di Giovanna Lazzarin, gruppo Voci fuori luogo dell’associazione storiAmestre
Quando sono andata a conoscere la comunità ortodossa moldava che si riunisce nella chiesetta dell’ex ospedale Umberto I di Mestre, ho avuto una sorpresa inaspettata.
L’idea di contattarla era venuta durante un incontro del gruppo Voci fuori luogo[1] di storiAmestre. In quell’occasione Solomon Seyum, studente allo IUAV, aveva presentato la cerimonia del Meskel, la più importante e sentita festa religiosa etiope, che celebra il ritrovamento della santa croce da parte di sant’Elena. Gianfranco Bonesso, antropologo, aveva ricordato una cerimonia sullo stesso tema, anche se diversa, vista e fotografata nelle Filippine e a me era venuta in mente la venerazione moldava verso sant’Elena.
Così ora stavo andando in esplorazione. Provenivo da piazzale Candiani, col suo pavimento a mosaico, e mi ero infilata in una stradina in terra battuta e ghiaia, sulla sinistra lo sguardo incrociava la recinzione di un parcheggio e le auto distribuite in disordine su ghiaia e fango, sulla destra edifici sopravvissuti a tempi migliori.
Alla fine della recinzione c’era una cancellata aperta, sono entrata e improvvisamente mi trovo in un parco con alberi frondosi, erba verde su cui spicca una fila di tricicli in attesa dei bimbi, sul fondo la grotta con una madonna che mi ricorda l’asilo delle suore a Belluno, sulla destra il rosa antico e fresco della chiesa con bianche rifiniture a sottolinearne le linee architettoniche. Che contrasto!
Prima di allora avevo visto solo da lontano il luogo, non mi ero accorta della sua bellezza.
Quella domenica non sono andata oltre nel mio intento. Dietro il portale d’ingresso chiuso si sentiva un coro a cappella. Viola, una gentile donna georgiana alta e bionda, stava per entrare in chiesa e mi ha spiegato che la funzione era iniziata da poco e sarebbe durata due ore, per lo più in piedi. Ero arrivata troppo presto.
Due domeniche dopo ritorno col mio amico Solomon Seyum che qualche volta va a messa lì. Sono le 12 ma il portale è chiuso, Anatolie Bitca, parroco della comunità ortodossa, non è venuto, molte persone sono riunite a capire cosa è successo, tutti parlano con affetto di padre Anatolie e fanno capire che il contrasto è col metropolita della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia che ha sede a san Giorgio ai Greci a Venezia e a cui sono collegati[2]. Chiediamo informazioni a uno di loro, Sergio, che ci presenta la moglie e il figlio Giovanni, è preoccupato per la situazione, mi dà volentieri il numero di telefono del parroco: le risponderà di sicuro!
Infatti la settimana successiva entro in contatto con padre Anatolie, mi parla di nubi che stanno oscurando il cielo, ma spera che il vento dello spirito possa rasserenare. È in partenza per Gerusalemme. Gli presento brevemente la piccola ricerca che stiamo facendo e vorremmo confrontare, è interessato. Restiamo d’accordo di incontrarci al suo ritorno.
Ritorno alla chiesa due domeniche dopo, per i cattolici è la Domenica delle Palme. Arrivo alle 12, la chiesa è aperta, ma padre Anatolie ancora non può celebrare. Fuori ci sono dei fedeli che mi raccontano i lavori fatti per restaurarla. Scopro così che, quando nel 2014 il Comune l’ha concessa in comodato d’uso[3], la chiesa era abbandonata da molti anni, pioveva dentro, c’erano immondizie da riempire un camion intero, il pavimento era ricoperto da tanta sporcizia che i macchinari non riuscivano a toglierla, un’anziana signora mi racconta di averlo pulito a mano inginocchiata per giorni e giorni fino a far tornare alla vista il marmo. Mi portano all’interno per vedere alcuni particolari del restauro: “Lavorando con delicatezza siamo riusciti a far tornare alla luce la scritta sull’arco [del presbiterio] con la dedica alla Madre di Dio. Abbiamo anche scoperto il cielo di stelle del soffitto, prima invisibile”.
Questo e altro mi spiegano.
Possibile che di tanto lavoro non si sapesse nulla in città?
Storie
Quella chiesa per noi mestrini è legata alla memoria della salute e fragilità nostra e dei nostri cari. E’ collocata in un luogo centrale e significativo per la città - come racconta il nostro socio Claudio Pasqual[4] - in una località chiamata Castelvecchio, perché lì era sorto il primo castello di Mestre. Quando il 16 aprile 1906 vi fu inaugurato l’ospedale, intitolato alla memoria del re Umberto I, era ancora campagna. Il terreno per l’ospedale venne comprato e donato da Pietro Berna, tre volte sindaco di Mestre e deciso a far avere alla città questo servizio. La sorella Maria Berna donò la chiesetta come conforto spirituale per chi si recava in ospedale. Realizzata in stile neogotico, a una sola navata, su progetto dell’ingegnere civile mestrino Giorgio Francesconi, fu inaugurata il 4 aprile 1908.
Per un secolo l’ospedale funzionò e si ingrandì. Quando nel 2008 venne trasferito a Zelarino in una nuova struttura, furono abbattuti gli edifici più recenti e rimasero in piedi solo quelli storici, soggetti al vincolo urbanistico comunale del 2005. Tra essi la chiesetta. Da allora tutta quella zona è ferma e in abbandono - nonostante le proteste dei cittadini organizzati nel comitato ex Umberto I - in attesa che il nuovo proprietario, Francesco Canella dei supermercati Alì, sblocchi i lavori del suo progetto edilizio. Tutto tranne la chiesetta e il suo parco storico, la cui bellezza risplende, per merito del restauro e della cura della comunità moldava, tra i vecchi edifici in rovina e i parcheggi provvisori.
Incontri
Così quando il gruppo Voci fuori luogo si è potuto finalmente incontrare con padre Anatolie, abbiamo chiesto di poter organizzare non uno, ma due incontri, entrambi ospitati nella chiesa.
Il primo si è svolto il 9 giugno 2022 sul tema da cui eravamo partiti: Sant’Elena e il ritrovamento della vera croce. Cerimonie e racconti nella città che cambia.
Nel frattempo la posizione di padre Anatolie e della sua comunità religiosa si è chiarita col loro spostamento sotto il vicariato episcopale per le parrocchie moldave in Italia del Patriarcato di Mosca e la solenne cerimonia di insediamento, il 25 settembre, alla presenza del vescovo ortodosso Ambrozie, proveniente dalla sede bolognese.
Il secondo incontro, 16 ottobre 2022, ha avuto come focus la storia della chiesa e del luogo, ricostruita da Claudio Pasqual e l’opera di pulizia e restauro, descritti attraverso gli interventi di chi aveva partecipato ai lavori insieme al parroco. Quando sono arrivati – così hanno raccontato - il luogo non era solo in abbandono, ma, come succede spesso in queste situazioni, occupato da ricoveri provvisori di senza tetto e da attività di spaccio di sostanze.
Mentre portavano avanti il lavoro di pulizia, hanno cercato di stabilire un rapporto umano e rispettoso con queste persone. Padre Anatolie ha offerto cibo e vestiario, mangiando insieme si è cercato un dialogo. Non sempre ha funzionato. Le vetrate della chiesa sono state rotte a sassate. Una volta è dovuta intervenire la polizia. Ma si è dato loro il tempo di capire che non potevano più stare lì e un po’ alla volta si sono allontanati.
Alla pulizia è seguito il restauro secondo le indicazioni degli esperti del Comune. Pulizia e restauro sono stati pagati interamente col lavoro e i soldi raccolti all’interno della comunità, anche quando si è trattato di far rifare le vetrate da un abile artigiano veneziano. Di questo vanno orgogliosi, lo si capisce dal tono dei loro racconti.
La chiesa ora è intitolata alla Natività della Ss. Madre di Dio e allestita secondo il rito ortodosso con l’iconostasi e le icone.
Padre Anatolie, alla fine di questo secondo incontro, ha illustrato l’allestimento e si è concentrato sull’iconologia, la posizione e il significato delle icone presenti. Ha spiegato che l’icona è una finestra sulla spiritualità e sul soprannaturale. Nulla è opera dell’arbitrio individuale, l’apparente ripetizione proviene da una sapienza collettiva. Anche il modo di trattare la tavola, le materie usate hanno un significato simbolico, l’oro attraverso la sua lucentezza rappresenta la luce diffusa nello spazio, fa entrare chi l’osserva nell’invisibile e nello spirituale. Ma è essenziale che il pittore d’icone si accosti al suo lavoro con la consapevolezza di essere un lavoratore di un’opera sacra, un testimone della bellezza celeste. Alcune delle icone presenti in chiesa sono state costruite dai monaci del monte Athos con una tecnica particolare che fa risplendere la luce dell’oro, ma la loro sacralità è data anche dall’atteggiamento religioso e dalle preghiere con cui quei pittori si sono messi all’opera.
L’incontro si è concluso con un piccolo rinfresco nel parco circostante la chiesa, a segnalare non solo che è stata data una seconda vita a un monumento storico pieno di ricordi per i mestrini, ma che dentro e attorno a esso si è ricreato un contesto di socialità e relazioni.
Tra tante chiese chiuse, una chiesa riaperta
Tommaso Montanari, nel libro Chiese chiuse[5] documenta la quantità di chiese italiane chiuse, abbandonate, in rovina, derubate, adibite ad altra funzione. A Venezia si contano 30 chiese storiche in abbandono[6] e 16 chiese in cui per entrare, se non si è residenti, bisogna pagare un biglietto.
In conclusione, l’autore si chiede non cosa possiamo fare noi per le antiche chiese ma cosa possono fare loro per noi e così risponde:
col loro silenzio secolare, offrono una pausa al nostro caos
con la loro gratuità, contestano la nostra fede nel mercato
con la loro dimensione collettiva, mettono in crisi il nostro egoismo
con la loro compresenza dei tempi, smascherano la dittatura del presente
con la loro povertà, con il loro abbandono testimoniano contro la religione del successo[7].
Anche la chiesetta dell’ex-ospedale di Mestre, ora chiesa ortodossa della Natività della Ss. Madre di Dio, apre a un altro tempo e spazio, come scrive Montanari.
Non solo. Attraverso i cambiamenti legati alla sua riapertura:
- aiuta la conoscenza e l’incontro tra mondi, sensibilità, linguaggi diversi, come testimoniano i due incontri;
- rovescia i pregiudizi su chi aiuta e chi è aiutato: la comunità moldava l’ha riportata in vita e se ne prende cura senza chiedere nulla in cambio, migliorando il benessere della città;
- fa intravedere i conflitti del presente e possibili modi non violenti di affrontarli.
Note
[1]Il gruppo di ricerca Voci fuori luogo si è costituito nel 2021 all’interno dell’associazione storiAmestre con l’interesse di esplorare i cambiamenti del territorio legati alla presenza di cittadine e cittadini provenienti da altri luoghi.
[2]La Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia fa capo attualmente al Metropolita Polykarpos presso la Cattedrale di S. Giorgio dei Greci a Venezia. Nel novembre del 1991, con decisione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, la chiesa è diventata cattedrale dell'Arcidiocesi ortodossa d'Italia e Malta.
La chiesa di San Giorgio fu costruita tra il 1539 e il 1573, dopo un lungo periodo di richieste e di contrasti, grazie ai contributi finanziari dei membri della Confraternita dei Greci Ortodossi e di altri greci, in primis marinai in visita a Venezia.
La Confraternita dei Greci Ortodossi è molto antica, si è costituita a Venezia il 28 novembre del 1498 tra i greci della diaspora giunti in seguito alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453). Ma i legami fra la città e il mondo greco sono molto più antichi, risalgono all’XI secolo, quando i Veneziani aiutarono i Greci contro i Normanni che stavano per attaccare l'impero bizantino. In cambio l'imperatore Alessandro Comneno nel 1082 concesse ai mercanti veneziani la preminenza su tutti gli altri, segnando l'inizio della potenza politica, militare e commerciale di Venezia nel Levante.
[3]Dopo il trasferimento dell’ospedale a Zelarino, l’Ulss ha venduto l’ex compendio Umberto I alla società trentina DNG. Nel novembre 2013, in seguito alla convenzione con la proprietà Dng, la chiesetta e il parco antistante insieme agli altri edifici storici passano al Comune. L’anno seguente il commissario prefettizio Zappalorto, che amministra il Comune dopo le dimissioni della giunta Orsoni, concede la chiesetta in comodato d’uso alla Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale. Nel 2017 la Dng ha fatto fallimento, nel 2019 nella proprietà è subentrato Francesco Canella della catena di supermercati Alì.
[4]Si veda: L’ospedale Umberto I di Mestre, 1906-2008, in Claudio Pasqual, Note mestrine. Cose viste, interventi, ricerche, Quaderni di storiAmestre, 18, Cierre 2022.
[5]Tomaso Montanari, Chiese chiuse, Einaudi 2021.
[6] si veda: Sara Marini, Micol Roversi Monaco, Elisa Monaci, Guida alle chiese «chiuse» di Venezia, Libria, 2020.
[7]Tomaso Montanari, ibidem, cap. Conclusione, p.5.