sono un CONTINUUM che si disloca dalla sfera invisibile e spirituale a quella visibile e materiale.
Da qui il sogno di una ALLEANZA INTERRELIGIOSA DI DONNE che OSSERVANO con lo sguardo di donne: donne credenti, che in risonanza con quella luce interiore che la fede nel divino sprigiona, sentono in sé - mi piace usare il serbo sentire che è imparentato con il corpo - la gioia dell’ energia e dell’amore per il vivente. Donne ricche della fede dei/delle poveri/e si mettevano così in relazione. Per tessere in comunione una ampia tela, hanno incrociato più fili policromi; lentamente e pazientemente è venuta al mondo il tessuto: il Protocollo d’intesa, che è il nostro manifesto.
Tra di noi alcune sono (o sono state) responsabili - o componenti di Consigli direttivi- di associazioni di rilievo, ma lo spirito con cui ci si è aggregate è, ripeto, un entusiasmo incondizionato “a partire da sé”. L’accordarsi tra noi semplicemente in quanto donne credenti- nel rispetto massimo delle differenze- ci pone in una posizione di grande libertà: non dobbiamo rendere conto a istituzioni religiose, anche se con esse cerchiamo il dialogo e la collaborazione. Siamo “attiviste”- per usare un termine usato nel mondo anglosassone- e nello stesso tempo siamo donne preparate a livelli diversi sul piano delle competenze teologiche. Riaffermiamo così quel superamento delle polarità gerarchiche ( ad esempio tra “teoriche” e “militanti”, che si rifà alla polarità mente e corpo), già presente nella teologia femminista. TUTTE PENSIAMO E SAPPIAMO E AGIAMO. Naturalmente abbiamo bisogno di persone che incarnano ruoli organizzativi, ma cerchiamo di burocratizzarci il meno possibile.
Il gruppo si è formalmente costituito il 14 marzo ‘19 e quindi ancora è in una fase di balbettamenti. Se in quel giorno ci siamo presentate al mondo come Osservatorio, già prima avevamo iniziato a tessere questa tela, con le Tavole rotonde interreligiose (documentazione sito SAE Bo https://saebologna.gruppisae.it/index.php/osservatorio-interreligioso-contro-la-violenza-sulle-donne/documentazione). Tali appuntamenti hanno avuto un frutto: il libro Non solo reato anche peccato, Religioni e violenza contro le donne (Effatà editrice, 2018) che ho curato e che raccoglie quelle esperienze.
L’unicità dell’Osservatorio è quella di impegnarsi nel contrasto alle violenze di genere assumendo una prospettiva religiosa. Ciò è un unicum in questo campo. Siamo e vogliamo essere immerse nella multiculturalità: la molteplicità di origini territoriali, di tradizioni e religioni diverse, di età diverse ci connota.
Riuscire a inverare un laboratorio di raccolta, espressione e intersezione di volti differenti di femminismi - che si confrontano con empatia nell’orizzonte di una molteplicità di fedi, di volti e di voci che denunciano la colonizzazione subita e promuovono la PRESA DI PAROLA per tutte le donne, credenti e non - è l’idea guida, l’architrave ideale che personalmente nutro: UNA PRATICA VIVENTE FEMMINISTA DI TEOLOGIA DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO.
Tre verbi, a mio avviso, possono sintetizzare ciò ci anima:
- Abbiamo sete e fame di giustizia, ma per essere sfamate e dissetate il primo compito è CREDERE IN NOI, dare valore alle nostre intelligenze del cuore e dare voce al nostro sentire, parlare “a partire da sé”, non tacere sulle offese subite in ogni ambiente, a partire da quelli In quest’ultime latitudini scarseggiano movimenti e pratiche di donne che si danno come obiettivo quello di gridare al mondo che il divino non predilige i maschi, non accorda loro il privilegio e il dominio che si sono arrogati deformando i sacri testi. Gli uomini hanno istituito religioni in cui: “Se Dio è maschio, il maschio è dio”, ma l’inganno lentamente viene smascherato.
- OSSERVARE con autonomia di un giudizio scombro dalla colonizzazione patriarcale per le donne NON è gesto immediato. In tale cultura, esse non solo sono state inferiorizzate, ma sono state guardate, rappresentate, raffigurate (si pensi solo alle arti figurative) dallo sguardo maschile. Il quale ha agito così come agisce nei confronti della Terra: con un’attitudine predatoria unidirezionale che parte da un polo che si autocomprende come SOGGETTO ATTIVO che si rivolge ad un OGGETTO PASSIVO. In quanto parte attiva, quella maschile sarebbe anche la parte razionale, dotata di volontà. «Le donne - diceva Kant- come non conviene per il loro sesso che partecipino alla guerra, così non conviene che difendano di persona i loro diritti e attendano da se stesse agli affari civili, ma solo per mezzo di un rappresentante». In tema di consapevolezza sulle relazioni uomo/donna, la celebre rivoluzione copernicana kantiana si ferma alle inveterate convenzioni di sempre. Dobbiamo essere consapevoli che queste categorie sessiste ci condizionano tuttora.
- Molte volte mi è capitato in questi mesi di sentirmi rivolgere questa domanda: Cosa fa l’Osservatorio? Come detto, siamo ai primi passi, e quindi stiamo attrezzandoci. L’OIVD si è innervato lungo l’Italia con 3 gruppi locali ( Trento, Cosenza, Emilia-Romagna) ed altri stanno cercando una configurazione. A livello generale siamo uscite con tre comunicati stampa su eventi ingiuriosi nei confronti delle donne, su cui ci sembrava utile un nostro pronunciamento. Molte testate on-line e lo stesso Combonifem ne hanno dato notizia. Ora l’obiettivo più essenziale su cui stiamo lavorando è tentare una collaborazione con uomini (soprattutto in ambienti religiosi) per promuovere una consapevolezza della maschilità come costruzione di identità di genere che va messa in discussione. Lo ha detto in modo mirabile il pastore D.Bouchard all’ultimo sinodo valdese. “Il problema della violenza ha a che fare con l’identità maschile; detto altrimenti, dell’identità maschile è costitutiva la violenza”. Persone come Bouchard riconoscono apertamente l’autorità delle donne nell’affrontare la materia del rapporto tra i generi. La riconoscono a partire dalla loro soggettività, consapevoli di esporsi in quanto maschi, cioè in autonomia, con un “partire da sé” come baricentro. Collaborare e stringere alleanze credo sia la via maestra per incamminarci in questa sfida epocale. Il verbo esserci designa che già il solo sollevare il velo e parlare di questi temi -circonfusi da reticenze, tabù, silenzi grondanti di miserie- e dire NOI CI SIAMO e non tacciamo ha non poco valore trasformativo. Il solo Esserci è trasformare.
* Il testo è apparso sul n. 11-12/2019 di Combonifem magazine nel dossier Religioni in cammino, dal titolo Donne di fede contro la violenza , elaborato dall’Osservatorio interreligioso sulle violenza contro le donne, e curato nell’editing dalla redazione di Combonifem