di Giuseppe Tattara
“È la giustizia, non la carità, che manca nel mondo”.
Mary Wollstonecraft,
Rivendicazione dei diritti della donna, 1792
Il sovrappiù prodotto dai paesi dell’Africa sub sahariana spiega buona parte dello sviluppo industriale dell’Europa, dell’America e dei grandi paesi asiatici negli ultimi anni perché i paesi africani sono stati e sono tuttora produttori di risorse - manganese, cromite, cobalto, fosfati, idrocarburi, uranio radioattivo e molti prodotti dell'agricoltura - necessarie per la crescita economica dei paesi sviluppati. Tuttavia l’ammontare e anche la direzione di tale sovrappiù sono nascosti dai metodi comunemente adottati di calcolo del valore del commercio estero dei paesi africani. Bisogna ristudiare il processo di produzione del sovrappiù e demistificare l’atteggiamento di coloro che sottolineano la generosità degli aiuti forniti all’Africa sub sahariana dai governi occidentali e dalle istituzioni internazionali, l’importanza del debito e l’incapacità di questi paesi di intraprendere una strada di sviluppo.
Di difficoltà in merito ai pagamenti dei debiti dei paesi in via di sviluppo si parla dalla seconda guerra mondiale. Nel tempo si sono succeduti interventi volti a rendere meno oneroso il servizio del debito – pagamento di interessi e quote capitale – per assumere alla fine una visione più strutturale che contempla l’annullamento di parte del debito con la iniziativa HIPC (Paesi Poveri Altamente Indebitati) a metà anni Novanta; questa costituisce ancor oggi la base dei provvedimenti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario. Tale progetto ha identificato all’inizio 38 nazioni particolarmente bisognose, di cui la maggior parte nell'Africa sub sahariana, e ha proposto la ristrutturazione e la cancellazione di parte del loro debito, subordinando l’intervento a un programma di riforme economiche.
Riforme ultraliberiste che hanno richiesto privatizzazioni, deregolamentazione del mercato del lavoro, liberalizzazione del commercio estero, abolizione dei sussidi pubblici: in questo modo si sono consegnate nelle mani di potentati locali e di imprese straniere risorse di grande valore, dall’acqua all’elettricità, alla proprietà delle miniere. Philip Alston, relatore indipendente alle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, ha criticato le richieste della Banca mondiale e del FMI, sostenendo che le privatizzazioni dei beni pubblici si accompagnano spesso all'eliminazione della protezione dei diritti umani, minor tutela della salute e emarginando ulteriormente coloro che già vivono in povertà.
All’inizio della pandemia Covid, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario hanno lanciato una ulteriore iniziativa per la sospensione del servizio del debito con risultati incerti anche perché in questi ultimi anni il debito dei paesi africani nei confronti delle organizzazioni internazionali e dei governi occidentali è diminuito e nello stesso tempo sono molto aumentate le quote nei confronti della Cina (11%) e dei creditori privati occidentali (42%). I prestiti di privati richiedono il pagamento di un alto interesse, un interesse un po' inferiore è richiesto dalle banche cinesi che tuttavia richiedono che i prestiti vengano accompagnati da garanzie reali, come la prelazione sulla proprietà di infrastrutture o di risorse naturali del debitore. Un interesse molto basso invece si ha sui prestiti delle istituzioni internazionali (Fondo monetario e Banca mondiale, 38%) con il risultato, paradossale, che questi prestiti di fatto finiscono per “finanziare” i pagamenti da parte dei paesi in bisogno ai fondi speculativi privati.
Nel 2022 il Chad ha ristrutturato il debito, nello stesso anno il Ghana ha sospeso i pagamenti sul debito estero e ha domandato di poter usufruire di “provvedimenti emergenziali” nel 2024 è stata la volta dell’Etiopia e prima era accaduto al Mali e allo Zambia.
Puntare la nostra attenzione sul debito e sugli aiuti tuttavia ci porta in una strada sbagliata. Alcuni ricercatori hanno messo in luce come alla radice del debito dei paesi africani ci sia un meccanismo di calcolo dei rapporti internazionali molto particolare su cui dobbiamo soffermarci. I valori relativi alle esportazioni di merci e servizi e alcuni flussi finanziari vengono calcolati secondo le convenzioni contabili mentre sarebbe necessario, per avere un quadro veritiero, tenere conto anche delle esportazioni illecite, delle fughe dei capitali, dei profitti che le imprese multinazionali realizzano nel continente africano ed esportano, tutte voci che indicano movimenti reali, che non sono facili da identificare. Si possono tuttavia stimare e raggiungono cifre molto elevate.
La contabilità ufficiale dice che i paesi dell’Africa sub sahariana hanno un passivo nei rapporti con l’estero che richiede un aumento dell’indebitamento: al 2022 il valore delle importazioni di beni e servizi è stato di 531 mld di $, le esportazioni 481 mld , con un deficit di 50 mld, quindi è necessario ricorrere a nuovo debito.
La realtà è ben diversa; si tratta di paesi ricchissimi di risorse naturali, ma il valore delle merci esportate non compare nella sua interezza nella contabilità perché parte di queste risorse sono esportare illegalmente (avorio, pelli e altre) e le esportazioni che sono registrate vengono contabilizzate a prezzi molto ridotti da parte delle imprese venditrici, che in questo modo trasferiscono i profitti dai paesi africani, dove vengono realizzati nelle miniere, nei pozzi petroliferi, in agricoltura, ai paradisi fiscali: una pratica che è nota con il nome di sotto-fatturazione delle esportazioni. Una impresa sottofattura la merce venduta e si fa versare dal compratore in un conto aperto a suo nome in un paradiso fiscale la differenza di prezzo. Il fine è quello di evadere le tasse, ma molte volte questo sistema è usato per aggirare i controlli che i paesi pongono ai movimenti dei capitali.
Si tratta di pratiche ben note che conducono ad una uscita stimata di capitali stimata in 60 mld di $ annui, che tuttavia sfuggono alle rilevazioni ufficiali per cui i paesi dell’Africa sub sahariana continuano a presentare una situazione contabile di debito invece che di credito (le esportazioni + 60 mld di esportazioni illecite non contabilizzate, superano le importazioni). Quali i colpevoli?
Le fughe dei capitali sono uno dei principali indiziati. I capitali non “fuggirebbero” se non ci fossero i paradisi fiscali e i responsabili non sono difficili da trovare: ci sono più di 60 paradisi fiscali al mondo e sono controllati da un pugno di paesi ricchi occidentali. Paradisi fiscali sono il Lussemburgo, la Svizzera e l’Olanda e, negli Stati Uniti, stati come Delaware e Manhattan e poi le Isole Vergini britanniche, le Cayman nei Caraibi e, nella Manica, Guernsey e Jersey che fanno tutte parte del Regno Unito.
In contropartita alla loro difficile situazione i paesi africani di cui parliamo hanno ricevuto assistenza allo sviluppo e aiuti per 62 mld di $ al 2022.
I paesi dell’Africa sub sahariana, presi nel loro insieme, dunque non investono non perché non abbiano il capitale necessario, avrebbero infatti un attivo nei conti con l’estero, ma perché coloro che detengono il capitale, siano locali o stranieri, non hanno alcun interesse a investire nel paese e i capitali passano le frontiere.
In queste condizioni l’indebitamento diventa un problema secondario e non deve destare meraviglia se il capitale che entra nel paese come debito estero o aiuti, esce subito, dando luogo al così detto “flusso di ritorno”; si stima che più della metà delle entrate che derivano dagli aiuti sia “usato” per finanziare i “flussi di ritorno”, un insieme composto di pagamenti per interessi, ammortamento del debito preesistente e fughe dei capitali, un tesoretto che uomini di governo, grandi imprese, trafficanti mettono al sicuro all’estero.
Africa, valori di alcune grandezze, |
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Esportazioni | +481 | +541 |
Importazioni | -531 | -531 |
Saldo | -50 | +10 |
Aiuti esteri e debito | +62 | +62 |
Ritorno | -31 | |
Nuovo debito (-), credito (+) | -19 | +72 |
La tabella mostra la situazione al 2022 (col. 2) e quella che potrebbe essere la situazione “corretta” se le nazioni sviluppate intraprendessero una “operazione verità” (col. 3: 540=481+60). Il debito sarebbe in realtà un credito (saldo+aiuti-ritorno).
Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, un'alleanza di proprietari terrieri, forze militari e loro fornitori, commercianti e finanzieri, politici finanziati direttamente o indirettamente costituisce una spinta potente e inarrestabile a pratiche corruttive. Quando questo insieme è accompagnato da una dottrina della deregolamentazione della finanza e del commercio e di privatizzazione dei beni pubblici, la corruzione diventa endemica al sistema.
I paesi dell’Africa sub sahariana non hanno bisogno di carità ma di giustizia e di trasparenza. Cancellare il debito e elargire aiuti serve solo ad ammantare i paesi occidentali di uno status morale che non spetta loro, proprio perché i riceventi aiuto sono nella realtà i “veri donanti”.
Bisogna ripensare alla funzione dello stato nel suo ruolo di sostegno allo sviluppo economico e di gestore delle risorse nell’interesse dei propri cittadini, e chiederci se non si debbano mettere in discussione i modi stessi con cui si sono sviluppati i paesi oggi avanzati e i mezzi, a volte feroci, con cui mantengono oggi la loro ricchezza. E allora possiamo domandarci perché non si impediscono i paradisi fiscali attraverso una legislazione adeguata, perché non si promuove un accordo che stabilisca una tassa relativamente uniforme sui profitti delle multinazionali, in modo che queste non abbiano convenienza a trasferire i loro profitti all’estero, perché non si pone un freno alla liberalizzazione