di Maurizio Ambrosini
La tragedia di Melilla (almeno 37 morti e 76 feriti tra i migranti, secondo i primi bilanci) è una drammatica dimostrazione del significato dei confini e dei muri che separano il Nord e il Sud del mondo in questi tempi di ferro.
L’enclave spagnola in territorio marocchino è uno dei luoghi in cui i due mondi si incontrano fisicamente, separati da una barriera metallica sorvegliata da guardie armate.
Sono tre però i principali attori del gioco disumano della mobilità proibita: oltre al governo spagnolo e al popolo dei migranti in cammino, è chiamato a collaborare con i respingimenti anche il governo marocchino, che ha contato due morti tra i suoi agenti. Come in casi simili, vedi Libia, nel reprimere la mobilità degli stranieri che vorrebbero attraversare il suo territorio, non esita a usare le maniere forti: respingimenti collettivi, largo impiego di mezzi violenti, condizioni detentive intollerabili, come denunciano le organizzazioni umanitarie.
I tentativi dei migranti africani di forzare gli accessi delle enclavi di Ceuta e Melilla per arrivare in un lembo di territorio politicamente europeo sono ricorrenti, così come il loro stazionamento in condizioni deprecabili nei boschi che le circondano, in attesa di un momento favorevole per tentare l’ingresso. In questo caso si trattava prevalentemente di cittadini sudanesi, provenienti da un paese caduto nuovamente sotto il controllo di un golpe militare, coinvolto in repressioni del dissenso e conflitti interni contro le minoranze, come in Darfur. Più si rafforzano le barriere, più i tentativi di oltrepassarle diventano disperati, rischiosi, talvolta anche violenti. Già nel 2014 la Guardia Civil spagnola provocò la morte di 15 persone, sparando pallottole di gomma contro i migranti che cercavano di raggiungere a nuoto i territori sotto la sovranità di Madrid. Parecchi altri incidenti mortali sono avvenuti nel frattempo. Va ricordato che la presunta invasione riguardava 1.500 persone, in un momento in cui nell’UE vengono generosamente accolti circa cinque milioni di ucraini, 125.000 in Italia al 24 giugno.
Il premier spagnolo Sanchez, socialista, ha rilasciato dichiarazioni che non si discostano dal linguaggio di un qualunque leader sovranista occidentale, parlando d’invasione e di trafficanti: “Vogliono colpire l’integrità del nostro paese”. La sacralità dei confini vale più delle vite umane. Probabilmente, dopo aver rovesciato le sue posizioni sulle rivendicazioni di autonomia del Sahara Occidentale occupato militarmente da Rabat, si aspettava una maggiore collaborazione dal governo marocchino. Quanto ai trafficanti, non sembra c’entrino molto in questa tragica storia: i migranti arrivano in tutti i modi possibili, si accampano come possono ai margini delle enclavi spagnole, cercano degli spiragli per poter varcare il minaccioso confine blindato, se respinti ritentano in un altro modo, disposti a correre rischi sempre più grandi.
La dinamica dei fatti è ancora tutta da chiarire: molte vittime sono state schiacciate nella ressa attorno alle barriere, ma altre riportano ferite d’arma da fuoco. La gendarmeria marocchina, secondo le denunce, è intervenuta solo all’ultimo momento, per avere mano libera nell’uso della forza. OIM e UNHCR hanno espresso preoccupazione, invitando i governi ad astenersi dall’uso eccessivo della forza. Più netta la presa di posizione della diocesi di Malaga: “sia il Marocco sia la Spagna hanno deciso di eliminare la dignità umana dai nostri confini, decidendo che l’arrivo di migranti deve essere evitato a tutti i costi, e dimenticandosi delle vite che vengono distrutte nel frattempo.”
Il dramma che si è consumato a Melilla propone almeno tre lezioni. Primo, se mancano mezzi legali per poter raggiungere un paese sicuro e chiedere asilo, i profughi non solo ricorrono a mezzi illegali, ma sono disposti a correre rischi estremi per poter valicare i confini. Secondo, i paesi sviluppati sono a loro volta pronti a tutto per fermarli. Non esitano a rovesciare alleanze, a sostenere governi autoritari, a forme anche estreme di violenza, direttamente o per interposta gendarmeria. Terzo, tutto questo avviene in stridente contraddizione con la capacità di accogliere le persone in fuga, che l’Unione Europea e i vari governi nazionali stanno dimostrando sul fronte orientale.