Pubblichiamo le considerazioni di Giancarla Codrignani sulle domande di Esodo.
1) L’incarnazione come “legge della storia” testimonia che chi è venuto “per la salvezza di tutti” ha assunto la condizione umana comune, quella di allora come quella di oggi, evidentemente con i suoi limiti. Possiamo dire che tutto resta nel peccato? Il peccato “originale” è simbolico: occorre la volontà non solo individuale del male se la pandemia è naturale (viviamo in un pianeta collocato nel cosmo di cui non sappiamo ancora molto), ma la guerra no. La guerra è il male per tutti, per i cristiani perché estranea dal dogma dell’amore. Che riguarda l’umanità nel suo processo di crescita ma anche l’individuo nella coscienza libera (della “libertà dei figli di Dio”).
2) La Chiesta Istituzionale sta nei limiti del dialogo con il mondo: il suo sguardo deve prevenire il male, quindi deve attenersi all’approfondimento dei problemi e alla competenza non solo teologica del giudizio. La Chiesa può sbagliare, ma per il cristiano non prevale mai sulla sua coscienza: Galileo ha “dovuto” abiurare, ma restano le sue ragioni e il “peccato” dell’Inquisizione. E san Tommaso aveva detto che se uno, pur riflettendo non crede alla Trinità, non è obbligato.
3) I grandi principi sono obiettivi che l’uomo “conosce” e “deve” (anche se sa di non farcela) realizzare. Anche i grandi responsabili sono soggetti alle “debolezze” (quasi sempre i residui della storia passata che non vuole passare) e la guerra è ancora “patriottica” e gli uomini vanno a uccidere ed essere uccisi in nome di qualche pezzo di terra abitato da gente mista che parla due lingue e “deve” avere una patria sola. La prima educazione degli operatori di pace è studiare politica internazionale: quando si sa dove abitano i conflitti, l’azione giusta è attraversarli uno alla volta senza farli esplodere in guerra.
4) La visione escatologica invita a superare le parti. Se mi è consentito citare un’esperienza: negli anni Ottanta (del secolo scorso) stavo nei banchi della sinistra e vedevo di fronte a me un collega del Msi, che in vita sua non ha mai smesso la camicia nera: lo guardavo e mi dicevo che quel simbolo testimoniava la sua “buonafede”. E integravo la riflessone ricordando don Milani che usava dire “con l’aggravante della buona fede”. Se non si accetta il dialogo e il confronto (che esigono anche argomenti, buona educazione e autocontrollo) ci si scontra e non si sa dove si va a finire. Il “discernimento” obbligherebbe a cancellare dalle menti la logica amico/nemico: come mai non ci riusciamo? Ci vorranno ancora anni (sempre che il pianeta resti saldo) per limitare e prevenire la violenza.