La lettera di Marco Campedelli, socio dell'Osservatorio (OIVD).
Adista - Redazione 21/06/2022, 09:00
Pubblichiamo una lettera aperta di Marco Campedelli, teologo e narratore, sulle esternazioni del vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti in merito al prossimo ballottaggio elettorale, in programma per il 26 giugno, che vede in competizione per la guida della città Federico Sboarina, candidato di Fratelli d’Italia e Lega, e Damiano Tommasi candidato per il centrosinistra. Il vescovo, in una lettera ai preti della diocesi la cui occasione è data formalmente dalla morte di p. Flavio Roberto Carraro, suo predecessore nell'incarico episcopale dal 1998 al 2007, in realtà dà indicazioni di voto invitando a non scegliere chi sostiene "ideologia gender", aborto ed eutanasia: «Nelle varie tornate elettorali, di qualsiasi genere - scrive il vescovo - è nostro dovere far coscienza a noi stessi e ai fedeli di individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall'ideologia del gender; al tema dell'aborto e dell'eutanasia; alla disoccupazione, alle povertà, alle disabilità, all'accoglienza dello straniero; ai giovani; alla scuola cattolica, a cominciare dalle materne. Queste sono frontiere prioritarie che fanno da filtro perla coscienza nei confronti della scelta politica o amministrativa».
Di seguito il testo di Marco Campedelli.
«L’iniziativa del vescovo Zenti (lettera del 18 giugno) può essere considerata un’incidente di percorso? Guardando indietro non si può invece leggerla come iscritta nel suo modo di porsi rispetto alla città? E al suo modo di interpretare il ruolo di vescovo?
Nel 2015 cambiavano i destinatari: gli insegnanti di religione a cui indicava di sostenere la candidata di Salvini per le elezioni, adesso i destinatari sono i preti e i diaconi. Ma c’è differenza nel modo di dire e nel modo di porsi?
Il vescovo Zenti vietò a un consistente gruppo di giovani di una parrocchia cittadina di fare una esperienza ecumenica, creando un vero disagio in quei ragazze e ragazzi, che si erano studiati il Concilio e il cammino ecumenico delle Chiese. Quanto incidono certi divieti nel vissuto di un giovane che vorrebbe una Chiesa aperta e conviviale?
Il tema degli abusi dell’Istituto Provolo ha fatto il giro del mondo. Come è stato trattato a Verona? Come lo ha trattato il vescovo Zenti?
Al di là del contenuto della lettera in questione, si può scrivere ai preti e diaconi sulle votazioni amministrative della città in un intervento che porta questo titolo:
lettera che il vescovo “indirizza a tutto il presbiterio veronese per la morte di S.E. P. Flavio Roberto Carraro”.
La notizia della morte è scarna di poche righe e quasi burocratica: giorno e ora dei funerali, ecc...
Tutto il resto parla di quanto si è saputo, con un ultimo capoverso sulle nomine dei preti. È il contesto giusto per parlare di orientamento politico per le amministrative, l’annuncio della morte del vescovo padre Flavio?
Si può disgiungere la figura (amata ed evangelica) di padre Flavio dal Sinodo della Chiesa veronese che lui ha voluto e accompagnato?
“Chiesa Discepola, Sinodale, Compagna di viaggio, Testimone estroversa e solidale”. Queste le figure di Chiesa evocate e auspicate nel Sinodo voluto da padre Carraro. Perché quel Sinodo è stato dimenticato? Affossato?
Il Sinodo è patrimonio di una Chiesa o è proprietà di un vescovo?
Per esercitare il proprio ruolo bisogna sempre appellarsi al principio di autorità? L’autorità va sempre di pari passo con l’autorevolezza?
Oggi nel 2022, c’è bisogno che il prete dica ancora alla gente che cosa votare? Siamo sicuri che i laici e le laiche circa le vita, con la sua concretezza, siano meno esperti dei preti (che circa la vita in realtà sono sempre un po’ in ritardo)?
Perché il vescovo Zenti su certi temi nella lettera è cosi preciso e dettagliato : parla di “gender” “scuola cattolica” e su altri è cosi generico come “ accoglienza dello straniero”. Perché allora in questo caso non parlare di “ius soli” o di "ius culturae”?
Perché il vescovo Zenti ha messo cosi tanto zelo nel voler ostacolare e chiudere esperienze in città e in provincia particolarmente attente al dialogo con le diversità? Come San Nicolò all’Arena o Marcellise?
Si dice che la Chiesa non sia una democrazia. E questo sarebbe un motivo sufficiente per non esprimere il proprio dissenso? Per cercare di aprire nuovi cammini?
I preti devono sempre obbedire? E cosa significa obbedire?
Una Chiesa che non custodisce il dialogo critico, l’intelligente dissenso, può mantenersi viva?
Che funzione ha la Teologia? Può essere un “bene pubblico”? E se lo è può esercitare una istanza critica anche nei confronti dell’autorità costituita?
Le donne che spazio hanno? Quanto si può aspettare ancora, a partire dalla Chiesa locale, che si prendano il posto che gli spetta? Senza essere sempre umiliate da un potere clericale e maschilista?
Come potete vedere sono solo domande.
Perché il senso di queste parole è provocare un dialogo, un confronto, un intelligente e responsabile dissenso. Una Chiesa viva deve rinunciare a questo?
Un’ultima domanda: non è vero, che ciò che viene mormorato nelle segrete e sacre (anche virtuali) stanze, alla fine, per fortuna, viene gridato dai tetti?».