È importante dare ascolto alle proprie emozioni, senza tuttavia farsi guidare da esse o dai nostri pensieri negativi. Credo che una delle emozioni che ci hanno dominato, o almeno accompagnato, in questo tempo, sia stato il sentimento della paura.
Paura di essere infettati dal virus; paura di morire o di veder morire i propri cari; paura per un futuro che si presenta carico di incognite e di incertezze; paura per tutto ciò che ancora può accadere. La paura è un tema molto presente nella Bibbia; l'espressione "non aver paura" ricorre 365 volte, come a ricordarci che ogni giorno dobbiamo combattere la nostra battaglia per vincere questo démone insidioso.
Si ha paura di ciò che non si conosce, di un animale feroce, di un evento della natura, di una malattia, della morte. L'uomo ha paura della guerra, di una catastrofe naturale, di una pandemia, come quella che ha colpito il mondo intero in questo tempo. L'uomo ha paura dell'altro uomo: finché non diventa hospes, vicino, prossimo, sarà sempre considerato hostis, nemico di cui aver paura e da cui difendersi.
In questo piccolo intervento desidero sottolineare solo alcuni semplici passi della Scrittura che parlano della paura.
«Ho avuto paura e mi sono nascosto» (Gen 3,10)
Dio, che ha posto l'uomo in un giardino, ha messo tutto nelle sue mani, regalandogli una libertà sconfinata. Ma gli ha indicato un limite: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare (Gen 2,16-17). In che cosa consiste questo limite? Sempre più sono portato a credere che l'albero in questione sia "l'altro", colui/colei che si pone davanti a me; io non lo posso "mangiare", renderlo una parte di me, negarlo nella sua individualità. Rimarrà sempre "altro" da me. Ma l'uomo è sempre tentato di negare ogni limite, di superare ogni distanza, di occupare lo spazio dell'altro. Vuole essere «come Dio» (Gen 3,5), diventando unico arbitro del bene e del male, dominatore su ogni realtà creata. La storia biblica ci narra l'esito di questa impresa. L'uomo non ha conosciuto la sua onnipotenza, ma ha sperimentato la sua umiliante nudità: «conobbero di essere nudi» (Gen 3,7).
La reazione, di fronte al fallimento, non è quella di riprendere in mano la strada, con umile determinazione, riconoscendo il proprio errore, ma di nascondersi, in un goffo tentativo di nascondere la propria fragilità: «Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10). In questa prospettiva direi che la paura è innanzitutto paura della realizzazione dell'umano, come compito irrinunciabile. La vittoria sulla paura è una vittoria sulla mancanza di responsabilità, è una faticosa strada da percorrere in salita.
«Va' a Ninive, la grande città» (Gn 1,2)
La seconda pagina della Scrittura che desidero aprire con voi, se pur lievemente, si trova nel libro di Giona, una piccola opera di soli quattro capitoli, da leggere d'un fiato. Giona è un profeta che viene mandato a Ninive a proclamare che la malvagità dei suoi abitanti è salita fino a Dio (Gn 1,2). Ninive, che corrisponde all'attuale Mosul, era la città nemica, che aveva distrutto Samaria e deportata tutta la sua popolazione. Essa è così descritta: «Città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine, che non cessa di depredare» (Naum, 3,1).
Il profeta però fugge nella direzione opposta. Fugge per paura. L'uomo di Dio si sente schiacciato da un compito che lo sovrasta. Lui è da solo, e Ninive è una «grande città, larga tre giornate di cammino» (Gn 3,39). Non raramente devo costatare come, ancor oggi, sia proprio la paura che chiude anche uomini di Chiesa nelle loro piccole prigioni. È come fossero inghiottiti da un enorme pesce, come Giona, ma sperano, però, di non essere rigettati sulla spiaggia per adempiere la loro missione. Così rinunciano a costruire un progetto di vita che coinvolge totalmente le persone, ne cambia il destino e realizza quel sogno che la Bibbia chiama "regno di Dio". La paura uccide e soffoca sul nascere ogni desiderio di futuro.
«Nell'ora della paura, io in te confido» (Sal 56,4)
Tutti i grandi personaggi della Bibbia hanno avuto paura.
Mosè: «Chi sono io per andare dal Faraone?» (Es 3,11).
Geremia: «Io non so parlare, perché sono giovane» (Ger 1,6).
Isaia: «Sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure» (Is 6,7).
Ma la paura, negli uomini che si affidano a Dio, viene vinta dalla preghiera, umile e fiduciosa: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23,4). «Il Signore è con me, non ho paura, che cosa può farmi l'uomo?» (Sal 118,6).
All'invocazione d'aiuto risponde Dio stesso: «Non temere, perché io sono con te» (Is 41,10).
Anche Maria e Giuseppe hanno dovuto affrontare una reciproca paura.
«Giuseppe, non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20).
«Maria, non temere, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30).
L'uomo non può eliminare il sentimento della paura, ma può trarne forza per aprirsi a quel "nuovo" che è sempre al di là del muro, al di là delle pareti di quel carcere in cui il timore del "non conosciuto" lo hanno rinchiuso. La sua nudità di fronte all'altro, il sentimento di fragilità e di paura che da questo deriva, può diventare l'unica e vera forza per aprirsi alla verità dell'altro. «L'amore perfetto caccia via la paura» (1 Gv 4,18).
Gesù, stando ritto sulle acque agitate del lago, simbolo della sua vittoria sulla morte, rianima i suoi discepoli dicendo loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura» (Mt 14,27).