La sinodalità è stata la forma della chiesa sin dall’inizio. Questo Sinodo, indetto da Francesco Vescovo di Roma, è però una novità assoluta perché vuol essere un cammino con e di tutto il Popolo di Dio. Per questo Francesco parla di apertura di un nuovo processo sinodale. Manca quindi una tradizione cui riferirsi, manca una mentalità, un costume (dai Vescovi ai laici fedeli) che sono il prodotto di secoli di cristianità.
Lo sguardo storico è utile per capire quali sono gli ostacoli e quali i fattori positivi per avviare questo percorso.
Abbiamo chiesto di aiutarci in quest’analisi storica a don Angelo Favero, che è stato assistente della FUCI veneziana, preside, parroco. Lo ringraziamo anche perché ci fa partecipi della sua riflessione che pubblica anche nel suo "foglio" settimanale inviato alle sue amiche e ai suoi amici.
Papa Francesco ha indetto un “sinodo” della durata di due anni: parte nelle varie diocesi in questi giorni e si dovrà concludere in Vaticano nel 2023.
La grande novità di quest’assemblea universale del Popolo di Dio sta nel fatto che l’attenzione non è tanto incentrata sulle specifiche tematiche teologiche, pastorali, disciplinari come sempre è avvenuto, quanto piuttosto sul metodo impiegato nel realizzare questo universale convenire; si tratta, infatti, di un convenire del mondo cristiano senza alcuna distinzione iniziale gerarchica per mettersi in ascolto reciproco e rinnovare la fede nel Cristo, Signore della vita e del mondo. Qualche tempo fa così si è espresso il Papa con la Chiesa di Roma, di cui è vescovo, mentre assolve il compito di successore di Pietro nel guidare l’intera Chiesa universale: “Come sapete – non è una novità! –, sta per iniziare un processo sinodale, un cammino in cui tutta la Chiesa si trova impegnata intorno al tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione»: tre pilastri. Sono previste tre fasi, che si svolgeranno tra ottobre 2021 e ottobre 2023. Questo itinerario è stato pensato come dinamismo di ascolto reciproco, voglio sottolineare questo: un dinamismo di ascolto reciproco, condotto a tutti i livelli di Chiesa, coinvolgendo tutto il popolo di Dio. Il Cardinale vicario e i Vescovi ausiliari devono ascoltarsi, i preti devono ascoltarsi, i religiosi devono ascoltarsi, i laici devono ascoltarsi. E poi, inter-ascoltarsi tutti. Ascoltarsi; parlarsi e ascoltarsi. Non si tratta di raccogliere opinioni, no. Non è un’inchiesta, questa; ma si tratta di ascoltare lo Spirito Santo, come troviamo nel libro dell’Apocalisse: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (2,7). Avere orecchi, ascoltare, è il primo impegno. Si tratta di sentire la voce di Dio, cogliere la sua presenza, intercettare il suo passaggio e soffio di vita. Capitò al profeta Elia di scoprire che Dio è sempre un Dio delle sorprese, anche nel modo in cui passa e si fa sentire”. La cosa quanto mai interessante è il termine con cui quest’assemblea ecclesiale è stata chiaramente denominata: “sinodo”.
Fin dall’inizio dell’era cristiana la convocazione dei sinodi è stata la forma normalmente utilizzata per assicurare la strada che la Chiesa doveva percorrere in base all’evoluzione dei tempi. Il termine “sinodo” proviene dall’incontro di due parole greche “sun-odòs” che significano “cammino-insieme”. Occorre riconoscere che fin dai primordi la Chiesa è stata vista e interpretata come un “camminare-assieme”. A questo termine si accompagna quello latino di “Concilium” (convegno, assemblea) che ne è l’equivalente. Bisogna riconoscere che nella bimillenaria storia della Chiesa cristiana non è molto facile districarsi in mezzo alla terminologia talora mutevole: la Chiesa orientale ortodossa ha continuato a chiamare sinodo, spesso santo sinodo, la convergenza dei vescovi attorno al Patriarca, il capo riconosciuto per antica tradizione. Nella Chiesa Cattolica sono sempre stati evidenziati i Concili, sia ecumenici che quelli a carattere locale; il termine sinodo è stato mantenuto per gli incontri diocesani obbligatori a scadenza pluriennale con la presenza del solo clero e con la presidenza del Vescovo. Quest’ultima forma di convergenza è completamente decaduta ovunque dopo l’ultimo Concilio. Rimane comunque certo che la vita della Chiesa è stata ritmata dai Concili ecumenici, dei quali però nella Chiesa ortodossa orientale vengono riconosciuti solo i primi sette.
Diciamolo chiaro: un intreccio di incontri, di scadenze, di convergenze, di scontri teologici e disciplinari hanno reso la Chiesa cristiana una realtà vivente anche di difficile interpretazione.
I primi due secoli e mezzo furono costellati da diatribe che hanno segnato la vita della Chiesa e che tentavano di capire che fosse questo personaggio chiamato “Gesù” individuato come “Cristo” (traduzione in greco di Masiah in latino Messia) che era morto in croce a causa del suo messaggio d’amore universale (agàpe). Fu messo in croce e vi morì per opera della concordanza tra potere religioso (sacerdoti del Tempio) e potere politico (procuratore romano). Fu creduto risorto in quanto Signore della vita e anche della morte: la morte è il nostro comune destino; siamo liberi e padroni sostanzialmente delle nostre scelte nella vita e anzi ci costituiamo persone umane in forza delle nostre scelte ma non siamo di certo padroni della nostra morte. Gesù fu creduto “Figlio di Dio” in quanto padrone non solo della vita ma anche della morte. “Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede” (1Cor 15, 14).
Il dibattito si svolse nel tentativo di capire e di definire questa persona. E’ l’opera che in gran parte ci è rimasta in greco e in latino dei Padri della Chiesa, teologi, filosofi, scrittori, che cercato di approfondire il tema intorno al Gesù di Nazaret. A testimonianza di tutta questa prodigiosa opera di riflessione e di approfondimento abbiamo una miniera letteraria: si tratta di 221 volumi della Patrologia latina e di 161 volumi della Patrologia greca redatti da un intelligente sacerdote francese del 1800 J.P. Migne. La vastissima opera è conosciuta semplicemente come “Migne” ed è facilmente consultabile alla Marciana.
Una risposta all’interrogativo su Gesù, che si diffuse con grande rapidità nel Medioriente fu quella di un sacerdote egizio di nome Ario (III secolo) per il quale Gesù fu un grande profeta ma un semplice uomo da non identificare mai con Dio. A fronte di questa risoluzione, dichiarata erronea ed ereticale, i Padri attraverso un susseguirsi di Concili hanno utilizzato concetti e termini filosofici, per lo più di derivazione neo-platonica, quali “natura” e “persona” applicandoli a Gesù Cristo definito una persona in due nature (umana e divina).
Nel 313 l’imperatore Costantino liberalizzò il Cristianesimo e da subito fu consapevole di trovarsi di fronte a una Chiesa molto divisa nelle scelte teologiche. L’operazione di Costantino fu prevalentemente politica; infatti, dopo l’ultima persecuzione operata da Diocleziano nel tentativo di sopprimere il cristianesimo quale elemento di disgregazione dell’unità dell’Impero, Costantino ebbe l’intuizione che l’unità si poteva salvare proprio coinvolgendo i cristiani, ormai fortemente diffusi, con la liberalizzazione religiosa. A tal fine nel 325 convocò il primo concilio ecumenico (secondo se consideriamo quello apostolico del 50 descritto negli Atti degli Apostoli al cap. 15) a Nicea ove ebbe la prima formulazione quel Credo che recitiamo solitamente alla Messa domenicale e che fu completato al Concilio di Costantinopoli del 381; si chiama, infatti, il “simbolo niceno-costantinopolitano”. Pertanto nessuno scandalo se il contenuto di fede venne chiarendosi attraverso tante discussioni, contrapposizioni e diverse opzioni teologiche. Il Vangelo di Giovanni, il quarto vangelo, da collocare tra la fine del primo secolo e l’inizio del secondo, mette in bocca Gesù questa espressione quanto mai significativa: “Il Consolatore (Paraclito, Invocato), lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26). La fede è individuata come un percorso, un cammino e diventa chiara quanto più avanza nella storia lasciandosi coinvolgere dallo Spirito che insegnerà il nuovo traendolo dal deposito del ricordo. In questa prospettiva le assemblee ecclesiali fin dall’inizio furono chiamante “sinodo” (camminare insieme) e concilio (convergere). Pertanto nel IV secolo la Chiesa trovò la convergenza del contenuto di fede nei due Concili.
Ma un nuovo tormento tra Oriente e Occidente, già in notevole contrasto politico a causa di Costantinopoli che rivendicava l’eredità imperiale e l’Occidente che era invaso da schiere barbariche dopo la caduta dell’Impero romano nel 476, quando in Occidente venne introdotta la famosa variante “Filioque” in epoca carolingia.
Uno storico di alto livello di Storia Ecclesiastica, il tedesco. Hubert Jedin, ha pubblicato un interessante testo sui Concili ecumenici e ne ha individuati una ventina, prima del Vaticano II, scegliendo come “ecumenici”, cioè comprendenti tutto l’orbe cristiano, quelli che avevano avuto la presidenza o almeno il riconoscimento del Vescovo di Roma, il Papa. Pertanto non possiamo dimenticare che i primi concili ebbero sempre rappresentanti del Pontefice Romano, anche se, come abbiamo già visto, il primo concilio, quello di Nicea, fu convocato e presieduto, quale episcopus laicus addirittura non ancora battezzato, da Costantino. Quell’imperatore, ottimo politico, voleva l’unità della Chiesa attraverso il credo di base con un chiaro intento politico; oggi questo fatto ci sarebbe di scandalo e l’avremmo qualificato come un rendere la religione un “instrumentum regni”.
Nel 383 l’unità della Chiesa venne assicurata con il nuovo imperatore Teodosio, di origine ispanica, che proclamò il Cristianesimo unica religione ufficiale dell’impero romano con la corrispettiva proibizione di ogni culto pagano. E allora appare chiaro che la Chiesa cristiana deve camminare con la storia, con il proprio tempo, con la capacità di non rinnegare o trascurare nulla del passato, ma sapendo distinguere bene tra contenuto di fede e aspetti disciplinari che ovviamente vanno introdotti in base alle esigenze del tempo ma che sono destinati a subire mediazioni, trasformazioni ed anche abolizioni.
Provvidenzialmente viviamo in un momento in cui la Chiesa, certamente sulla spinta degli ultimi Papi, Giovanni, Paolo, Giovanni Paolo, Benedetto, Francesco, e soprattutto del Concilio Vaticano II, abbiamo la possibilità di discutere, contrapporci, approfondire, ipotizzare, vivere il messaggio di Gesù sulla solida base della Tradizione ed entro lo sviluppo della storia. Sempre in religioso ascolto della Parola dello Spirito. La via da percorrere senza alcuna illusione è sempre difficile e piena di inciampi (in greco: skàndalon) ma che deve essere percorsa il più possibile in conformità al messaggio evangelico. Proprio qui s’inscrive l’azione di Papa Francesco nel dare la parola a tutti, vescovi, preti, diaconi religiosi e religiose, laici e laiche superando definitivamente una Chiesa dalla bocca chiusa e irrigidita di non lontana memoria e soprattutto guardando ai ruoli gerarchici non come barriere ma come strutture a servizio di ciascuno e di tutti.
Per il momento Papa Francesco ci chiede di partecipare e di camminare insieme almeno per i prossimi due anni.